I molteplici utilizzi della silverskin
MILANO – Silverskin, che significa pelle d’argento, è quella pellicola semitrasparente che riveste il chicco di caffè e che viene eliminata nel processo di tostatura. Corrisponde a circa al 2% del peso del chicco e fino a poco tempo fa era considerata un rifiuto speciale, abbastanza costoso da gestire per torrefattori, costretti a trasformalo in compost.
Se consideriamo che ogni giorno nel mondo vengono bevute più o meno 3,1 miliardi di tazzine di caffè – che risulta così essere il secondo prodotto più commerciato con un consumo annuo che supera i 10 milioni di tonnellate – possiamo facilmente intuire le enormi quantità di rifiuto che possono derivare dal suo processo di tostatura e che le sorti di questo scarto assumano un peso rilevante, non solo fisico ma in termini economici e ambientali, in particolare in Italia, quarto importatore mondiale.
Proprio per questo negli ultimi tempi, si lavora per individuare soluzioni efficaci di economica circolare, per dare alla silverskin una seconda vita e trasformarla da rifiuto a sottoprodotto, se non addirittura in risorsa.
Secondo uno studio Enea (l’Agenzia Nazionale per le nuove tecnologie) una sua possibile destinazione potrebbe essere il suo utilizzo come ingrediente ad alto valore aggiunto nei prodotti da forno, al posto della farina: così facendo si potrebbe ridurre del 73% l’impatto ambientale delle lavorazioni del caffè, dimezzando i costi di smaltimento a carico delle aziende.
In particolare per ogni tonnellata di farina realizzata con lo scarto del chicco di caffè, si potrebbero evitare circa 150 kg di CO2.
Lo studio muove i suoi passi da un caso concreto: nel 2019 il settore agro-industriale della città metropolitana di Napoli aveva infatti generato circa 30 mila tonnellate di rifiuti organici, di cui quasi il 3% proveniva da aziende di torrefazione del caffè (in gran parte silverskin).
Il “pane alla silverskin” per ora deve ancora attendere: l’utilizzo individuato da Enea deve ancora superare la procedura di approvazione prevista dalla Commissione Europea, nonostante numerosi studi abbiano evidenziato bassi rischi e molti benefici legati al suo consumo.
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