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SIGEP – Ma l’Italia importa gelato

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di Annalisa Zordan*

Riflessioni su alcuni temi caldi emersi al Sigep di Rimini: pasticceria, panificazione e gelateria sono settori in espansione. Ma quali sono i limiti e quali gli ostacoli da affrontare per sviluppare nuovi mercati?

Un’analisi a freddo post Sigep. L’età delle fiere continua rigogliosa, nonostante l’avvento di internet e delle vendite online. Infatti, giunta alla sua trentaseiesima edizione, Sigep ha registrato circa 160.000 visitatori per un totale di 110.000 mq espositivi.

Ovvio, non tutti addetti al settore, ma pur sempre tutti interessati ai temi gelateria, pasticceria e panificazione. E tutti attirati dal contatto umano e diretto con gli espositori. Non solo. Molti degli avventori hanno voluto seguire dal vivo i vari campionati, da quello che decretava il campione italiano di pasticceria a quello che decideva il barista più bravo d’Italia, e i tanti convegni.

Tra questi, due hanno avuto una grande affluenza: I mercati esteri come opportunità di sviluppo di gelaterie e catene e Allergeni problemi e soluzioni. In entrambi sono emersi spunti interessanti. Ma andiamo con ordine.

GELATI: UN MERCATO IN ESPANSIONE ALL’ESTERO
È una situazione controversa per molti aspetti. Secondo i dati di Si.Camera in Italia ci sono ben 13.000 aziende che vendono il gelato ma solo 400 lo producono. È ancora un’economia di nicchia, che però ha la capacità di attivare altre attività.

Non solo, è un settore che permette di fare impresa ed è facilmente esportabile all’estero, anche se (questo il dato più sconcertante) noi italiani continuiamo a importare gelato, molto gelato, e siamo solo il quarto paese europeo produttore, dietro a Francia, Germania e Belgio. Sì avete letto bene.

Ciononostante è un’economia anti ciclica: non ha risentito della crisi e tra il 2008 e il 2010 il numero di imprese è aumentato del 10% ed è aumentata anche l’occupazione. E allora perché non investire su questo settore, magari definendo bene la differenza tra gelaterie artigianali e non?

La strada è lunga. Ma ci sono realtà che si stanno muovendo in questo senso. C’è il marchio Ospitalità Italiana, una certificazione promossa dalle Camere di Commercio per valutare l’offerta ricettiva e ristorativa di qualità in Italia, che sta mettendo a punto una certificazione per identificare le gelaterie italiane nel mondo.

E ci sono degli organismi, purtroppo ancora privati, che aiutano i futuri investitori a conoscere nuovi mercati. Perché gli imprenditori italiani devono imparare a essere esportatori. Ma quali sono gli strumenti utili e gli errori da evitare?

Lo ha spiegato Elisabetta Andretta, consulente di PricewaterhouseCoopers. “Bisogna guardare innanzitutto i grandi. Starbucks, per esempio, nel 2008 aveva 300 punti vendita in Cina, oggi ne ha 1.500. Come ci è riuscita? Ha lavorato principalmente con i franchising, e poco con le joint venture, ogni volta che apre un punto vendita si porta dietro un valore, dalla materie prime al personale formato, e ha un brand conosciuto in tutto il mondo. Cosa che manca al gelato italiano”. Tutte cose vere ma inavvicinabili per un piccolo imprenditore che sogna di aprire una gelateria in Brasile.

Vediamo dunque cinque pillole utili per aprire un’attività all’estero: “È necessario capire la localizzazione fisica in base ai flussi di gente, che sono in continua evoluzione. Non fatevi dunque ingannare dal flusso del momento ma fatevi aiutare da qualcuno in loco che riesca a prevedere eventuali mutamenti. Altra cosa importante è la promozione: noi italiani siamo abituati al passa parola, mentre all’estero, soprattutto nei paesi emergenti dove la percentuale di giovani è nettamente più alta, c’è un forte utilizzo dei social e dei siti di vendita online. Informatevi dunque su cosa va per la maggiore. Sapete per esempio cos’è Alibaba? È il venditore online più utilizzato in Cina. Riesce a fare vendite che superano di gran lunga quelle di Amazon. Tutto questo per ribadire il fatto che è necessario vedere quali sono gli usi e costumi locali, senza replicare quelli a cui siamo abituati”.

Importante è dunque aprire la mente e avere un network in loco, magari coinvolgendo nel progetto i futuri dipendenti, “perché, all’estero, per quanto riguarda il personale, non c’è la fedeltà che c’è qui da noi. Ci sono tassi di rotazione del personale impressionanti, che sfiorano il 35%.”.

In poche parole, cari futuri gelatieri all’estero, non procedete per tentativi, non fatevi cogliere impreparati, studiate e abbozzate un progetto.

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