di redazione online*
ROMA – Per il caffè della Pace è solo questione di tempo: stanno per abbassarsi definitivamente le serrande. «Un altro pezzo di Roma se ne va, mentre la politica guarda altrove» protesta Fabio Mina, il presidente della Lupe (Libera Unione Pubblici Esercizi di Roma e Provincia) che comunica la notifica da parte dell’ufficiale giudiziario dello sfratto esecutivo.
«La città che perde pezzi»
Restano le 35 mila firme raccolte dalla Lupe e dall’associazione Botteghe Storiche di Roma e Cna Città storica, del battagliero presidente Giulio Anticoli. E anche se «onestà intellettuale e politica chiederebbero un dignitoso silenzio» la Lupe sottolinea come «Assisteremo alle dichiarazioni contrite dei vari amministratori, non ne dubitiamo, tutti affranti per la scomparsa di una bottega ultracentenaria ma, ci diranno tra le righe o apertamente, non si poteva evitare, l’iter legale seguito dalla proprietà è inattaccabile».
La volontà di «combattere fino all’ultimo per tutelare un patrimonio della città tutta non solo della ristorazione romana o della famiglia Serafini» lascia solamente la «fotografia di una città che perde i pezzi».
Marchini: «Tessuto storico commerciale»
«La chiusura del Bar della Pace è una vergogna. Nonostante la sfilata del sindaco Marino, dell’assessore al Commercio, del Presidente di Municipio e di non so quanti politici della maggioranza capitolina che avrebbero potuto bloccarlo, nessuno ha fatto niente di concreto per evitare questo scempio al tessuto storico commerciale della nostra città. Non rimangono che rimpianto e amarezza». Lo dichiara in una nota Alessandro Onorato, capogruppo della Lista Marchini in Campidoglio.