lunedì 23 Dicembre 2024
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SETTORE IN CRISI NERA – “E gli editori si troveranno a vendere caffè”

Si è tenuta al Caffé “San Marco” di Trieste la settima “Fiera dell’editoria di progetto”, intitolata a Bobi Bazlen, e dedicata alle case editrici di nicchia

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TRIESTE – Si è tenuta al Caffé “San Marco” di Trieste la settima “Fiera dell’editoria di progetto”, intitolata a Bobi Bazlen, e dedicata alle case editrici di nicchia.

In un momento di forte regresso a causa di digitalizzazioni, fusioni, irrigidimento della rete distributiva, diminuzione delle librerie tradizionali e bassi indici di lettura, a tenere botta sono piuttosto i “piccoli” capaci di portare avanti un progetto – notano gli ideatori, Giovanni Damiani, Manuel Orazi e Luca Visentini – e ad essere a rischio sono piuttosto quanti hanno puntato sulle mode o sull’autorialità e mediaticità del singolo.

La “due giorni” del San Marco (il cui programma completo è sul sito fierabazlen.wordpress.com), farà incontrare una serie di realtà minori, italiane e slovene, all’insegna del “marciare divisi per colpire uniti”. Tra i dibattiti e le illustrazioni di iniziative, collane e opere, anche la presentazione di Stanza 707, il romanzo di Francesco Merlo, editorialista di Repubblica recentemente pubblicato da Bompiani. Libro, giura l’autore, nato come uno scherzo.

– Un divertissement quale opera prima, come mai?

«Un italiano su due scrive thriller. Persino dalla scrivania di Parisi, capo della Polizia, dopo la morte saltò fuori un manoscritto. Forse perché la letteratura è l’atto mancato: non si possono risolvere Portella della Ginestra, Piazza Fontana, Ustica, e allora si crea un mondo di inquirenti che vincono. Anche il successo di Montalbano va letto in questa chiave».

– Giornalista e/o scrittore?

«Mi disturba leggere, nei sottopancia o nei titoli di coda “giornalista e scrittore”, “giornalista e storico”, come se il primo termine non bastasse. Si tratta di mestieri e di scritture diverse. Pochi grandi giornalisti sono stati anche grandi scrittori: Hemingway, Camus, Buzzati. Ma gli editori cercano le scorciatoie».

– In che senso?

«Non scovano e covano i talenti, come un tempo. Ritengono che quel pochissimo che si legge sia frutto di recensioni, e sanno che un giornalista potrà sempre contare su un collega amico. Oggi le pagine editoriali sono dominate dalle marchette, sia pure nel senso di cortesie. E si è estinta la stroncatura, metodo peraltro infallibile per sponsorizzare un libro».

– Nell’editoria c’è anche il problema del pesce grosso che mangia quello piccolo.

«Certo, perché possiede anche le grandi rivendite e le distribuzioni, il che costringe i piccoli a dare libri in vendita alla concorrenza. Le case maggiori promuovono ciò che serve loro, a differenza del vecchio libraio che metteva in vetrina quello che gli era piaciuto. In libreria, i libri migliori, sono quelli che non ci sono.

– L’editoria dove sta andando?

«In malora, perché i grandi editori stanno aprendo bar e ristoranti nelle loro librerie. In effetti non c’è una ragione al mondo per pensare che gli italiani tra dieci anni leggeranno di più. Semmai di meno per varie cause, la prima delle quali è rappresentata proprio dal fatto che gli editori non cercano più scrittori, ma altre cose. È un cane che si morde la cosa. Ma non sarei pessimista: in un modo o nell’altro le cose belle passano lo stesso, pensiamo a Fahrenheit. I buoni libri troveranno altri mezzi, e i grandi editori, che si fanno male da soli, si ritroveranno a vendere caffé».

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