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venerdì 22 Novembre 2024
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Il futuro del caffè con Finzi, Mutti, Sobrero e Gregori che tornano a fare il punto

In ordine hanno preso per la seconda volta la parola: il dottor Cosimo Finzi – direttore Astra Ricerche, il dottor Maurizio Mutti – GfK Consumer Panel Cluster Lead – , la dottoressa Rossella Sobrero – Presidente Koinètica - e infineil professor Gian Luca Gregori – Rettore Università Politecnica delle Marche e Senior Fellow Luiss Business School

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BELFORTE DEL CHIENTI (Macerata) – Di nuovo a discutere su quali sono gli spazi di crescita nel settore di caffè, mettendo a fuoco alcune questioni insieme di nuovo ai relatori che si sono alternati durante il convegno organizzato dal Consorzio promozione caffè nel Campus Simonelli Group. In ordine hanno preso per la seconda volta la parola: il dottor Cosimo Finzi – direttore Astra Ricerche, il dottor Maurizio Mutti – GfK Consumer Panel Cluster Lead – , la dottoressa Rossella Sobrero – Presidente Koinètica – e infine il professor Gian Luca Gregori – Rettore Università Politecnica delle Marche e Senior Fellow Luiss Business School.
I precedenti interventi che si sono susseguito durante il convegno, possono essere letti qui, qui, qui, qui e qui.

Cosimo Finzi: “Bisogna pensare ad altri settori del food e del beverage, che danno un po’ l’idea di come trovare nuovi spazi”

“Uno degli aspetti fondamentali sta nella mente del consumatore e fargli capire la varietà ed evitare di intendere il caffè come una commodity. Cioè quando si beve il caffè senza dargli valore, senza capire la differenza tra una miscela e l’altra e attribuire un profondo significato valoriale.
Se ragioniamo, per fare un esempio, con il mondo della birra negli ultimi 15 anni, siamo passati da un consumatore medio che entrava in pizzeria e chiedeva soltanto una chiara, al mondo artigianale che ha fatto evolvere il prodotto al di là del mercato, cambiando molto la mente del consumatore.
Questo ha portato nella sua percezione più alta della bevanda da parte del consumatore, dando un riconoscimento del valore di questo prodotto. Dobbiamo far capire quindi che il caffè non qualcosa di molto simile da una  tazzina all’altra, ma ci sono miscele diverse. Il mercato per la verità lo sta facendo, ma dal punto di vista del consumatore ancora non è stato ancora molto recepito tutto ciò, che ne ha ancora un’idea molto piatta. Dobbiamo raccontare di più, sperimentare e provare di più.
Torniamo all’esempio del vino: essenzialmente guidato dalla percezione di varietà, nel capire la narrazione di vini diversi. Dovremmo fare quello stesso tipo di percorso. Dobbiamo smettere di pensare soltanto a un caffè e basta quando entriamo al supermercato.
Perché in Italia non c’è l’idea che il bar, pur avendo una sola miscela, la racconti? Spieghi che questa miscela proponga determinati profumi e sapori. Anche nell’offerta, non solo nella domanda, diamo per scontato che ci basta un caffè. Cerchiamo invece di creare valore.
Poi c’è la questione dei giovani: dobbiamo riagganciarli a noi, non possiamo permetterci di pensare che per un 18enne o per 25enne un caffè sia un’alternativa ad una bevanda energetica. Se è soltanto un prodotto funzionale, perché a livello di percezione di piacere, di aspetti sentimentali, è molto più bassa delle altre generazioni, perdiamo. Siamo un prodotto edonistico, che poi certo tira su, ma non può essere solo quello.”

Maurizio Mutti, che tipo di interazione c’è tra consumo fuori casa e dentro casa nel caffè?

“E’ qualcosa che abbiamo visto soprattutto come conseguenza della pandemia. Le persone, non potendo più consumare il caffè fuori casa, si sono munite di macchine per berlo in maniera simile in casa, con i famosi sistemi chiusi o con qualcuno che ha preso un’automatica o un sistema classico.
C’è stato questo shift. Adesso, a distanza di anno, siamo tornati a consumare fuori. Ora all’interno delle mura domestiche ci si può preparare un espresso molto simile a quello che si trova al bar. Quindi cerchiamo di sfruttare il fuori casa per dare un valore diverso alla categoria.
Ho vissuto in Inghilterra e ricordo che ci sono catene di caffè, non i bar, che chiedevano a un certo punto se volevi un’Arabica o un’altra miscela, proprio per dare valore al fuori casa. Proponevano il caffè in diverse forme. Quindi, se noi riuscissimo a ritrovare questo anche in Italia, sarebbe un valore.
In Italia ora le cose stanno cambiando, come con il fenomeno del poké: a Milano ora c’è una pokeria ogni 100 metri, 10 anni fa nessuno sapeva cosa fosse. Magari anche con il caffè si può fare qualcosa di diverso.”

Sobrero, parlando molto della comunicazione anche della reputazione dell’azienda. C’è la paura di comunicare male? Come evolve questa paura, cosa produce?

“C’è un fenomeno che sta diventando preoccupante, che è il green hushing. La paura di comunicare: piuttosto che essere accusato di dare dati non veritieri, non si dice più niente. Questo è l’ultimo dei fenomeni preoccupanti, ma per il momento riguarda forse le grandi multinazionali di petrolio. Chi ha però prodotti sani, corretti, deve sfruttare la comunicazione che aiuta a dar valore. Credo che il caffè abbia un mondo di valori da trasmettere e va raccontato bene.”

Quali sono i rischi della disintermediazione?

“Oggi comunicare bene è ancora più difficile di una volta. Proprio perché c’è un rumore di fondo e tutti comunicano agli altri, ma questa modalità poi frastorna le persone, che non distinguono più qual è la comunicazione che si basa su solide informazioni e dati, e quella invece che è un racconto fine a se stesso. Bisogna dare alla comunicazione anche una descrizione delle fonti. Può sembrare antitetico con la creazione dell’empatia.
Ma ora la vera sfida oggi è coniugare la capacità di parola, di empatia, con la veridicità dei dati.
Abbiamo parlato per anni di sostenibilità e sviluppo sostenibile come di un dovere, un problema verso cui stare attenti. Ora basta: non dobbiamo avere più questo approccio. Esser sostenibili deve essere anche un piacere, deve esser desiderabile.
Lo faccio non perché ho un obbligo morale. Spero che non sia più necessario dire che si deve agire per la sostenibilità, perché sarà acquisito come comportamento e ne saremo contenti.
Alcuni di noi lo fanno già quotidianamente, le aziende lo hanno inserito nei piani strategici saranno quelle che ne godranno i maggiori frutti. Hanno condiviso e ingaggiato più persone possibili. Quindi: gradevolezza, semplicità, empatia e molta concretezza.
I dati sono importanti, così come la loro analisi e la comunicazione delle fonti che si basano su delle verità specifiche.”

Professor Gregori, una domanda delle domande: come può esser migliorata la gestione della forza vendita?

“Il tema fa riferimento ai diversi modelli di business e bisognerebbe capire se abbiamo agenti, mono o pluri, o venditori diretti. Questi strumenti vanno poi calati nelle differenti realtà.
Un tema che voglio lanciare era quello di creare un’Accademy di management per le imprese e l’idea sarebbe quella di farla proprio in questa sede, per affrontare queste tematiche.
Segniamo anche alcuni concetti: l’idea di ragionare in termini di mercati internazionali, penso che per qualcuno già ci sia.
E poi il riconoscimento del rito del caffè da parte dell’Unesco. Mi sono occupato per tanti anni del made in Italy che abbiamo trattato come un marchio in cui tutti andavano a prendere e a cui nessuno andava a dare, senza fare investimenti. Ci sono tanti usurpatori e pochi utilizzatori virtuosi. Penso che sia il caso di evitare che questo accada anche con il caffè per dargli una maggiore forza.”
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