In ogni settore il grafico che lega qualità e prezzo di un prodotto viene definito da un andamento non lineare. Nel senso che se nel settore “S” il prodotto più scadente “P” costa “X”; nello stesso settore, il prodotto “P1” di qualità “doppia” (ponendo che esista per la qualità una misurabilità oggettiva), non costerà “2X”, ma una cifra minore del doppio di “X”
Quindi la curva del grafico partirebbe restando quasi a pendenza costante.
Via via proseguendo nella direzione dell’aumento della qualità, accadrà che sarà sempre più difficile aumentare la qualità di un dato prodotto di un dato settore, e via via proseguendo, ogni aumento di qualità (che sarà di incidenza percentuale sempre minore) costerà sempre di più (come aumento di costo percentuale rispetto al prodotto dello stesso settore ma di qualità immediatamente inferiore).
Per cui, dato – ad esempio – un determinato Caffè crudo di non alta qualità, ad esempio da 5.000 dollari (3.950 euro) la tonnellata, con poca fatica e poco aumento del prezzo di acquisto potrò trovarne uno migliore.
Anche percentualmente molto migliore, forse, ma sempre – entrambi – saranno appartenenti alla prima parte della scala che misura oggettivamente la qualità.
Mano mano che ci spostiamo verso l’estremo opposto di questa scala, verso la qualità più alta, i prezzi schizzeranno sempre più verso l’alto e ogni minimo aumento di qualità comporterà un aumento di prezzo altissimo. Sia percentualmente che in senso assoluto.
Quindi se per migliorare significativamente (ad esempio di un ipotetico 20 per cento) la qualità di un caffè da 5.000 dollari la tonnellata (3.950 euro) mi potrebbe bastare spendere 500 dollari (395 euro) in più (un 10 per cento), per migliorare significativamente la qualità di un caffè crudo da 15.000 dollari (11.855 euro) la tonnellata possibilmente dovrò spendere molto di più di 16.500 dollari (13.041 euro), e forse senza arrivare ad uno stesso incremento di qualità in percentuale.
Questo è il motivo per cui ogni prodotto che si avvicina allo stato dell’arte costa un botto, con un’impennata incredibile nel grafico qualità/prezzo. Siano prodotti enogastronomici, automobili, orologi, macchine fotografiche, arredamenti e via di seguito
Questo insegna il mercato in tutti (credo) i settori.
La prima volta che è stata nominata la Third Wave è stato nel 2002, e questo poco importa, ma quello che ci preme è capire da chi e dove. Da un torrefattore (anzi una torrefattrice) negli Stati Uniti.
Associata alla Specialty Coffee of America, Trish parlò di Third Wave e la Scaa colse al volo l’opportunità. Pian piano venne definita la Terza Onda, e a ritroso vennero definite anche la seconda e la prima, per dare autorevolezza alla terza, e a scanso di equivoci.
Dopo aver attecchito negli Usa, la Third Wave Espresso arriva in Europa; al traino delle manifestazioni e competizioni di settore. Anche in Europa ed in Italia si inizia a parlare di Terza Onda.
La cosa da subito genera proselitismo e crea vitalità, oltre a nuova “motricità” derivante da spinta emozionale.
Così si crea un momento/movimento di grande vitalità per il nostro prezioso chicco.
Lentamente inizia la ricerca del chicco perfetto.
Dapprima con analisi sensoriale, poi usando le schede create ad hoc per capire semplicemente se un grano è cattivo, o buono; oppure se è stato benedetto e può entrare a far parte della elite degli specialty coffee.
E da dove arrivano queste definizioni e questi parametri di valutazione? Ancora dagli Usa.
E via di seguito, è stata tutta una corsa in discesa; la ricerca della migliore miscela, poi la ricerca della migliore tostatura, poi la ricerca di qualche particolarità in più; una singola origine in grado di sostituire la miscela ed in grado di colpire (nel senso di affascinare) i giudici, poi la ricerca della migliore tecnica di processo dopo la raccolta, poi… ancora più avanti, la ricerca della singola piantagione, poi del micro lotto ricavato dai migliori grani di una sola piantagione, poi – non domi – alla ricerca della migliore tecnica colturale e agronomica.
Tutto questo andamento segue le linee guida dettate dai nostri amici statunitensi, che non sono italiani e non stanno in Italia.
Sono molto affascinanti e trendy, ma hanno abitudini di vita completamente diverse.
E tutto questo porta il prodotto caffè nell’ultima parte del grafico dove il tracciato schizza verso l’alto, portandolo fuori da ogni ratio qualità/prezzo ed estraniandolo da ogni commerciale legge di mercato.
Purtuttavia, parve fondamentale e necessario condividere questo movimento perché l’espresso in Italia potesse sopravvivere o forse anche rinascere, ed io stesso sono (perdonatemi la presunzione) fiero co-fautore della nascita di tutto questo in Italia.
Ma tutto questo, pur fondamentale e necessario, non è detto che sia sufficiente.
E nemmeno il fatto che tutto questo sia stato sufficiente in Usa ci dà la garanzia che possa esserlo anche in Italia, paese di grandi, forti e radicate tradizioni enogastronomiche.
Comunque, finalmente ora viene trattato il caffè da prodotto agricolo fresco e vivo quale è!
Era ora.
Peccato che tutto questo baraccone che si è messo in movimento abbia dei costi, che per una serie di ovvie implicazioni logistiche in Italia saranno maggiori che negli Usa, e di conseguenza, peccato che nelle varie manifestazioni, nelle competizioni, nelle gare, negli eventi legati ai caffè di qualità, che si tengono in Italia, vengano proposti a volte (spessissimo) grani che costano come l’oro!
Inoltre, seguendo i dettami della terza onda, vengono ricercate sensazioni di intensità e sciropposità, alle quali si arriva con utilizzo di grandi quantitativi di macinato per ogni espresso.
Bravi insomma gli Ammerigani!
Nel tentativo di capire e copiare l’espresso Italiano (ma non sono nemmeno riusciti a dare una buona traduzione del nome), sono riusciti, o stanno riuscendo a dare al “loro” espresso una precisa connotazione, se non sensoriale, almeno estrattiva. Che noi poveri italiani anglofili abbiamo recepito come super, ed ora siamo noi che cerchiamo di emulare loro.
Loro, soprattutto Usa e Inghilterra in primis, sono abituati al consumo del Tè, e quindi a bevande lunghe e di compagnia; diversamente dalle abitudini di noi italiani che beviamo velocemente un Espresso, magari nemmeno troppo alto.
Insomma fanno poca fatica a ridefinire (a dire che hanno ridefinito) i parametri dell’Espresso usando 22 grammi la coppia, usando grani costosissimi, da raccolti seguiti come una neo mamma segue il neonato primogenito. Che gli frega! Loro hanno possibilità di reperire ottimi grani in continente, hanno una clientela che per il 90% consuma drip coffee, e che quando nel 10 per cento (forse meno) dei casi bevono un espresso trovandolo intenso e sciropposo grida al miracolo!
Loro possono usare 12 grammi per battuta per espresso (che da loro non costa certo 1€), tanto tutti bevono drip coffee con 12/15 grammi di macinato ogni 250 cmc di bevanda (che non costa 1€)
Miracolo lo dovranno fare i baristi italiani se vogliono seguire queste nuove tendenze!
Miracolo lo dovrà fare chi dovrà fare cassetto con espressi venduti a 1 € preparati con 11/12 grammi e con sedicenti super miscele da magari 40/50 o più €/kg, in un’attività che vende (in Italia) 98/99 per cento espressi e solo 1 o 2 per cento di preparazioni differenti!
Dobbiamo mantenere e non perdere mai di vista l’italianità dell’espresso, la piacevolezza e l’armonia, la giusta sensazione tattile, la giusta intensità, l’aromaticità tipica delle diverse varietà, le varie tipicità…. Ma soprattutto dobbiamo tenere presente la necessità di guardare l’Espresso come cespite!
Non importa se negli Usa usano 11 o 12 grammi per battuta, noi dobbiamo fare buoni espressi con 7 grammi per battuta e con miscele umane.
Vadano i macchinisti Usa per la loro strada. Che i surfisti Usa cavalchino la loro terza onda, ma attenzione: le onde buone da surfare devono portare avanti, avanti, avanti; fino a raggiungere un buon approdo sicuro, perché alla terza onda seguiranno la quarta, la quinta e la sesta, e noi siamo in Italia e dobbiamo sopravvivere e guadagnare con espressi venduti per lo più a 1€ la tazzina ….e insomma, bisogna trovarsi con i piedi ben saldi per terra e ossigeno nei polmoni per surfare la terza onda, ma riuscire ad affrontare anche le successive senza restarne sommersi…
Ah! Attenzione perché a New York già si odono rumors sulla terza onda…