di Jonathan Morris
La decisione di Debenhams di introdurre nelle caffetterie all’interno dei propri punti vendita una “carta dei caffè semplice e comprensibile in lingua inglese” appare estranee al mondo in cui oggi viviamo.
Agli albori del boom dei caffè speciali, negli anni novanta, era normale incontrare dei consumatori poco avvezzi alla terminologia del caffè, in generale, e dell’espresso in particolare.
Costa Coffee
Le nuove catene emergenti, come Costa Coffee (che appartiene alla società britannica Whitbread, ma si presenta con il claim “Italian about Coffee”), utilizzavano all’epoca, nei propri locali, materiali informativi che illustravano non soltanto le caratteristiche delle bevande, ma anche la pronuncia corretta di parole esotiche come, ad esempio: “cap-puc-cì-no”.
McDonald’s
Con il radicarsi del fenomeno speciality, alcuni affermati operatori nel settore dei pubblici esercizi provarono a farsi pubblicità contrapponendosi a esso e ironizzando sul linguaggio nuovo e spesso esagerato impiegato dalle catene di caffetterie: McDonald’s, ad esempio, condusse nel 2005 una campagna cartellonistica nella metropolitana di Londra in cui prometteva “caffè macinato fresco senza frizzi e lazzi” in tazza singola, piuttosto che “short, regular o biggero”.
Debenhams
E c’è la promessa di Debenhams di sostituire i nomi fantasiosi che si osservano normalmente nei coffee shop delle strade principali (per citare il suo comunicato stampa) con dei “corrispettivi inglesi comprensibili”. Promessa che appare come un tentativo di emulare la strategia di McDonald’s.
Ma la stessa multinazionale americana ha dovuto ammettere, in ultima istanza, che il suo era un andare contro corrente. E, dal 2007, si è messa a vendere latte e cappuccini nel Regno Unito. Diventando, nel 2010, il massimo venditore di caffè nel canale del fuori casa.
Attualmente, McDonald’s sta conducendo in Gran Bretagna una campagna pubblicitaria che utilizza radio e tv centrata interamente sul caffè. In questa campagna si propone come una destinazione alternativa alle catene specializzate. Decantando, nel contempo, le proprie bevande a base di espresso 100% arabica.
Debenhams – una catena di grandi magazzini il cui target di clientela è tradizionalmente costituito dal ceto medio-basso conservatore; riferisce che nelle sue 160 caffetterie le vendite di bevande calde sono costituite per il 67% da caffè e per il 33% da tè. Il che suggerisce che essa stessa ha vissuto la rivoluzione. Che ha offuscato la tradizionale cultura britannica del tè.
Se è vero, come si afferma nel suo comunicato stampa, che oltre il 70% dei clienti si sono dichiarati confusi. Dai termini relativi al caffè utilizzati in caffetterie, bar e ristoranti. Ciò non sembra comunque aver dissuaso questi ultimi dall’ordinare ugualmente le bevande.
Va detto che il Daily Telegraph (un giornale che intercetta conservatori e non giovanissimi), a seguito di questa vicenda, ha posto ai lettori del proprio sito Web una seguente domanda precisa. “Vi trovate in difficoltà con i nomi dei vari tipi caffè?” Il 55% ha risposto “No” e il 45% “Sì”.
Un’indagine giornalistica scarsamente scientifica, ma indicativa per farci capire che questa presunta confusione va trattata con un certo grado di scetticismo.
I termini inglesi che Debenhams si accinge a introdurre ricordano molto quelli che presero piede quando i britannici familiarizzarono per la prima volta con l’espresso (o “expresso”), ai tempi del cosiddetto coffee boomdegli anni ’50.
Il problema è che essi presentano delle connotazioni tutt’altro che positive.
Frothy coffee, caffè con schiuma, il termine che verrà usato al posto di cappucccino, designava originariamente pressoché tutte le bevande di caffè servite con una copertura di latte montato, spesso su una base di caffè solubile o istantaneo.
Really really milky coffee, il termine adottato da Debenhams per il “latte”; avrebbe potuto essere un nome azzeccato per i beveroni in tazza grande. Andati sin qui per la maggiore.
Ma che la stessa Starbucks ha deciso anche nel Regno Unito di aumentare il contenuto di caffè delle sue bevande. Pure questo termine appare ormai superato.
E ancora più curioso è il fatto che Debenhams dovrebbe lanciare il tutto. A partire dal punto vendita di Oxford Street; nel cuore del distretto dello shopping di Londra; un luogo nel quale è piuttosto improbabile che la clientela possa trovarsi in imbarazzo dinnanzi ai termini di una carta dei caffè di oggi.
E lo stesso comunicato stampa farebbe bene a richiamare l’attenzione anche sul concept Café Estro, nel cui menu figurano specialità come il King Prawn Pad Thai (di cui sono impaziente di leggere la descrizione in un inglese semplice comprensibile).
Difficile, insomma, pensare a questa operazione come a un qualcosa di diverso da una mossa di marketing finalizzata a far credere di aver risolto un problema che in realtà non esiste.
Se anche avesse individuato veramente una peculiare fascia di clientela – conservatrice e poco al passo con i tempi – Debenhams ritiene veramente che dimostrare di voler rivolgersi ad essa gioverà alla sua immagine di marca?
LA SCHEDA SULL’AUTORE, IL PROFESSOR JONATHAN MORRIS
Jonathan Morris è Professore di Storia Moderna Europea presso l’Università di Hertfordshire.
Ha diretto il progetto di ricerca “The Cappuccino Conquests”. E ha al suo attivo numerosi articoli e pubblicazioni accademiche sulla storia globale dell’espresso italiano. Sia in lingua inglese che italiana; “Coffee: A Handbook”, di cui è coautore, è in uscita il prossimo anno.
Potete trovare maggiori dettagli su queste pubblicazioni nelle sue pagine web personali.
http://herts.academia.edu/JonathanMorris