La scirubbetta calabrese, ovvero la neve mescolata con miele di fichi o mosto cotto, è una bella consuetudine ancora molto viva in Calabria all’arrivo dei candidi fiocchi invernali.
Una preparazione tanto semplice quanto antica, la cui origine si perde nella notte dei tempi ed è da considerare come il primo gelato della storia.
E’ sufficiente raccogliere della neve pulita, metterne un pochino in una coppa, versarci su un filo di mosto cotto o miele di fichi e gustarla: è una vera delizia.
Il nome scirubbetta deriva dall’arabo sharbat, da cui derivano anche le parole italiane sciroppo e sorbetto, che significa bevanda e nei paesi orientali si riferisce ad una bevanda dolce servita molto fredda, liquida oppure densa, da sorbire con un cucchiaino.
Esistono tracce storiche di preparazioni simili in tutti i paesi in cui avvenivano precipitazioni nevose, in cui la neve veniva raccolta da operai specializzati e conservata a blocchi in luoghi sotterranei usando come coibentante paglia e legno. La neve poi veniva mangiata o usata per raffreddare i cibi, una sorta di frigorifero primordiale.
Le prime presenze di scirubbetta risalgono a 6000 anni fa e si ritrovano in Cina, dove si degustavano coppe di neve mista a miele e succhi di frutta.
Di coppe adibite alla neve dolce ci sono tracce in Mesopotamia e in Persia, in antiche tombe egizie per arrivare all’antica Grecia, dove intorno al 500 a.C. diversi poeti parlano delle bevande a base di neve.
Nell’antica Roma poi il piacere del dolce freddo era assai diffuso. Plinio il Vecchio, oltre a fornire la prima ricetta di gelato a base di neve, miele e succhi di frutta, racconta che c’era una fiorente industria della neve, che si riforniva sul Terminillo ma anche sul Vesuvio e sull’Etna, e nelle città erano diffusi i chioschi dove vendevano bevande a base di neve e miele.
Si capisce quindi che la scirubbetta calabrese nasce da queste consuetudini e l’uso di condirla con miele di fichi o mosto cotto deriva dal fatto che nell’antichità la Calabria era il territorio a più alta produzione di fichi e di vino dell’epoca.
Da dire che allora come ora, nell’andare dei secoli, tutti consumavano la scirubbetta in inverno, quando era sufficiente raccogliere un po’ di neve dai tetti e aggiungere u vinu cuattu, ma anche succo d’arancia o caffè, ed era subito pronta, buonissima e utile anche contro i malanni di stagione.
D’estate invece, fino all’Ottocento, la scirubbetta era un cibo da ricchi, destinato a strati più elitari della società per via dei costi elevati.
Il pittore inglese Edward Lear infatti, nel suo famoso Journals of a landscape painter in Southern Calabria, il diario di viaggio corredato dei magnifici disegni della Calabria, spesso parla del «buon vino e neve scintillante», la deliziosa scirubbetta che gli veniva servita nelle case dei notabili dove veniva invitato.
Annamaria Persico