domenica 22 Dicembre 2024
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Lattuada: “Il caffè in Italia è espressamente ignorante”

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MILANO – Andrea Lattuada, coordinatore Scae Italia, ci ha segnalato un articolo scritto da Sara Uliana per il sito www.lenuovemamme.it che affronta il tema della preparazione del barista, senza giri di parole. E giudica molto negativamente il recente cambio di torrefatto nella più grande catena di bar in Italia. Siamo certi che susciterà l’interesse degli addetti ai lavori. E magari qualche opinione differente.

Lattuada: “Non c’è niente di più semplice che entrare in un bar e chiedere un caffè. Quante volte lo facciamo in una settimana? “

È un gesto abituale quasi quanto pettinarsi alla mattina. Prima di arrivare in ufficio, dopo aver accompagnato i bambini a scuola o anche solo in una pausa casalinga, tra la sistemazione delle camere e la pulizia del bagno.

Che cosa stiamo bevendo veramente?

Noi italiani ci sentiamo la patria della tazzina. Forti della nostra tradizione e sicuri di quello che stiamo consumando. Abbiamo ditte storiche, in roccaforti della tradizione della torrefazione.

Chi veramente produce la materia prima?

Nel nostro Paese non viene raccolto nemmeno un chicco. Non producendo la materia prima forse è azzardato considerarsi all’avanguardia e forti di una tradizione che, effettivamente, non nasce qui. Sento puzza di borsa fatta in Cina, assemblata negli stabilimenti toscani e marchiata “made in Italy”. Che poi in negozio paghiamo un botto e sfoggiamo come se fosse frutto di artigianato locale.

Chi è poi quell’uomo che, prima di servircelo al banco, ha valutato bene cosa acquistare?

Continua Lattuada: Mi viene il dubbio che il barista non sia una persona veramente informata sul prodotto che vende, ma piuttosto sia attratto dalle offerte commerciali del settore. Ci vorrebbe un cambiamento nel modo stesso di pensare, una trasformazione simile al mondo del vino dove il consumatore finale si è trasformato in sommelier casalingo.

Conoscendo il prodotto, è consapevole di quello che vuole e, di conseguenza, il mercato si adatta a un pubblico esigente alzando lo standard. Altro campanello d’allarme che mi fa dubitare della nostra approfondita conoscenza è il modo stesso in cui nominiamo il caffè.

Siamo attratti dalla marca non dalla provenienza (nel caso del vino chiediamo prima l’uvaggio e successivamente il nome della cantina e magari l’annata). È  come dire che se gli eschimesi hanno tanti modi diversi di definire la neve, un motivo sicuramente c’è. Noi con “espresso” indichiamo tutto e niente.

Lattuada provoca: avete mai fatto caso a quello che sta succedendo ora nella più famosa catena di bar ristoranti lungo le nostre autostrade?

Chi viaggia per lavoro si sarà sicuramente accorto del cambio di marca nel più diffuso bar italiano. Questa nuova politica fa vedere al consumatore finale il caffè in bella mostra e invita a sentirne l’aroma.

Sopra al bancone trovare un bellissimo plexiglass trasparente con i chicchi che stanno usando per preparare il vostro espresso. Io non ho tanta esperienza del settore, ma un minimo di formazione chimica ancora mi è rimasta.

Fidatevi, quei chicchi sono di una qualità bassissima. È come dire che ci vendono un prodotto discutibile e noi nemmeno ce ne rendiamo conto.

È il momento di cambiare e non farci prendere per il naso, in tutti i sensi. Facciamoci delle domande e poniamole alle persone giuste. Non possiamo farci fregare così palesemente.

di Sara Uliana, giornalista del sito www.lenuovemamme.it

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