Agnese Santanatoglia, 27 anni, ricercatrice, laureata in Farmacia industriale ed attualmente dottoranda all’ultimo anno presso la “School of Advanced Studies” dell’Università degli Studi di Camerino. Il suo ingresso nel mondo del caffè è avvenuto durante il dottorato nell’ambito del progetto RICH (Research and Innovation Coffee Hub), co-finanziato dall’Università di Camerino e da Simonelli Group.
Negli Stati Uniti, presso l’Ohio State University, Agnese ha approfondito lo studio della chimica e degli aspetti sensoriali del caffè ed ha partecipato alla conferenza internazionale SCA Expo di Chicago, nell’aprile del 2024, come relatrice.
Attualmente, il suo curriculum vanta oltre 25 pubblicazioni scientifiche, su riviste internazionali peer-reviewed. Ha presentato numerosi contributi in conferenze nazionali ed internazionali.
È stata anche co-relatrice di tesi magistrali, ed i suoi progetti di ricerca hanno esplorato aspetti nella chimica alimentare e nel settore caffè, anche con un’attenzione particolare alla sostenibilità ed alla valorizzazione dei sottoprodotti.
Per approfondire la ricerca nel campo del caffè e scoprire alcuni segreti della sua composizione chimica e sensoriale, le abbiamo chiesto di raccontarci il suo percorso.
Come è entrata nel mondo del caffè? Qual è stato il percorso accademico?
“La mia passione per il caffè è nata durante il dottorato di ricerca in Chimica degli Alimenti, che concluderò nel dicembre 2024 presso l’Università degli Studi di Camerino.
Il mio percorso è iniziato con la laurea in Farmacia Industriale con menzione accademica nel 2021, subito dopo il liceo classico. Successivamente, ho deciso di specializzarmi nella chimica degli alimenti, completando anche un corso avanzato in Nutrigenomica per studiare l’interazione tra nutrizione e genetica.
Durante gli studi universitari, ho trascorso un periodo presso l’Università di Granada, in Spagna, che mi ha permesso di ampliare ulteriormente le mie competenze scientifiche.
Il mio ingresso nel mondo del caffè è avvenuto quasi per caso, quando ho iniziato il dottorato nell’ambito del progetto RICH, co-finanziato dall’Università di Camerino e da Simonelli Group. Questo progetto mi ha aperto le porte ad un universo scientifico che conoscevo solo in piccola parte, rivelandosi molto affascinante.
Ho esplorato diversi ambiti di ricerca, dalle proprietà chimiche del caffè alle sue componenti sensoriali. Sono rientrata circa un mese fa dagli Stati Uniti, dove ho avuto l’opportunità di approfondire la connessione tra gli aspetti chimici e sensoriali del caffè presso l’Ohio State University, a Columbus.
Ogni tappa del mio percorso accademico ha aggiunto un nuovo tassello al mosaico della mia conoscenza di questo settore”.
La ricerca sul caffè in Italia e all’estero è allo stesso punto ed indaga gli stessi temi, oppure ci sono differenze?
“La ricerca in Italia e all’estero, pur affrontando talvolta le stesse tematiche, adotta approcci differenti, riflettendo la varietà di struttura accademiche, risorse disponibili ed obiettivi delle istituzioni. In Italia, l’approccio alla ricerca tende ad essere più teorico e didattico, spesso focalizzato sullo studio delle basi scientifiche.
Questa impostazione offre una formazione solida in termini di conoscenze teoriche. All’estero, tuttavia, la ricerca sul caffè tende ad avere un approccio più pratico ed applicativo, grazie, anche ad una maggiore disponibilità di risorse economiche e tecnologiche.
Ritengo che questi due approcci siano complementari: la base teorica italiana, integrata con l’aspetto pratico e le risorse disponibili all’estero, può portare ad una ricerca sempre più innovativa”.
Ha avuto l’occasione di presentare una ricerca allo SCA Expo di Chicago. In cosa consisteva la sua relazione?
“Durante lo SCA Expo di Chicago, ho presentato la relazione “Unveiling the Science of Coffee Acidity: from Fundamentals to Extraction Influences”. Ho esplorato l’acidità del caffè dal punto di vista sia chimico che sensoriale. L’acidità è uno degli elementi chiave del profilo sensoriale del caffè, in particolare negli specialty coffee.
Nella mia relazione, sono partita dai concetti di pH e acidità titolabile.
Il pH misura la concentrazione di ioni H+, indicando la forza degli acidi dissociati in soluzione, ma non la quantità totale di acidi. L’acidità titolabile rappresenta invece, l’ammontare complessivo di acidi, inclusi quelli dissociati e non dissociati, e contribuisce in modo significativo all’acidità percepita al gusto. Questi due parametri insieme offrono un quadro completo dell’acidità percepita e del suo impatto sul profilo gustativo del caffè.
Successivamente, ho analizzato il ruolo dei vari acidi organici presenti nel caffè e come la loro concentrazione possa variare in base al metodo di estrazione.
Inoltre, ho presentato anche alcuni dati sugli acidi clorogenici, una classe di composti fenolici presente nei chicchi di caffè verde.
Le tostature leggere, in generale, preservano una maggiore quantità di acidi clorogenici, mentre le tostature scure tendono a ridurre la loro concentrazione, esaltando l’amarezza e riducendo l’acidità percepita.”
Cosa differenzia una miscela di caffè specialty rispetto a quelle commerciali da un punto di vista chimico?
“Uno specialty coffee è tipicamente composto da chicchi di 100% Arabica, mentre una miscela commerciale contiene spesso anche Robusta, che presenta una maggiore concentrazione di caffeina e acidi clorogenici.
Questi ultimi donano sapori più amari e astringenti, contribuendo a un profilo gustativo meno complesso. La varietà Arabica, invece, è nota per il suo profilo aromatico più ricco e delicato, spesso con note fruttate e floreali.
Il caffè commerciale, al contrario, tende ad avere un profilo aromatico più semplice, con predominanza di note tostate, spesso dovute a una tostatura intensa. Questa tostatura scura, pur riducendo la percezione di acidità e aumentando la corposità, può mascherare gli aromi più delicati presenti nei chicchi.
Inoltre, i chicchi destinati al caffè commerciale sono generalmente raccolti e lavorati in grandi quantità, con un controllo qualità meno rigoroso. Questo può portare alla presenza di chicchi difettosi, come quelli malformati o sovramaturi, che possono influire negativamente sulla qualità della bevanda finale.
Al contrario, gli specialty coffee sono selezionati manualmente, con un’attenta rimozione dei chicchi difettosi, ottenendo così un prodotto più puro e complesso. Inoltre, i metodi di lavorazione utilizzati per gli specialty coffee mirano a preservare al meglio i composti volatili aromatici, che sono fondamentali per il loro profilo sensoriale distintivo.
Nei caffè commerciali, i processi industriali più rapidi possono portare alla perdita di questi composti volatili, riducendo la complessità aromatica del caffè.”
Dove crede che la ricerca sul caffè si stia dirigendo nei prossimi anni? Quali sono gli aspetti che vorrebbe approfondire ulteriormente?
“La ricerca del caffè si sta espandendo in molte direzioni. Un primo filone è la sostenibilità e l’economia circolare, sfruttando materiali di scarto come i fondi di caffè per creare prodotti ad alto valore aggiunto.
Ad esempio, i fondi di caffè vengono usati per produrre biocarburanti, materiali compostabili e prodotti cosmetici, grazie anche alla loro ricchezza in polifenoli antiossidanti ed altri composti bioattivi. Questo approccio riduce l’impatto ambientale del ciclo produttivo del caffè e valorizza materiali che, fino a pochi anni fa, erano considerati rifiuti.
Alcune aziende hanno industrializzato la trasformazione dei fondi di caffè in biodiesel e pellet di biomassa, che vengono riutilizzati per tostare nuovi lotti di caffè, creando un esempio di economia circolare. Altri fondi di caffè vengono utilizzati per produrre fertilizzanti. Con il mio gruppo di ricerca, abbiamo recentemente pubblicato uno studio sulla formulazione di un fertilizzante a base di fondi di caffè.
Un altro ambito di ricerca importante riguarda l’enfasi sugli attributi sensoriali, soprattutto per gli specialty coffee. Ad esempio, la SCA sta sviluppando standard sempre più precisi per valutare la qualità del caffè tramite analisi chimiche dettagliate e panel sensoriali, esaminando parametri specifici come la dolcezza.
Infine, un terzo ambito è l’approccio olistico, che mira ad ottimizzare e salvaguardare l’intera filiera del caffè, dalla coltivazione alla tazza finale. Questo comporta lo studio di ogni fase della produzione, dall’agronomia alla lavorazione dei chicchi, fino all’estrazione e preparazione del caffè, per garantire sostenibilità, qualità e un’esperienza sensoriale ottimale.”
In questo momento a cosa sta lavorando?
“In questo momento, stiamo completando vari studi sui sistemi di estrazione e la loro caratterizzazione, includendo metodi come AeroPress, French Press, Pure Brew, V60, Chemex, Moka, Turkish e Clever, utilizzando diverse tecniche analitiche accoppiate alla spettrometria di massa (LC/GC).
Ora mi sto concentrando sull’approccio flavoromico per approfondire lo studio dell’acidità del caffè: un metodo che analizza l’insieme dei composti chimici che contribuiscono al gusto e all’aroma complessivo della bevanda. Questo approccio combina la spettrometria di massa con l’analisi statistica avanzata per identificare quali composti chimici siano responsabili delle percezioni sensoriali.
L’obiettivo è individuare correlazioni tra la composizione chimica e le percezioni sensoriali, come gusto e aroma. Nel contesto del caffè, l’approccio flavoromico permette di esplorare le complesse interazioni tra composti che contribuiscono a creare percezioni specifiche, come appunto l’acidità.
Quest’ultima non è influenzata solo dalla concentrazione di un singolo acido, ma da una combinazione di analiti diversi e composti volatili, che interagiscono per creare un profilo sensoriale unico. Inoltre ogni metodo di estrazione influenza questa interazione, estraendo i composti in modo diverso e contribuendo a variazioni nell’acidità percepita e nel gusto complessivo.”
Quale consiglio darebbe a chi sta iniziando ora un percorso di ricerca in un campo così competitivo?
“È importante sviluppare una mentalità flessibile e adattabile, rimanendo sempre aperti ai cambiamenti senza mai perdere la passione per ciò che si studia. La ricerca richiede dedizione, pazienza e capacità di affrontare gli ostacoli.
È fondamentale imparare a vedere le sfide e gli insuccessi come opportunità di crescita, anche se non sempre è semplice. Consiglio anche di mantenere la curiosità e l’apertura mentale, considerando che la scienza è in continuo progresso. Bisogna evolversi costantemente, partecipando a conferenze e collaborando con esperti per crescere come persone e ricercatori.”