MILANO – Sono in pochi a saperlo: in ambito chimico è nota con il nome 3,7-dihydro-1,3,7-trimethyl-1H-purine-2,6-dione. E’ conosciuta – sempre dagli “addetti ai lavori” – anche come 1,3,7-trimethylxanthine o come 1,3,7-trimethyl-2,6-dioxopurine ed è pressoché identica – e anche in questo caso sono in pochi a saperlo (anzi: alzi la mano chi lo sa) – alla teina, alla guaranina e alla mateina. Un ultimo suggerimento può forse aiutare a capire: questa sostanza favorisce lo stato di veglia, aumenta la concentrazione e la messa a fuoco e diminuisce la percezione della fatica.
Se qualcuno avrà, a questo punto, intuito a cosa si sta facendo riferimento molti altri staranno ancora rileggendo – non senza stupore – le tre nomenclature chimiche con cui si fa riferimento a questa sostanza, che viene consumata quotidianamente da molte persone: la caffeina.
Ma cos’è la caffeina? E in quali piante si trova? Dal punto di vista chimico la caffeina è un alcaloide naturale dai molteplici effetti sul cervello – aumenta la frequenza cardiaca, la respirazione, lo stato di veglia, allevia la fatica e migliora la concentrazione e la messa a fuoco, oltre ad avere effetto diuretico – presente nelle foglie, nei semi e nei frutti di oltre 60 specie di piante, tra cui le piante di caffè, cacao, tè, cola, guarana e mate.
Viene consumata principalmente sotto forma di infusi di semi e foglie (caffè e tè), ma non infrequente è il consumo di compresse (a base di guaranà, erba mate) o di bevande energizzanti che contengono l’estratto di una o più di queste piante. La risposta dell’organismo all’assunzione della caffeina varia da persona a persona: il massimo della concentrazione nel sangue viene raggiunto in genere tra i 15 e i 120 minuti dal consumo.
Ma qual è il meccanismo in base al quale questa sostanza aumenta la concentrazione e lo stato di veglia? I neuroni percepiscono la caffeina in modo del tutto simile all’adenosina, una sostanza che funziona come centrale depressiva del sistema nervoso inibendo l’attività dei neurotrasmettitori e favorendo attività come il sonno.
La caffeina si lega quindi agli stessi recettori cerebrali utilizzati dall’adenosima: di conseguenza i recettori delle cellule nervose, una volta che hanno “legato” la caffeina, non sono più in grado di recepire l’adenosina.
In seguito al blocco della ricezione dell’adenosina da parte delle cellule del cervello la ghiandola pituitaria – che percepisce la situazione come di “emergenza” – stimola le ghiandole surrenali a rilasciare maggiori quantità di adrenalina, l’ormone “della fuga”, innescando l’aumento dello stato di veglia, della concentrazione e la diminuzione della percezione della fatica (sia fisica che mentale).
Gli effetti sull’organismo sono diversi: le pupille si dilatano, le vie respiratorie si allargano, il battito cardiaco e la pressione sanguigna aumentano, i vasi sanguigni si restringono, il flusso di sangue allo stomaco rallenta, la contrazione muscolare viene favorita: tutti meccanismi indispensabili in caso di fuga.