BOLOGNA – Dopo il presidio a tutti i costi, alla Saeco è iniziata la fuga di massa. Le preadesioni alla mobilità incentivata hanno già toccato quota cento. Numero più, numero meno, nei loro silenziosi «sì» all’uscita dalla fabbrica in cambio di 75.000 euro lordi, gli operai hanno abbattuto a malincuore l’ultima cortina di ferro tra gli esuberi voluti da Philips e le proprie speranze. Non sarà mai più come prima. Cinzia Nanni ha 48 anni e due figli. Lavora in Saeco da 26 anni, dieci in più di suo marito che di anni ne ha 46. Entrambi hanno firmato per l’uscita volontaria e vorrebbero utilizzare l’incentivo per aprire un’attività in proprio.
«Mi voglio dare un’altra possibilità — racconta la donna —. Vorrei sfruttare le mie potenzialità, quelle che lì dentro non sono più apprezzate, per creare qualcosa di mio e di piccolo». Cinzia ha l’età della maggior parte dei lavoratori: soltanto una trentina di persone su 558 dipendenti è vicina all’età della pensione. Gli altri, l’85% donne, hanno tra i 35 e i 50 anni.
«Questa mobilità è volontaria solo nel nome — precisa Cinzia —: restare sarebbe stata una lenta agonia per arrivare a una morte certa». Tutte le speranze ora sono riposte nella Regione, «la nostra battaglia — conclude — non era per arrivare all’incentivo ma per salvare i posti di lavoro. Il governo non ne è stato in grado e davanti a una multinazionale ha perso come abbiamo perso tutti».
Alessandro Alvino ha 38 anni. È tra i firmatari per l’incentivo all’uscita e ripone tutte le speranza in un imprenditore o in una cordata che rilevi, con l’aiuto della Regione, le strutture dismesse della Saeco per farne una nuova impresa in grado di recuperare la forza lavoro soppressa.
«Posso rimanere in zona solo con un’alternativa, altrimenti dovrò andarmene». Per Alvino, «visto l’esodo, la sensazione è di essere di fronte agli stessi 243 esuberi annunciati a novembre: quasi duecento persone resteranno senza lavoro e senza promessa proprio come voleva l’azienda».
Anche per lui, come per la collega, il finale della vicenda Saeco «è un atto di resa», e la firma per andarsene «una scelta obbligata, qui non c’è futuro». Due sportelli per le adesioni sono stati allestiti in fabbrica: uno per ricevere le informazioni prima di fare il grande passo, l’altro per la firma vera e propria «non vincolante», spiegano i sindacati.
E c’è chi su Facebook fa i conti e propone di unire le forze per fare una startup: «Perché non trasformare la crisi in un’opportunità? In tantissimi hanno già aderito alla buonuscita di 60.000 euro netti — scrive Fabrizio Uliani — in 10 fanno 600.000, in 100 sono 6 milioni. Tanti soldi per fare una nuova azienda».
Intanto giovedì 18 febbraio è attesa al ministero dello Sviluppo economico la ratifica dell’ipotesi di accordo del 5 febbraio scorso. Entro il 23 del mese, inoltre, dovrà essere sottoscritta la cassa integrazione per 400 persone.
«Non bello vederci tutti ad aspettare il nostro turno per firmare quel foglio — dice Sonia Ricci — Qualche riga che ti porta via tutti questi anni di lavoro dove ognuno di noi ha dato tanto». Claudia Menoni, che lavora in amministrazione, invece non molla: «Ho dei bambini e abito qui vicino — spiega — per un altro paio di anni l’azienda dovrebbe andare perciò resto. Purtroppo so bene che i posti di lavoro che stiamo perdendo non torneranno più».