MILANO – Rubens Gardelli ha vinto a Pechino lo scorso dicembre la finale del Campionato mondiale tostatori. E il torrefattore più bravo del mondo. Ed è la seconda volta che l’Italia può vantare un campione del mondo in una delle specialità di caffetteria. Il primo fu Davide Berti nel caffè turco Cezve/ibrik.
Gardelli, come si sta da Campione mondiale, il più bravo di tutti?
«Si sta bene. In realtà sono riuscito a diventare campione del mondo grazie al mio lavoro come microtorrefattore. È tutto legato. Finalmente, ce l’ho fatta. Dopo tanti anni di risultati non eccellenti ai mondiali (a parte aver vinto 4 volte i campionati di tostatura italiani). Per due volte ho provato il mondiale, senza riuscire ad ottenere ciò che volevo. Poi, al quarto mondiale invece, sì.»
Rivolgendosi a chi per l’appunto non riesce bene la prima volta. Qual è il segreto? Provare e riprovare?
«È fondamentale. Perché si può non vincere la prima volta. L’importante è volere veramente le cose. Si arriva al risultato anche al terzo tentativo.»
Com’è il caffè torrefatto dal Campione del mondo?
«È molto buono. La qualità è rimasta immutata rispetto a quando non ero Campione del mondo. È super selezionato. Mi piace definirmi, come concetto mentale: esistono tante automobili create per una nicchia. Io mi definirei la Ferrari del caffè. Il top dei dei top dei caffè che trovo, è nello stesso che vendo. Non mi adeguo alla richiesta magari commerciale, di mercato, per fare volumi. Non mi interessa.».
Quanto conta il caffè e quanto conta la torrefazione nel risultato finale?
«Credo un 50 e 50. Puoi essere il tostatore più bravo del mondo, ma se non hai innanzitutto il caffè verde adeguato, otterrai un risultato medio. Quindi la prima cosa è il verde. Si parte da lì e poi si aggiunge la propria competenza con la tostatura.»
Fare il tostatore o il torrefattore è difficile?
«Non ho preferenze di termini. Se si intende il torrefattore in quanto azienda è più difficile. Infatti, bisogna saper anche comunicare e vendere alla propria nicchia. È più complesso avere un’azienda di successo come torrefazione, piuttosto che esser bravo individualmente, come persona che fisicamente tosta. Ovviamente, anche questo ruolo ha bisogno di un certo know-how. Fatto di prove infinite e di test. Il metodo scientifico è alla base del mio lavoro. Tosto senza preconcetti, analizzo poi la qualità in tazza di ciò che ho tostato. Infine lo associo. Ad esempio: il profilo numero 7 è il più buono in tazza.»
Il consumatore pensa che la tostatura sia la fase più complessa della supply chain del caffè.
«No. non è la più complessa o delicata. Questa avviene in piantagione. Devi cuocere un caffè buono già in partenza.»
Qual è il caffè in tazza che Rubens Gardelli torrefattore preferisce. Qual è invece quello preferito dal Rubens Gardelli consumatore
«Combaciano. Per una serie di motivi. Il progetto che è nato in Uganda, come una sfida dello status quo dello Specialty Coffee. Rispetto a quelle nazioni che hanno una determinata etichetta nello Specialty. L’Uganda, ad esempio, è famosa per il Robusta. Abbiamo voluto invece dimostrare che dallo stesso Paese si può ottenere un caffè da competizione. Attraverso l’applicazione di metodi di processamento e di metodologie in piantagione, che danno la qualità. Perciò non è un’etichetta di nazione che dà la qualità. Ma la qualità la dà ciò che si fa in piantagione. Il caffè che mi piace di più quindi è quello fatto in Uganda. Perché ho aiutato un farmer a guadagnare molto di più, grazie alla qualità che mi ha dato. »