di Orsetta Bellani*
“Quest’anno abbiamo avuto un calo di produzione del caffè di quasi il 40%”, afferma Julio César Hernández Arizmendi della cooperativa Comunidades Indígenas de la Región de Simojovel de Allende (CIRSA), mentre cammina per il suo campo che si arrampica su una montagna del Chiapas, nel sud del Messico. Poi afferra una foglia di caffè da una pianta spoglia e mostra delle macchie gialle sulla superficie.
È la roya, un fungo che secondo l’organizzazione di agricoltori Coordinadora Nacional de Organizaciones Cafetaleras (CNOC) ha devastato il 50% delle piante di caffè del Chiapas, dove si raccoglie quasi il 40% del caffè prodotto in Messico.
E non si tratta solo di un problema messicano: la roya ha colpito molti paesi dell’America Latina, dal Perù alla Repubblica Dominicana.
In Guatemala e Honduras, dove ha distrutto il 70% delle coltivazioni, la Commissione Europea ha donato 3 milioni di euro agli agricoltori attraverso il Programma Alimentare Mondiale dell’ONU.
“È molto probabile che in pochi anni i Paesi europei avranno problemi a rifornirsi di caffè”, spiega Manel Modelo dell’associazione Impacto Café. “Il prezzo del grano sul mercato internazionale sta comunque diminuendo. Il mercato finanziario del caffè è altamente speculativo, e i meccanismi che lo regolano non hanno niente a che vedere con la domanda e l’offerta reali”.
Quando fondò la cooperativa di caffè Guerrero Maya, nel 2010, Antonio López Jiménez non poteva immaginare che sarebbe arrivato un periodo così difficile. In questa regione chiamata Altos de Chiapas, tra montagne che superano i 2mila metri sul livello del mare, si produce un arabica biologico di alta qualità che viene esportato in tutto il mondo.
Per i contadini della zona, dove l’88% della popolazione vive in povertà, la vendita del caffè è un’entrata indispensabile. “Da noi la roya è arrivata nel novembre 2013 e si è mangiata l’80% dell’ultimo raccolto”, racconta López Jiménez.
Il fungo è presente nell’ecosistema messicano dal 1981 ma nel momento in cui, a causa dei cambiamenti climatici, si sono create condizioni di temperatura e umidità favorevoli, è esplosa un’epidemia che ha spinto 5 stati della repubblica messicana a chiedere al governo federale di dichiarare l’allerta fitosanitaria.
Secondo l’Associazione Messicana della Catena Produttiva del Caffè (AMECAFE), che raggruppa tutti i settori impegnati nella produzione del grano, la roya avrebbe colpito il 40% delle coltivazioni di caffè del paese.
“In Messico non ci sono emergenze né epidemie, il problema della roya è del 10%”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Belisario Domínguez Méndez, direttore generale di Produttività e Sviluppo Tecnologico del Ministero dell’Agricoltura.
La dichiarazione di Domínguez Méndez contraddice i dati dello stesso ministero che, attraverso il Servizio Nazionale di Salute, Innocuità e Qualità Agroalimentare (SENASICA), nel novembre 2014 affermava che la superficie colpita dalla roya sarebbe superiore al 18% negli stati di Veracruz e Chiapas.
Don Elías osserva i suoi campi di caffè che scendono verso un ruscello e spiega che in questa regione della Colombia, chiamata Eje Cafetero, le coltivazioni del grano coprono il 55,3% dell’area destinata all’agricoltura.
Si sviluppano tra le valli verdi delle Ande all’interno di un paesaggio ordinato di paesini e campi, lontano dal caos delle grandi città colombiane. Nel 2008 in questa zona, come in altre parti del paese, si registrò un’epidemia di roya che portò il governo a riseminare 50mila ettari di caffè con piante giovani e di una varietà resistente al fungo.
“In Colombia esiste un’alleanza tra governo, accademia ed imprese che ha permesso di reagire all’epidemia, ma non si può dire la stessa cosa del Messico, dove non c’è coordinazione tra gli uffici pubblici e gli aiuti al settore agricolo risultano frammentati”, spiega Antoine Libert Amico, ricercatore dell’Universidad Autónoma Metropolitana-Xochimilco di Città del Messico.
Secondo Libert Amico, è necessario investire in studi sulle varietà di caffè che a livello locale resistono alla roya, visto che non esiste una “ricetta” per contrastarla: una varietà che resiste al fungo in un determinato ecosistema non necessariamente lo farà in un altro.
“In Messico si stanno implementando solo azioni locali, quello che manca è un piano nazionale contro la roya. Il 22 gennaio il governo ci ha detto che sarebbe stato lanciato a febbraio, ma non l’ha ancora fatto”, denuncia Fernando Celis, leader della CNOC.
L’inazione del governo spinge produttori e istituzioni locali ad allearsi con imprese come Nestlé, che distribuisce piante di varietà di arabica che dovrebbero essere resistenti al fungo. Inoltre attraverso il suo Piano Nescafé, lanciato prima dell’epidemia di roya, la transnazionale svizzera distribuisce piante di una varietà chiamata “robusta“.
Si tratta di un caffè di bassa qualità che, a differenza dell’arabica, si produce sotto i mille metri sul livello del mare, viene utilizzato per la produzione di caffè solubile ed è resistente alla roya. “In alcune zone di transizione, dove si possono produrre entrambe le varietà, a causa delle roya i produttori hanno iniziato a sostituire il caffè arabico con il robusta”, spiega a IlFattoQuotidiano.it Emilio Díaz di Nestlé.
La sostituzione delle coltivazioni è una buona notizia per l’impresa, che è obbligata ad importare il robusta dall’estero per rifornire la fabbrica di caffè solubile più grande del mondo, che si trova in Messico.
Ed è proprio per poter eliminare le importazioni di questo grano che la transnazionale svizzera nel 2010 ha lanciato il Piano Nescafé. Il robusta viene prodotto in monoculture che causano gravi impatti ambientali ed è poco redditizio per i contadini.
“Il suo prezzo è circa la metà dell’arabica, per questo gli agricoltori non lo vogliono seminare – spiega Domínguez Méndez del Ministero dell’Agricoltura – ed è per questo che i programmi del governo appoggiano i coltivatori di arabica, non quelli di robusta, che sono solo il 3% del totale”.
Nel maggio 2010, lo stesso ministero assicurò che non si sarebbe impegnato “nella promozione di programmi di robusta delle transnazionali”. In realtà, due anni dopo decise di partecipare nel Piano Nescafé e di appoggiare con più di 1600 euro ad ettaro le nuove piantagioni di robusta attraverso un programma chiamato Tropico Umido, mentre sono solo 75 gli euro che riparte ai coltivatori di arabica, il 97% dei produttori di caffè del paese.
Reportage realizzato con l’appoggio dell’Iniciativa para el Periodismo de Investigación en las Américas dell’International Center for Journalists (ICFJ) in alleanza con Connectas.