RIMINI – Roberto Breno è il miglior roaster italiano 2023: titolo raggiunto durante il Sigep e che adesso lo porterà a Taipei per i mondiali. Ancora immerso nel via vai della Fiera, e non troppo consapevole della vittoria, ci ha parlato di quello che c’è dietro il primo posto.
Breno, allora, com’è essere il campione torrefattore in un paese dove la torrefazione è un punto saldo della sua tradizione?
“Sicuramente essere il miglior roaster italiano per Sca Italy vuol dire esser ambasciatore del nostro modo di intendere un certo tipo di tostatura di caffè. In Italia esiste una forte cultura e tradizione di torrefazione, e quindi esser il campione italiano mi rende orgoglioso.
Sottolineerei però il mio far parte di Sca Italy, organizzazione che si vuole porre un po’ come un’alternativa a un certo modo di tostare il caffè e intendere la bevanda. Insieme, portiamo un nuovo approccio alla tazzina, totalmente basato sulla qualità e sulla valorizzazione della materia prima.
Come roasters di specialty coffee cerchiamo di interpretare al meglio un prodotto di altissimo livello e di fornire le fondamenta sulle quali, chi si occupa dell’estrazione e quindi dell’uso di tale prodotto, possa costruire una storia da raccontare nel modo migliore possibile.”
Come si è svolta la sua gara?
“Ho trovato la giusta sinergia tra il caffè che ci hanno dato in gara (per il single origin un Ruanda fully washed e per il blend composto da un Messico washed, un Etiopia naturale e un Brasile naturale) me stesso e la macchina usata (una Giesen W6A per la tostaura in gara e una WPG1 come sample roaster).
Sono riuscito a trovare un equilibrio anche nello sviluppo delle componenti del blend, con un risultato finale in una tazzina bilanciato e armonioso.
Sono molto soddisfatto di esser riuscito a interpretare nel modo migliore la proposta del blend, nonostante nel luogo in cui lavoro da anni, Bugan Coffee Lab, abbiamo scelto di non trattarli.
Con Sonia Valli, la mia coach, abbiamo deciso di procedere come avevamo detto dopo il cupping: 50% di Messico, 30% di Etiopia e un 20% di Brasile, per ottenere il risultato finale. ”
Breno, ma come ci si prepara al campionato di roasting?
“Da una parte aiuta il fatto di avere in comune ai competitor la stessa situazione di partenza, avendo a disposizione la stessa macchina, il caffè e muovendosi in un ambiente lontano da quello in cui siamo abituati di solito a lavorare.
C’è bisogno di saper improvvisare direttamente in gara, saper leggere il contesto durante su più giornate di gara intense.
La cosa più bella arriva con il momento della condivisione attorno al tavolo con gli altri roaster. Quando si assaggiano tutte le tazze, senza sapere da chi sono state tostate.
Quindi, fatte queste premesse, come ci si può allenare per questa gara? Credo che l’esperienza e quindi il lavoro svolto ogni giorno, permetta di affrontare al meglio la competizione. Da Bugan ho la possibilità di tostare un’infinità di origini e di lotti diversi. Prevalentemente trattiamo africani, centro americani e altre volte troviamo altre soluzioni interessanti.
Ma il fatto di avere piena fiducia da parte dei titolari, che mi hanno messo a disposizione i macchinari e il caffè, fidandosi ciecamente della mia professionalità, mi ha permesso di arrivare preparato e a fare cose buone.
Il campionato roasting si affronta grazie ad un bagaglio che si costruisce attraverso l’esercizio quotidiano per trattare al meglio la materia prima, il confronto con il team Bugan e la formazione costante. O anche quando capita di instaurare un dialogo con il consumatore finale che mi può restituire un feedback, oltre che, ovviamente, lo scambio con gli altri roaster.”
Le sue tazze come sono state commentate dai roaster e dai giudici?
“Nel nostro confronto le mie tazze sono risultate comunque tra le migliori anche secondo gli altri competitor. Per il single origin ci siamo avvicinati tutti con approcci diversi: qualcuno ha cercato di sviluppare il caffè verso note di sugar browning e una maggiore corposità, invece ho voluto conservare la parte più delicata, floreale e fruttata.
Nel blend ci si è orientati tutti su proporzioni differenti: alcuni hanno voluto dare più spazio al messicano, come nel mio caso, alcuni invece all’etiope o altri ancora al brasiliano. I giudici hanno premiato l’equilibrio e il bilanciamento, l’armonia tra i componenti presenti.”
Per il mondiale, Breno, tutto pronto?
Breno sorride: “Quello che servirà ai mondiali sono sempre: esperienza, interpretazione, adattamento e anche un pizzico di fortuna. Credo che il caffè sia cultura e quindi il confronto ogni giorno tra clienti e colleghi e con chi sta dall’altro capo del mondo sia fondamentale. Ogni Paese ha un suo approccio alla bevanda e cerca cose diverse. Io arrivo dall’italia, ma faccio parte di una community che lo vede in modo nuovo. Senza dimenticarsi che stiamo parlando di interpretazione: io, il mio team e anche i miei clienti sposiamo e proponiamo un certo tipo di approccio. Il bello è confrontarsi con modi diversi di intendere il chicco verde.”
Ma il tostatore è abituato al lavoro solitario, come mai si ritrova poi nella vetrina dei nazionali?
“Faccio parte di un team che investe molto energie nelle gare da tempo e che vuole portare la propria interpretazione del caffè sul palco di Sigep. Mi trovo quindi in un ambiente stimolante da questo punto di vista. Ho seguito le preparazioni di tutti i ragazzi che partecipano alle gare e ho osservato il loro metodo e le loro performance sono da palcoscenico.
Quello di roasting resta un campionato un po’ in disparte, anche se rimaniamo esposti: la parte emotiva da gestire quindi c’è, ma nel momento in cui ci troviamo nel nostro elemento possiamo concentrarci sul nostro lavoro e sull’obiettivo finale. Competere non mi appartiene molto, ma questa gara ti permette di confrontarti con altre 6 persone che fanno lo stesso lavoro a loro modo, restando comunque ben indirizzati sul monitor e sul tamburo della tostatrice in azione.”
Conclude Breno: “Ringrazio quindi il team Bugan, la mia famiglia – in particolare i miei genitori, le mie sorelle, la mia compagna Sofia e mio figlio Elia -. Se ho conosciuto lo specialty è proprio perché ho voluto stare vicino a lui che viveva a Bergamo, mentre io lavoravo a Berlino. Tornando nella mia città, sulla via, mi sono imbattuto nello specialty e ho deciso di seguire questo percorso, trovando Bugan Coffee Lab dove ho potuto crescere professionalmente.
Sottolineo in particolare il mio grazie a Maurizio Valli che quest’anno ha affrontato un percorso notevolmente accidentato e poi la mia coach Sonia, che sia nella tappa di Rovigo che a Sigep è stata fondamentale con il suo supporto. Ovviamente poi a tutti gli altri del gruppo, in primis a Sasha, l’altro dipendente di Bugan con cui lavoro ogni giorno e che è un’enciclopedia di specialty vivente. ”
Il messaggio finale: “Bisogna ricordarsi di esser sempre curiosi e chiedersi cosa c’è dietro le piccole cose, senza dar niente per scontato. Ascoltando diverse voci e tenendo gli occhi e le orecchie ben aperte. Siamo qui sul grande palcoscenico, occupandoci tutti di qualcosa di piccolo come un chicco di caffè, che però spesso viene dato per scontato. Bene, io dico: ritrovate interesse verso i dettagli.”