L’arma da fine del mondo, come si dice, è pronta a essere usata, se il nuovo amministratore delegato di Nestlé, il tedesco (ma cittadino americano dal 2003) Ulf Mark Schneider (FOTO sopra), si accorgerà da qui ai prossimi mesi che il colosso svizzero avrà bisogno di risorse finanziarie, oltre al suo ancora ricchissimo cash-flow, per rimettere a posto le cose che non vanno nelle varie divisioni della multinazionale da 84 miliardi di euro di fatturato.
E riprendere, così, la strada della crescita ferma a un misero 3%, al punto da rischiare il sorpasso, nel segmento cioccolata e caramelle, da parte dell’italiana Ferrero (arrivata al 5,8% di quota di mercato, ad appena un punto percentuale di distanza dal gigante di Vevey).
Arma finale
L’arma finale del nuovo patron Schneider, il primo top manager esterno, selezionato da un cacciatore di teste, nella storia secolare di Nestlé, stando alle analisi contenute in un paper della banca d’affari Natixis (autore l’analista francese Pierre Tegner), è la vendita di quel 23% della L’Oréal da decenni custodito nella cassaforte di Vevey come si conviene a un investimento «long term» che non ha mai tradito le aspettative del suo azionista.
Vendendo questa partecipazione nella multinazionale francese della cosmetica, il manager che arriva dal colosso tedesco della farmaceutica Fresenius (specializzata nel biomedicale, trasfusioni e nutrizione dei malati cronici, 6 miliardi di fatturato e 1,5 di ebitda), potrebbe incassare, ai valori di Borsa attuali, una ventina di miliardi di euro, una cifra pari da sola al 20% dell’intero fatturato del colosso alimentare.
Per farne che cosa?
Per finanziare un’acquisizione gigantesca (ma di chi?) e aumentare così, in un colpo solo, le sue quote di mercato?
Oppure, come fanno osservare gli analisti più avveduti, per avviare quel processo di «turn around», di riposizionamento di un gruppo che per oltre un secolo non ha avuto rivali nei settori del latte, dei prodotti caseari, dei dolci, delle caramelle, della cioccolata, del caffè, dei prodotti per l’infanzia e per gli animali da compagnia.
Ma che ora registra, al contrario, tassi di crescita calanti, talmente bassi (intorno al 3%, come dicevamo all’inizio) da spingere gli azionisti, per la prima volta negli ultimi cinquant’anni, a dare il benservito al vecchio amministratore delegato, Paul Bulcke.
E a sostituirlo appunto con il «doktor Schneider», un tipo di manager mai visto a Vevey, energico e decisionista, uno che in 13 anni ha moltiplicato per quattro il fatturato della casa farmaceutica Fresenius e per 12 i suoi utili netti.
È tutta qui la sfida della nuova Nestlé di Schneider
Rafforzare i segmenti tradizionali (e tra questi la ricchissima divisione caffè, Nespresso, Nesquik e Dolce Gusto che da sola produce, secondo stime, 20 miliardi di franchi svizzeri di fatturato, circa 18,6 miliardi di euro, con un margine lordo superiore al 21%).
Ma al tempo stesso avviare una rivoluzione in tutto il resto del mondo Nestlé, dal settore acque minerali (Perrier, Vittel, San Pellegrino per citare i marchi più conosciuti) che è in gran pena (solo 7 miliardi di franchi di fatturato, circa 6,5 miliardi di euro, e un margine dell’11%) a quello caseario (La Latière) ai prodotti per l’infanzia (Gerber) e per l’alimentazione degli animali da compagnia (Friskies, Purina, Gourmet…).
Questa rivoluzione ha un nome preciso, healthcare, che nel business di Nestlé si traduce nel potenziamento (anche tramite acquisizioni esterne, ecco perché potrebbero servire i miliardi della vendita della quota L’Oréal) di tutte quelle aree produttive e di tutte quelle divisioni della multinazionale che hanno a che fare con la salute e i nuovi modelli di alimentazione legati al benessere e a stili di vita moderni con poco zucchero e molti prodotti naturali.
Quindi più spazio alla divisione «nutrition infantile et aliments thérapeutiques» (proprio il settore da cui proviene Schneider) che oggi fa 15 miliardi di franchi (circa 14 miliardi di euro) e ha un margine operativo già altissimo, il 20%.
Ma che potrebbe ancora crescere e meno alla divisione «confiserie et chocolat» (laddove Nestlé si confronta con Mars e la nostra Ferrero) che fa ancora 8,8 miliardi di franchi (8,2 miliardi di euro) ma non sembra avere più lo slancio e la redditività di un tempo (oggi il margine è del 14%, appena superiore a quello delle acque minerali).
La cura Schneider
Alla fine della cura, che Nestlé sarà quella del doktor Schneider, che si è insediato ufficialmente solo ieri, 2 gennaio, ma che da mesi, da luglio scorso, incontra tutti i manager della top line, dai direttori di divisione ai direttori commerciali, riuscendo a convincere anche i più scettici, come confida una fonte interna a ItaliaOggi, della bontà delle sue strategie, chiamiamole pure salutistiche?
Una Nestlé probabilmente più empatica, più vicina ai consumatori, più ecologica, lontana dalla vecchia immagine della multinazionale alimentare insensibile ai problemi dell’ambiente e dell’agricoltura.
«Il piano di Schneider», spiega un banker della banca d’affari Vontobel di Zurigo, «ormai è ben definito nei contenuti e nei tempi. E partirà prestissimo».
Pensando alla salute (dei consumatori), ma con l’obiettivo immediato di raddoppiare il tasso di crescita, dal 3 al 5-6% nei prossimi due anni. Perché, in caso contrario, Nestlé sarà «un geant qui vacille lentement», un gigante con i piedi d’argilla.
Giuseppe Corsentino