domenica 22 Dicembre 2024
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Napoli, dove la tazzulella non può esser d’asporto: perché l’espresso è anche socialità

Assurdo viene definito dai titolari dei bar l’asporto del caffè previa prenotazione on-line o telefonica. Il presidente di Fipe-Confcommercio, Massimo Di Porzio: “Non capisco perché ad un cliente all’esterno del locale non si potrebbe consegnare un caffè, così come un macellaio consegna un pacchetto con la carne"

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NAPOLI – La Fase 2 per i pubblici esercizi arriva sostanzialmente insieme a una formula di servizio, ovvero quella dell’asporto. Ma questo modello andrà davvero bene per tutti? Sono infatti tanti i locali che non sposano con piacere questo sistema che al contrario sta stretta: come immaginare infatti di riformulare il rito napoletano, la sua intrinseca socialità e spontaneità, con prenotazioni e bicchierini take away? Vediamo cosa succede in questa parentesi delicata dal sito interris.it.

Rito napoletano e d’asporto possono convivere?

Con il lockdown il rito napoletano del caffè per socializzare è finito, riducendo il consumo ad una dimensione individuale, e nella Fase 2 la tazzina del bar da asporto o consegna non decolla. La Fase 2 permette la consegna a domicilio ed asporto, ma solo su prenotazione. Tutto il contrario della socializzazione, e per i bar più grandi, non ci sono le condizioni per riaprire.

Resta chiuso il “Gambrinus, locale-simbolo, che in una normale giornata pre-Covid 19 serviva al banco “diverse centinaia di caffè”. “Abbiamo 30 dipendenti in cassa integrazione – dice Massimiliano Rosati – ed i contratti a termine non sono stati rinnovati. Il movimento turistico è a zero.

La ripartenza è possibile per il rito napoletano?

Riaprire prima del 1 giugno? Non escludiamo di farlo, e non abbiamo aderito alla protesta dei commercianti di Chiaia. Non è il momento delle polemiche, ma dobbiamo fare una valutazione sui costi. Con questi numeri non ci rientriamo”. Nella Galleria Umberto I, popolata solo di clochard, che ci allestiscono i loro giacigli, i bar che hanno aperto sono due.

Niente tavolini, che sono vietati: “Posso vendere forse 30 caffè ai clienti dell’ ufficio postale – dice sconsolato uno dei titolari – così non vale la pena di lavorare”. Chiusi i grandi locali, aperti solo i piccoli bar, a conduzione familiare, senza dipendenti. Alla Stazione centrale non ha riaperto neanche la caffetteria-ristorante.

“Ha riaperto forse un bar su 10 – dice il presidente di Fipe-Confcommercio, Massimo Di Porzio – i bar, con gli uffici e la gran parte dei negozi chiusi sono i più penalizzati della nostra categoria, insieme alle pasticcerie. A chi lo consegnano il caffè?”.

Il caffè da asporto

Assurdo viene definito dai titolari dei bar l’asporto del caffè previa prenotazione on-line o telefonica. “Non capisco perché ad un cliente all’esterno del locale non si potrebbe consegnare un caffè, così come un macellaio consegna un pacchetto con la carne – aggiunge il presidente della Fipe – l’ordinanza mi sembra molto approssimativa. Ci fanno carico anche delle file all’esterno ai locali, come se potessimo essere responsabili dei comportamenti della gente”.

I bar in gran parte chiusi, dal centro al quartiere collinare del Vomero, dove a piazza Vanvitelli funzionano tre locali su sei, contribuiscono all’immagine di una città semivuota, come in una giornata di pieno agosto. I pochi locali aperti hanno l’ingresso sbarrato con tavolini o cordoni di plastica per impedire l’accesso dei clienti. Spesso sulla vetrina c’è un cartello con il numero di telefono per le prenotazioni. Ma chi prenota una tazzina di caffè?

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