MILANO – La Pasqualina è un veterano della Guida del Gambero Rosso, più volte premiato come miglior bar dell’anno, questa edizione tra i 5 finalisti e quindi tra i migliori in Italia. La ricerca di qualità e sostenibilità sembra essere una caratteristica intrinseca di questo luogo che dentro di sé ospita diverse anime, dalla caffetteria alla pasticceria, alla gelateria, dalla torrefazione all’agricoltura.
La Pasqualina: cosa c’è dietro questi 3 chicchi e 3 tazzine mantenuti solidi e in alto per tutti questi anni?
Riccardo Schiavi prova a dare una risposta: “Partiamo dal presupposto che credo che si debba fare sempre meglio. Se c’è una cosa di cui vado fiero è che La Pasqualina è sempre in azione, con pregi e difetti. La perfezione non esiste.
Evolviamo continuamente il nostro modo di lavorare, alla ricerca dell’eccellenza che
non si raggiunge mai. Soltanto nel pensare di averla raggiunta, si smette di voler crescere.
La locanda fondata da Zia Pasqualina si era trasformata, con l’aiuto dei miei nonni, in una trattoria seguendo la passione famigliare del tennis. Poi con i miei zii negli anni ’80, è diventata una gelateria.
Io rappresento la quarta generazione de La Pasqualina, che ho trasformato in modo da tenerla in attività in tutte le stagioni, con l’aggiunta di altri prodotti come la cioccolata calda, il tè in foglia (siamo arrivati oggi ad averne in menu 80 varietà), la pasticceria e oggi tutto ciò che si trova in vetrina è prodotto al 100% da noi ad eccezione del vino e proprio del tè.
Ovviamente lavoriamo con un metodo frutto di anni di studi sul campo: siamo molto attenti a quello che producano e alla selezione degli ingredienti. Sento molto la responsabilità nei confronti dei miei clienti, nell’offrire prodotti buoni anche da un punto di vista nutrizionale, affinché inquinino l’organismo il meno possibile.”
Parlando della cura per i prodotti, neppure il caffè non è lasciato al caso. A La Pasqualina addirittura lo tostate: quali origini trattate, come le tostate?
“Ho ereditato dai miei nonni l’arte dell’accoglienza e il concetto della miscela mi era già ben noto. Volendo preparare prodotti personalizzati, anche il caffè non poteva sfuggire a questa logica.
Circa otto anni fa, ho scoperto una monorigine etiope molto acida e fruttata di cui mi sono innamorato: ho provato ad inserirla ne La Pasqualina, ma non è piaciuta per nulla.
Allora abbiamo fatto un passo indietro e, dopo diverse prove nella nostra torrefazione, abbiamo intrapreso un percorso differente.
In Italia purtroppo non c’è tanto caffè buono. Io do l’input al mio torrefattore, con cui lavoriamo anche una Robusta di ottimo livello e abbiamo studiato insieme un blend di un Etiopia, Columbia, Brasile e India , a tostatura media.
Ho notato che a Bergamo va molto bene. Con diverse prove ho imparato che bisognava
dare modo alle persone di abituarsi a questa nota acida e ad apprezzarla.
Ma la qualità resta la priorità: ad esempio siamo tra i pochissimi a mettere nel menù la dicitura “caffè fresco” (non più di 20 giorni dalla tostatura). Consumiamo circa 3 chili al giorno per locale”.
Il prezzo è un problema?
“Purtroppo la caffetteria, pensando soprattutto al cappuccino con brioche, non è valorizzata. Le persone dicono “eh ma il caffè è il caffè e non può costare più di tanto”. Questo è un tratto culturale tutto italiano.
A queste persone vorrei chiedere che cosa riescono ad acquistare altrove con 1 euro e 30. Voglio la lista: nemmeno le caramelle riuscirebbero a comprare.
Il punto è che offrire un caffè – almeno per come la vediamo noi – significa studiarne l’aroma, calibrarne la tostatura, fino ad offrire al nostro cliente un’esperienza che, anche se dura solo 5 minuti, deve lasciare il segno per tutta la giornata.
Questo purtroppo non è sempre facile da spiegare e tantomeno da comprendere, ma chi sceglie di venire da noi ogni giorno ha ormai capito ciò che gli offriamo e il valore di
ciò che ci sta dietro.
Mi piacerebbe in futuro che questo fosse compreso da tutti in Italia, valorizzando una
delle bevande che ci ha reso famosi nel mondo.
So che dico cose impopolari ed è chiaro che gradualmente dovremmo tutti insieme noi ristoratori aumentare il prezzo.
Il problema non è tanto il costo del caffè, ma tutto quello che va pagato attorno alla
tazzina.
Il macchiato non può costare ad esempio quanto il caffè normale, in parte per l’impiego del latte, ma soprattutto per l’operatore che dietro al bancone deve gestire la macchina e la preparazione.
Ricordiamoci che mediamente il costo del personale incide per il 40% sul fatturato.”
Ma voi avete comunque dovuto alzare il prezzo del caffè? È stato un problema per i clienti de La Pasqualina?
“Per il momento siamo già da 6 mesi sull’euro e 30. Qualcuno ha notato l’aumento, ma ad un certo punto la gente capisce il motivo dietro il rincaro.
In ogni caso sono dell’opinione che da qui in avanti non sarà il prodotto di qualità, ma il servizio, ad essere il vero valore aggiunto per un locale.”
Avete pensato di giocare un po’ con il caffè da La Pasqualina?
“Abbiamo provato qualche mese a servire mono-origine ed estrazioni alternative, ma abbiamo talmente tante cose da gestire che attualmente non è sostenibile specializzarci così tanto.
Usiamo l’espresso nel gelato e proponiamo anche il ‘caffè La Pasqualina’, cioè una tazzina con un piattino di nostri dolcetti a 5/6 euro.
Prepariamo anche una pralina con la polvere di caffè, vendiamo i pacchetti per casa con un macinatore dedicato per la giusta estrazione.
Abbiamo anche ‘il caffè del centenario’, un espresso con il gelato al fior di latte, crema di mandorla e una spolverata di crumble.”
Sostenibilità, un capitolo importante oggi, anche per la Guida del Gambero Rosso
“Abbiamo un’azienda agricola da 17mila metri, più di 200 piante da frutto, circa 400 piante di piccoli frutti, una serra da 800 metri quadrati in cui si coltivano zucchine verdi e gialle, peperoni, finocchi, patate, pomodori di 4 tipi, angurie, meloni e anche qualcosa di più.
Ho tre persone che ci lavorano.
Ecco, qui si capisce cosa sia la sostenibilità.
Tenere conto di questa azienda significa dover gestire un’altra attività parallela: bisogna considerare il terreno, occuparsi dei prodotti con fatica, fare esperienza anche
sugli errori e mettere in conto delle perdite.
Ho visto le piantagioni del caffè nelle fazendas in Brasile e ho capito che per far un buon frutto ci vuole buona terra, il giusto clima e soprattutto manodopera.
Tutto quello che coltiviamo lo impieghiamo poi nei nostri locali e per i nostri clienti.
Semplicemente proponiamo nel menù, una crostata di frutta fresca biologica colta in giornata: questo si trova da La Pasqualina. Per diventare biologica abbiamo dovuto affrontare diversi anni di iter burocratici per ottenere la certificazione. Abbiamo persino inserito tra la coltivazione le coccinelle per eliminare gli afidi, evitando l’uso di pesticidi chimici.
Abbiamo settato 80 kilowatt come potenza, investendo sui pannelli fotovoltaici che oggi fanno anche da tettoia per i nostri posti macchina. Insomma, il concetto della circolarità deve guidare quando si parla di sostenibilità.
E la sostenibilità passa anche dal fare ‘cultura del cibo’. Periodicamente apriamo l’azienda per fare educazione attraverso i laboratori per i bambini.
“Educando i miei figli ho educato me stessa”: così ha scritto mia madre nella dedica di un suo libro. Credo molto in questo principio: spiegando ai più piccoli, impariamo anche noi.
Tornando a parlare di sostenibilità: mio figlio, 7/8 anni fa, mentre ci lavavamo i denti, ha chiuso l’acqua per dirmi “papà, non sprechiamone”.
Cosa c’è di più bello nella vita di quando un figlio ti riprende per qualcosa di giusto?
Qualche anno fa, prima del Covid, avevo deciso di dedicare dei pomeriggi alla pulizia delle zone comuni di aree del paese in cui abbiamo la nostra sede. Io e i miei dipendenti ci siamo organizzati, invitando anche i clienti a seguirci.
Purtroppo, l’adesione è stata davvero bassa. Una piccola delusione, ma mi ha fatto capire che c’è ancora tanta strada da fare e che quella che stiamo percorrendo è quella giusta.”
Personale e modello della caffetteria
“Uscendo dal solito stereotipo dei giovani che non hanno voglia di lavorare, di base bisogna dire questo: il mondo del food si sta evolvendo.
Al posto delle librerie aprono ovunque dei nuovi locali di cibo: quindi facendo i calcoli, i lavoratori sono ancora 100, ma i negozi sono diventati 200. Per questo si fa fatica a coprire con il personale tutte queste attività.
A questo punto ci si deve fare delle domande di altro genere: abbiamo sempre tenuto aperto perché così si pensava di dover fare. Ma di bar ce ne sono tantissimi e allora, perché non rifare i conti?
Conviene davvero tenere aperto anche nelle fasce orarie in cui non viene nessuno? Per queste ragioni, nel locale ad Almenno, il lunedì, il martedì e il giovedì apriamo alle 7 del mattino, ma in inverno chiudiamo alle 20 invece che alle 24.”
La Pasqualina il prossimo anno nella Guida o nel futuro più lontano?
“Nel futuro de La Pasqualina c’è il modo di interpretare il lavoro rimanendo fedele al dna della nostra famiglia, guardando sempre avanti.
Ogni giorno ce ne inventiamo qualcuna per fare le cose con serenità e lavorare bene, con attenzione al cliente.
Due obiettivi futuri ce li abbiamo: quest’anno abbiamo realizzato un dehors, di cui vado molto orgoglioso, nel centro di Bergamo e a gennaio restaureremo una sala del locale storico. Per la fine dell’anno prossimo, sopra La Pasqualina vorremmo ricavare un B&B, in una casa che può raggiungere le 7/8 camere e noi partiremo con 2.”