TRIESTE – Quando a marzo alcuni volontari si sono proposti di sottoporsi al primo vaccino italiano contro il Covid, il ReiThera, tra gli altri si è offerto anche il presidente di illycaffè Riccardo Illy: ora anche l’imprenditore è rimasto “intrappolato” nel sistema di certificazione, che gli impedisce di lavorare liberamente a causa del fatto che non è stato riconosciuto per ottenere il green pass. Leggiamo l’intervista rilasciata a Benedetta Moro su corriere.it.
Riccardo Illy, vaccinato ma non certificato: il paradosso
Sul Corriere: In marzo aveva deciso con convinzione di partecipare come volontario alla sperimentazione avvenuta anche a Trieste, e conclusa a giugno, del primo vaccino italiano anti Covid: quello dell’azienda biotech laziale ReiThera, basato su un virus del raffreddore del gorilla.
La scelta di cinque mesi fa però comporta ora un disagio non indifferente per Riccardo Illy, dell’omonima famiglia triestina del caffè: non può ottenere il «green pass».
L’ex sindaco di Trieste e governatore della Regione Friuli-Venezia Giulia, presidente del Polo del Gusto — che raduna diversi marchi, tra cui Domori (cioccolato), Mastrojanni (vini) e la francese Dammann (tè) — si trova nella stessa situazione degli oltre 900 volontari italiani, tra cui lo scrittore Gianrico Carofiglio, che hanno aderito all’iniziativa.
E con lui anche la moglie, Rossana Bettini, scrittrice e presidente dell’Istituto Internazionale Chocolier di Brescia, che sottolinea sul Corriere:
«Credo ci sia un netto problema geopolitico, perché continuano a imperversare Pfizer e Moderna e si continua a osteggiare ReiThera». L’impasse burocratica è dovuta a una circolare del ministero della Salute, che concede la carta verde solo a chi si è immunizzato con i quattro vaccini riconosciuti dall’Ema: Pfizer-BioNtech, Moderna, AstraZeneca e Johnson & Johnson.
Riccardo Illy, quando ha scoperto che non può ricevere il «green pass»?
Risponde al Corriere: «Quando di recente mia moglie e io lo abbiamo richiesto. La cosa strana è che al contempo mi è arrivata la lettera dalla Regione che m’invitava a vaccinarmi».
Prima nessuno le aveva detto nulla?
«No».
Qual è stata la vostra reazione?
«Sapevamo che fare da “cavie” avrebbe potuto comportare determinate situazioni, ma siamo delusi e avviliti per l’atteggiamento del governo nei confronti dell’azienda italiana ReiThera: ha sviluppato un vaccino che funziona e con poche controindicazioni ma non riesce a ottenere finanziamenti pubblici. Sottolineo che il vaccino costerà molto meno di Pfizer e Moderna, di cui è stato appena annunciato un aumento di prezzo. E penso che ora ciascun Paese potrebbe acquistarlo senza la mediazione dell’Ue. C’è inoltre un paradosso».
Quale?
«A chi ha avuto il Covid o è stato inoculato un vaccino “ufficiale” viene dato il “green pass”, mentre a noi, che comunque abbiamo gli anticorpi, no».
In che modo questo limita la sua vita quotidiana?
«Per le attività ludiche posso temporaneamente attendere. Ma per il lavoro no. Devo andare all’estero, dove ho delle aziende. Sarà un problema anche andare al ristorante per lavoro».
Perché avete deciso di fare il vaccino sperimentale?
Risponde a Benedetta Moro: «Volevamo fare qualcosa di buono, contribuire allo sviluppo economico del Paese, perché crediamo nel made in Italy. Inoltre in questo modo ottenere un vaccino italiano sarebbe stato più facile e meno costoso».
Quali soluzioni adotterete?
«Nel breve termine i tamponi, con la difficoltà che comunque in alcuni Paesi non bastano. E poi, se la situazione non si risolve entro agosto, dovremo sottoporci a un vaccino riconosciuto dall’Ema, peraltro in doppia dose. Ma anche qui c’è un paradosso».
Ovvero?
Conclude l’intervista sul Corriere: «Chi ha avuto l’infezione deve fare una sola dose, noi due. Scriveremo il libro dei paradossi».