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martedì 05 Novembre 2024
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Reserve roastery: «L’arrivo di Starbucks non stupisce la Milano globalizzata»

Nella metropoli lombarda si è già abituati da tempo ad aprire il computer, caricare il cellulare, accedere liberamente al wifi, ovunque regnano ciambelle glassate, muffin e cookies

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MILANO – Alle varie opinioni che stanno nutrendo il dibattito attorno all’inaugurazione della prima Reserve roastery di Milano, si aggiunge quella di Maria Fioretti. Autrice dell’articolo che proponiamo di seguito, che getta le basi per una riflessioni interessante sul carattere davvero innovativo di questo inizio Starbucks in terra lombarda.

di Maria Fioretti

Reserve roastery: a Milano mancava davvero?

Ora io non so se qualcuno di voi lettori ha mai attraversato Milano. Se ci avete mai vissuto, se ci avete trascorso un breve ma intenso week end o solo qualche mese; oppure se siete stabilmente emigrati, se la odiate, se ne siete innamorati.

Fatto sta che – in ognuna di queste ipotesi – basta un attimo per accorgersi che la metropoli lombarda è la meno italiana del nostro grande Paese. Ma soprattutto è una città mai uguale a se stessa, aperta e mutevole, che va dai grattacieli della CityLife alle cascine a corte sul Naviglio della Martesana.

E adesso c’è anche lo Starbucks più grande e più bello d’Europa

Sì, però è arrivato solo dopo i centocinquanta Matcha Cafè in cui si degusta questo verdissimo caffè giapponese; o eventualmente un matcha latte – fate voi – intanto è l’alternativa healthy all’espresso. Un super antiossidante e altre parole molto milanesi.

Ma Starbucks viene anche dopo il Crazy Cat Cafè, primo e unico della Lombardia ad unire fusa e caffè, il bar più instagrammabile di sempre. In ogni dove si può aprire il computer, caricare il cellulare, accedere liberamente al wifi.

Starbucks è solo incredibilmente più glamour

Perché obiettivamente ha dato lustro al vecchio palazzo della Posta e alle sue terrazze tombate, all’interno – tra il soffitto in vetro e i marmi del pavimento – entra talmente tanta luce da restare accecati (che nel grigiore nebbioso non è mai un male). E’ il trionfo del made in Italy.

Dalla panetteria Princi all’installazione del pannello a palette realizzato dalla Solari di Udine. Ma soprattutto ovunque a Milano regnano ciambelle glassate, muffin e cookies; addirittura c’è il taiwanese bubble tea, che sarebbe tè – nero o verde – con l’aggiunta di palline che esplodono in bocca.

Da qui è facile arrivare a comprendere come ci stupisca tanto rumore intorno alla catena di Mister Howard Schultz

L’imprenditore che a tutta questa scelta ha soltanto aggiunto una Reserve Rostery che fa l’espresso frizzante e altre 115 versioni della bevanda più amata dagli italiani. Fino all’Emerald Mule che è il Moscow Mule ma con la caffeina: una pippa a confronto del The Revenant proposto dal Nottingham Forest. – mio posto preferito, sempre a Milano, sempre in centro – che sarebbe estrazione ad ultrasuoni di quercia in vodka servito con uova di insetto e resina di pino.

Forse Starbucks è la cosa più canonica che si può rintracciare a Milano

Ma sicuramente un posto così poteva aprire soltanto a Milano. E se il colosso di Seattle può insegnarci qualcosa sul caffè, sta nel modo di venderlo; nella capacità di farne un’esperienza totale, cosa che al Sud abbiamo abbondantemente già capito. Infatti se aprisse Starbucks a Napoli ci vorrebbe una fila chilometrica, ma di pernacchie all’ingresso.

Dopodiché io che sono nostalgica continuerò ad andare al Caffè delle Cinque Giornate. Quello che una volta mi ha fatto commuovere per il bicchierino d’acqua – non esplicitamente richiesto – accanto alla tazzina.

Però mi basta sapere che Starbucks non piace a Salvini per prenotare la mia degustazione di tre tazze preparate con il metodo Clover. Ovviamente aspettando che nei prossimi mesi apra Starbucks quello classico, col frappuccino e il nome sbagliato sul bicchiere bianco con la sirena verde: questa sì che è l’Europa.

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