MILANO – Luca Ramoni è un bresciano atipico. È più facile incontrarlo a Milano o in giro per l’Italia che in patria. Dove un tempo teneva apprezzati e frequentati corsi di caffetteria. Oggi, invece, dirige con abilità gli stessi corsi che però tengono i suoi collaboratori. In 11 sedi Aicaf sparse in tutta Italia, da Nord a Sud, isole comprese. Ma Milano è da sempre nel cuore di Ramoni, sia per i suoi rapporti con l’Altoga sia per gli storici corsi tenuti al Politecnico del Turismo e del commercio, il Capac di Via Murillo 17 proprio a Milano. Dove proseguono anche oggi.
E lì lo abbiamo incontrato. Doveva tenere la prolusione, il fervorino, per caricare a dovere un bel gruppo di giovani (e anche non giovani) ragazze e ragazzi impegnati in un corso di 3 giorni. Parole coinvolgenti sulla caffetterie e anche su Comunicaffè: applausi, dei presenti.
Perché un corso di 3 giorni? Bastano per imparare il mestiere di barista?
Luca Ramoni: «No. In tre giorni non si impara a fare il barista. Quello che è sempre stato l’intento di Aicaf e Altoga, l’Associazione lombarda torrefattori, importatori di caffè e grossisti alimentari, è almeno quello di aggiustare la mano del barista. Da notare che quelli che arrivano ai corsi sono quasi tutti già baristi o presunti tali. Perché qui arrivano persone che hanno tutte un loro backgroud. L’intento è quello di dare loro nuovi strumenti o perfezionare il modo di usare gli strumenti che già hanno. Diventare baristi? Non lo si diventa mai! Questo deve essere l’intento del barista vero. Porsi sempre dei nuovi obiettivi, alzare ogni volta l’asticella per migliorare sempre il proprio locale. Questo è il barista. È colui che vuole diventarlo».
Chi sono esattamente i 16 ragazzi e ragazze che stanno frequentando questa tre giorni di caffetteria?
«Nei gruppo abbiamo operatori di caffetterie. In questo caso Milano e hinterland milanese. Qualcuno sta aprendo un locale o una caffetteria. A volte capitano anche senza alcuna esperienza ma con l’idea di saper fare il barista. E questa è la parte più difficile da mettere in carreggiata. E poi abbiamo una piccola fetta di iscritti che vogliono affacciarsi al lavoro di barista. Quindi studenti universitari piuttosto che chi vuole cambiare lavoro».
Quali sono i vuoti, le mancanze più importanti di questi corsisti?
«La materia prima. Il caffè in se, per assurdo. Non conoscono che cos’è, da dove arriva e come arriva qui da noi. Sembra strano ma credetemi è così. A mostrare del caffè verde o una drupa vediamo bocche aperte dallo stupore. E anche l’uso degli strumenti è una scoperta. A cominciare dalla regolazione del macinadosatore. Sanno che si schiaccia il pulsante e si tira la leva ma ignorano come è costruito.»
E la macchina?
«Parlerei di conoscenza approssimativa. La tecnologia in questi ultimi anni ha fatto passi da gigante. In questa sala corsi abbiamo 9 macchine differenti, tutte con tecnologia più o meno avanzata. Anche qui c’è poca conoscenza sulla macchina. La caldaia, l’uso corretto. Purtroppo arrivano qui che sanno schiacciare il pulsante o tirare la leva. Ma da lì a fare un buon espresso, capire che cosa vuole dire estrarre un caffè nel modo corretto ce ne passa. Questo anche perché sono per una buona metà degli autodidatti.»
È un settore nel quale c’è tanto da fare.
«Mi ricollego alla prima risposta. Tre giorni non bastano per imparare. I nostri percorsi sono 18, diciotto programmi o corsi di formazione tutti ben spiegati sul sito dell’Accademia www.aicaf.com. sezione corsi di formazione. Lì si trova il programma dei primi 3 giorni. Ai quali se ne aggiungono altrettanti di analisi sensoriale, che noi chiamiamo sommelier dell’espresso. E sottolineo dell’espresso e non di altri metodi. Poi abbiamo altri 3 giorni sul crudo, tostatura e metodi di estrazione alternativi che sono venuti di moda. Ecco, questo è il nostro percorso di base. Dove giunto alla fine l’allievo può dare l’esame di maestro del caffè. Poi ci sono tutta una serie di corsi opzionali. Dal marketing in caffetteria, che purtroppo fanno in pochi. Ed è un peccato perché questo del marketing è l’altro elemento fondamentale che fa stare in piedi una caffetteria. Perché un bar sta in piedi per il caffè e i prodotti ma serve anche la gestione del locale. I locali chiudono perché i baristi non li sanno gestire».
Un investimento di tempo e di denaro che non si può evitare?
«Sì. E non lo dico per tirare l’acqua al mio mulino. Ma perché ho visto negli anni tante persone che sono partite da Aicaf e adesso lavorano come consulenti di formazione in importanti torrefazioni di tutta Italia. Ma hanno anche vinto campionati, sono responsabili di strutture, lavorano in caffetterie importanti. Non faccio nomi per non fare torto a nessuno. Ma la lista è lunga.»
Milano, Roma, anche Napoli e in Sardegna. Quante sedi ha Aicaf?
«Ci siamo fermati a 11 per non disperdere troppo le energie quindi anche per un discorso di gestione. Adesso stiamo aprendo Faenza (Ravenna). E poi con dei nuovi formatori a Udine. Qui oggi tra gli aspiranti istruttori c’è Renata Zanon che è proprio della città friulana. Infine La Spezia, per coprire la Liguria. Ma non andremo oltre con le sedi. Poche ma buone.»
Quindi non soltanto istruite baristi ma preparate anche istruttori di caffetteria.
«Quello che Aicaf propone è dare opportunità vere. A tutti i livelli. Siamo un gruppo che fa crescere le persone. Il professionista può fare il barista o occupare una nuova posizione che si sta aprendo come il consulente formatore nelle torrefazioni. E se le torrefazioni sono 800 abbiamo almeno 800 posti di lavoro. Mi piace il lavoro di gruppo, mi piace condividere.»
Aicaf è nata nel 2006 per formare maestri di caffetteria. Ora la stessa espressione la sta usando Starbucks nelle ricerche di personale per la Roastery che aprirà a Milano.
«Con Howard Shultz non ho ancora avuto contatti… Aicaf, nel suo piccolo, quando cominciavamo a vedere i movimenti nell’ambito del mondo del caffè, capì che serviva un network che si occupasse di formazione. Per la definizione maestri di caffetteria ci siamo ispirati a mondi paralleli. Esistevano già i maestri pasticceri, all’epoca ne parlava Igino Massari. Mancava il maestro di caffetteria in un mondo che iniziava a muoversi. Di qui la denominazione. Che abbiamo registrato subito come marchio. Così come abbiamo registrato anche sommelier dell’espresso. E adesso è una bella soddisfazione vedere che abbiamo avuto la vista lunga».
Howard Schultz ha detto in una recente intervista che intende ripartire da Milano dove tutto era cominciato. Lo stesso sta facendo Aicaf con la ripresa dei corsi al Capac?
«Stiamo rilanciando fortemente Milano che ha avuto un periodo di pausa. Siamo nel 3.0 perché sentiamo le ondate di richieste. Ripartiamo con una programmazione intensa con corsi tutti i mesi. Tre, 4 giornate di formazione dedicate a sezioni specifiche che vanno dal maestro barista al sommelier del caffè alla roastery per completare il percorso formativo. Sì, stiamo seguendo la stessa strada di Starbucks…nel nostro piccolo.»