MILANO – A seguito dell’articolo pubblicato da La Repubblica il 27 Luglio (“Caffè, il più clamoroso equivoco gastronomico d’Italia”) e alla risposta dell’Iiac
(“L’Espresso Italiano è equilibrato, non come le spremute al limone specialty”), ecco la presa di posizione de Le Piantagioni del Caffè. L’ha scritta Prunella Meschini, figlia di Enrico Meschini fondatore del Csc, Caffè speciali certificati, nonché responsabile ricerca e sviluppo del prodotto per il torrefattore di Livorno – primo in Italia nel 1994 ad affrontare il tema dei caffè speciali. L’intenzione dichiarata sin dalla premessa è quella di creare una discussione costruttiva che possa portare bene al nostro paese, in particolare al settore della caffetteria e della torrefazione.
“A livello internazionale, quando un barista competente seleziona il torrefattore da cui rifornirsi, difficilmente pensa a un torrefattore italiano” inizia Prunella Meschini
Che continua: “Dale Harris, – ad esempio – Inglese, World Barista Champion 2017, come riportato dal Washington Post, ha paragonato l’espresso italiano a quello che per i newyorkesi è l’hot dog: ‘It’s super cheap. It’s super authentic. No, it’s not objectively good.’ (È super economico, è super autentico. No, oggettivamente non è buono). Purtroppo, è così che il caffè italiano viene visto all’estero da coloro che domandano qualità e questo per noi rappresenta un grande tema di sofferenza: personale, e per il marchio del made in Italy”.
Meschini: “Siamo la patria del buon gusto, della dieta mediterranea, del cibo inteso come fondamento della nostra cultura e della nostra tradizione. Attraverso grandi maestri pasticceri e grandi chef riconosciuti internazionalmente ci siamo evoluti, non restando esclusivamente ancorati alla tradizione, ma divenendo un faro di innovazione.
Vorremmo che ciò accadesse anche per il caffè, ma riteniamo che le opportunità di intraprendere questo percorso non risiedano nello scontro o nella critica tout court del mondo del caffè italiano, così come non possano essere colte se continuiamo a negare ciecamente i problemi oggettivi che affliggono il nostro settore e il nostro mercato.
È necessario ripartire dal valore della tradizione e basare su di esso un’evoluzione qualitativa e culturale che porti il caffè italiano a riconquistare la dignità e il ruolo di guida che gli competono anche a livello internazionale. È il mondo che ce lo sta chiedendo!”
Meschini: Il circolo vizioso è sotto gli occhi di tutti
L’uso di caffè verde di bassa qualità, sovra-tostato per eliminarne i difetti appiattendolo su un profilo amaro legato a sentori di bruciato, ha determinatouna standardizzazione delle abitudini di consumo legate al caffè e ha impedito la crescita culturale del barista e del consumatore. Il nostro paese è quindi rimasto legato a un modo di bere caffè a
basso prezzo, veloce e poco attento alla qualità.
La classica tazzina di caffè venduta a un euro ha poi determinato logiche antieconomiche all’interno dei bar e delle caffetterie, che, privi di marginalità sufficienti e del bagaglio culturale legato al prodotto caffè, sono stati trascinati anch’essi in spirali di standardizzazione e appiattimento dell’offerta relativa al caffè.”
“La bassa qualità del prodotto e l’eccessivo livello di tostatura, hanno obbligato i clienti a utilizzare lo zucchero per bilanciare la marcata amarezza della bevanda, allontanando ancor di più il consumatore dalla conoscenza del reale profilo gustativo di un caffè di qualità. Questa dinamica ha impattato e sta impattando negativamente sulla considerazione del nostro caffè all’estero, privandolo del valore aggiunto del marchio made in Italy.”
Meschini: “Non scordiamoci di considerare gli effetti devastanti che una filiera basata sulla bassa qualità e sulla continua ricerca della riduzione dei costi ha a livello sociale ed economico sui soggetti più deboli della filiera: i produttori, e i baristi.
È importante capire che il mondo ci guarda come un riferimento per la qualità, e si stupisce che, proprio sul caffè, di cui abbiamo segnato la vera rivoluzione inventando la tecnologia dell’espresso, siamo rimasti al palo, legati a una tipologia di bevuta che non si è ancora aperta alla ricerca e all’apprezzamento della qualità, della particolarità, delle differenze tra i tanti tipi di caffè esistenti. L’Italia intera ne risente, non solo la torrefazione italiana.”
Il percorso è prima di tutto culturale
Il problema deve essere riconosciuto da tutte le entità del settore, le quali sono chiamate, insieme, a iniziare un lavoro di formazione del barista e del cliente consumatore, affinché questi soggetti si abituino a bere caffè di qualità sempre più elevata, a riconoscerne ed apprezzarne le peculiarità e le differenze tra diversi caffè e diversi metodi di estrazione. Non si tratta di moda: ma di salubrità, di qualità, di stile di vita italiano! Non è necessario sommergerli di informazioni, se non sono loro a chiederle, non devono diventare dei tecnici: dobbiamo solo stimolarli a dedicare a questa bevanda più tempo, il tempo della scelta e dell’apprezzamento delle sue caratteristiche.
Dobbiamo stimolare i clienti a spendere di più per una tazzina di caffè: il vantaggio sarà tutto per loro, in quanto potranno scoprire un mondo di sapori intensi, inaspettati e variegati. Non dovranno più usare lo zucchero per addolcire caffè imbevibili! ”
Meschini: Noi di Le Piantagioni del Caffè abbiamo scelto la via della semplicità e della spensieratezza per avvicinare i nostri clienti ai caffè di qualità che tostiamo
Abbiamo scelto di comunicare in modo semplice, in modo da rendere più veloce e immediata la comprensione degli elementi che creano valore nei nostri caffè. Abbiamo studiato attentamente, e poi messo al centro le persone chiedendoci ‘Come possiamo guidarle passo-passo accendendo in loro la curiosità verso prodotti di maggior qualità?’ ””Abbiamo scoperto che ciò che può davvero fare la differenza è il senso di aggregazione, il far parte di una comunità di persone che vogliono di più, che cercano esperienze di qualità.
Queste persone scambiano tra loro informazioni, si formano a vicenda, crescono insieme. Sono baristi e sono consumatori, ma l’interesse per il caffè di qualità li accomuna, crea interazione, idealmente li pone dallo stesso lato del bancone. È così che rispettiamo il rito del caffè italiano, fatto di aggregazione e di socialità, di persone. Siamo tutti chiamati a diventare una comunità di persone che vogliono di più. Le associazioni sono sicuramente un luogo dove questo può avvenire, a patto che la qualità sia il tema del confronto interno ad esse.”
Il nostro approccio si è dimostrato di successo
Rispetto ai mesi di maggio-luglio 2019, in horeca, nello stesso periodo di quest’anno abbiamo venduto il 37% di kg di caffè di piantagione in più (e ci mancano ancora un paio di giorni a finire il mese). Questo risultato ci dice che in Italia come all’estero il made in Italy può essere un brand fortissimo anche parlando di caffè, ma solo se abbinato a qualità e verità e che la qualità crea valore e permette a chi la persegue di crescere!
È quindi evidente che, mettendo al centro della propria azione il cliente, si può crescere e si può insegnare ai consumatori che pagare di più una tazzina di caffè di qualità, specialty, è giusto, perché in cambio ricevono esperienze molto più intense e piacevoli. Esperienze a cui poi non saranno più disposti a rinunciare, divenendo loro stessi i primi a stimolare e pretendere l’evoluzione e l’innovazione.
Abbiamo scelto di essere portatori del vero made in Italy in Italia e nel mondo, quello che non cerca scorciatoie e che crea clienti affezionati. Speriamo anche i nostri colleghi vogliano intraprendere questo percorso.”
Meschini: Non siamo assolutamente contrari al rituale italiano del caffè
Che reputiamo molto importante e che noi stessi valorizziamo. Ma crediamo che questo rituale possa e debba evolvere attraverso l’azione condivisa di tutto il comparto, con l’introduzione di materie prime di qualità, di tostature più leggere che ne esaltino le caratteristiche invece di nasconderne i difetti, e portando cultura ai baristi e ai consumatori.”