MILANO – Il Salone di Terra Madre anima Torino, da giovedì 26 a lunedì 30 settembre nel Parco Dora: tra i protagonisti dei tanti eventi previsti, Marco Bertona, maestro italiano del tè dalla fama internazionale, conferma il suo ruolo cruciale nell’evoluzione di questo settore, essendo il responsabile della creazione del primo presidio Slow Food sul tè, in Sri Lanka, con il coinvolgimento di una famiglia e della sua piantagione situata nel distretto di Pussellawa, provincia di Kandy, ad un’altitudine compresa tra gli 800 e gli 850 metri.
La presentazione di questo progetto e dei tre chili di foglie frutto di questo duro lavoro nei campi, avverrà venerdì 27 settembre durante Terra Madre, a Torino. L’inizio dell’appuntamento dedicato al tè sarà alle ore 17.30.
Bertona, come nasce questa collaborazione e perché proprio in Sri Lanka?
“In realtà la storia parte ben vent’anni fa, quando sono stato incaricato da Slow Food per organizzare il loro Master of Food sul Tè. In qualità di coordinatore nazionale del progetto. dal 2004 al 2006, ho avuto modo di conoscere meglio l’organizzazione e la sua filosofia. Già all’epoca, potendo contare su diversi miei contatti internazionali, mi ero proposto per costituire un primo presidio sul tè.
Tuttavia, allora ci trovavamo ancora in una fase piuttosto embrionale per l’Italia, e quindi non era il momento giusto per partire con questa avventura. Poi siamo arrivati ai giorni nostri, con la conoscenza della famiglia tramite la nostra Associazione e l’obiettivo di sostenerli per uscire da un contesto di precarietà.
La maggior parte dei contadini infatti, vende le foglie alle grandi aziende, che a loro volta le trattano per la commercializzazione in bustina. Abbiamo fatto conoscere loro un modo per emanciparsi, insegnando loro a produrre un tè di qualità più elevata e così trovare nuovi sbocchi di mercato.
Le due problematiche principali risultano ancora una volta la formazione (l’insegnamento dei modi di produzione, dalla selezione alle best practices agricole come il non schiacciare le foglie, la scelta della corretta dimensione dei contenitori, il tempo necessario che deve intercorrere tra la raccolta e la consegna in laboratorio) e poi creare nuove opportunità di vendita, tutto questo attraverso un salto qualitativo importante. Parliamo ovviamente di tè artigianali di un certo livello.
Con questa famiglia dello Sri Lanka, da due-tre anni abbiamo provato a cambiare le cose, producendo un tè migliore. Di fronte alle perplessità di queste persone, che non sapevano neppure da dove iniziare, mi sono reso disponibile come supporto tecnico e di tramite fuori dallo Sri Lanka. Un Paese in cui il 90% della produzione è destinato all’esportazione: questo significa che il consumo interno praticamente è inesistente (esattamente il contrario dell’India).
Gran parte di questo tè poi è destinato a diventare il contenuto della bustina, mentre una parte viene venduta in foglie intere. Il tè nero – che è il principale dello Sri Lanka – è prevalentemente destinato al mercato più commerciale.
Per tornare alla famiglia, il progetto era quello di partire dalle basi per apprendere tutti gli step da seguire sulle foglie, ben diversi da quelli da tenere in conto quando si parla di produzione industriale.
Tutto questo avendo un impatto minimo sui costi da sostenere: parliamo di lavoro manuale, di attrezzature non particolarmente onerose per il contadino. C’era solo da guadagnare per loro. Ovviamente ho faticato a far loro comprendere che questo percorso potesse essere un buon investimento, ma poi è stato recepito il messaggio: si possono guadagnare 10-20 volte in più, sempre andando avanti con i piedi per terra.
Per questo poi abbiamo concretamente dovuto capire che cosa farne del tè prodotto: come Associazione, abbiamo lavorato per favorirne la distribuzione. La prima produzione è stata limitatissima, di appena 3 chili.”
“A quel punto, quando le fondamenta erano state gettate, mi è venuto in mente Slow Food”
Continua Bertona: “Una soluzione plausibile dato che quello che stiamo facendo in piantagione, rispecchia almeno uno dei pre requisiti necessari per poter entrare nella rete.
Appena siamo entrati in contatto infatti, ci siamo lasciati guidare dall’entusiasmo reciproco. Si sono innamorati del progetto, che rientrava nei loro parametri. Sono andato in Sri Lanka per comunicare ai contadini, che in realtà non avevano ancora colto l’importanza di questo ingresso. “
Questo primo importante passo verrà presentato a Terra Madre a Torino: Bertona, ci può dare qualche anticipazione su cosa verrà condiviso con i partecipanti?
“Il tè arriverà a breve, è tutto calcolato perfettamente. I tre chili prodotti verranno svelati proprio durante la manifestazione. Abbiamo disseminato diversi indizi in questi mesi, ma ancora nessuno sa esattamente che cosa porteremo a Terra Madre. Ma è stato raccolto a mano, lavorato secondo metodi tradizionali. Ci sarà modo di assistere i video, sentire la storia dietro le varie fasi del progetto, acquistare lo stesso tè.
Ancora non abbiamo stabilito un prezzo preciso, ma se dovessimo pensare a un costo che copra le spese e faccia qualche margine, ci manteniamo su una fascia di prezzo di tè di gamma alta. Parliamo ovviamente di prodotti non commercializzati sui canali di approvvigionamento tradizionali, ma sono definibili come specialty tea, con un controllo trasparente di tutta la filiera.
Si posizionano normalmente in un range dai 50 euro all’etto in su. Sono tre chili frutto di un lavoro grandissimo. Posso dare una chicca soltanto: l’essiccazione finale di questo tè è stata fatta al sole – operazione particolarmente complessa – e ha richiesto circa tre giorni per il processo.”
E ora quali sono i prossimi passi su questo percorso Slow Food legato al tè?
Bertona: “I presidi hanno delle caratteristiche da possedere. Quindi di realtà che potenzialmente potrebbero avere questo supporto Slow Food, ce ne sono parecchie e le conosco bene, anche al di fuori dello Sri Lanka ma in tutti i Paesi produttori. Certo avviare questo processo non è qualcosa di semplice: partiamo ora da questo progetto per poter vederne lo sviluppo futuro.
Slow Food mette a disposizione strumenti per promuovere le attività dei propri presidi, con diverse vetrine internazionali. È un importante riconoscimento dell’impegno messo per fare un salto di qualità, ma sta poi al produttore il mettere in moto dei meccanismi di comunicazione e marketing: il contadino deve saper sfruttare il riconoscimento di Slow Food.
Ci vogliono competenze anche su questo campo: sento però di aver raggiunto il mio obiettivo, nell’aver aiutato questi piccoli produttori verso l’eccellenza.
Poi averli coinvolti nella rete Slow Food è stato un ulteriore successo. Ora vedremo più in là che cosa succederà: dipende molto dalla volontà dei contadini. Che hanno dovuto anche considerare una rivoluzione dei loro metodi produttivi, passando a dimensioni totalmente diverse, selezionando manualmente germoglio per germoglio e implementando anche la forza lavoro.
Tutti questi dettagli inseriti, dilatano tantissimo i tempi e di conseguenza anche i costi del prodotto finito, che non può costare poco.”