Il portale d’informazione linkiesta ha diffuso un articolo-indagine sul settore del porzionato. Ve lo proponiamo
Fabrizio Patti*
La musichetta su toni bassi, che tutti conosciamo. La goccia che rimbalza nella tazzina. Uno slogan di tre parole e un punto di domanda che non è mai cambiato. Il sorriso di George Clooney soddisfatto ma con gli occhi bassi – un trucco che già molti anni fa avevano smascherato i Simpson, che gli fecero fare una brutta fine.
Ripetete queste quattro cose, presenti negli spot pubblicitari, infinite volte al giorno, aggiungete una presenza sul territorio che dà visibilità e “standing” (quando mai il venditore di caffé in passato si è messo in eleganti abiti scuri?) e un packaging coerente: otterrete un ipnotizzamento di massa. O un innamoramento, vedetela come preferite.
L’effetto è che milioni di caffettiere moka rimangono a fare muffa in qualche ripostiglio e milioni di macchine per il caffè in capsule si posizionano a portata di mano in cucina. Soprattutto, l’effetto è che milioni di persone sono disposte a spendere 48 euro al chilo per il caffè, contro i 10 euro o meno della moka, in anni in cui tutti gli altri consumi sono precipitati.
Come per gli iPhone della Apple da 700 euro o per l’insalata già lavata da due euro per 200 grammi, più che la razionalità economica poterono il fascino, i meccanismi di proiezione e la pigrizia. Comunque sia, l’Italia c’è finita dentro.
Consumi in direzione ostinata e contraria alla crisi
Gli ultimi dati di Iri, che considera la grande distribuzione organizzata (Gdo) dicono chiaramente che la perdurante contrazione dei consumi non ha risparmiato il caffé: nell’anno terminante a luglio 2014 le vendite sono scese del 2,2% a valore e salite dell’1,1% a volume, con fatturato di poco più di un miliardo di euro.
Dentro questo dato generale, la moka, pur salendo nelle quantità (+2,3%), scende a valore (-3,7%). Calano sia a volume che per ricavi l’espresso (rispettivamente -5,5% e -8,3%), i grani (-0,6% e -1,4%) e le cialde (-2,4% e -5,9%). Precipita poi il decaffeinato, sceso di 6,8 punti percentuali nella quantità e dell’8,9% a valore.
In questa Caporetto del caffè, le capsule hanno ottenuto una crescita a doppia cifra tanto a volume (+20,1%) quanto nel fatturato (+16,6%, per un totale di oltre 146 milioni di euro). Come ha spiegato il mensile Distribuzione Moderna, dal 2011 a oggi il numero di famiglie che usa questo prodotto è quasi raddoppiato, passando da 1,5 a 2,6 milioni (pari all’11% delle famiglie italiane).
I livelli di penetrazione più alti (16%) si registrano nelle famiglie under 35, ovvero le coppie senza figli e i single, che hanno probabilmente una maggior capacità di spesa e danno maggior valore alla comodità offerta da questi sistemi.
Gdo
I numeri sulla gdo (supermercati, ipermercati, libero servizio) dicono un’altra cosa: dato che non considerano il leader di mercato, la Nespresso (quella di cui sopra, che vende in proprie boutique o a domicilio), mostrano quanto anche gli altri produttori si siano lanciati nel business.
Nespresso Italiana, ha ricostruito Emanuele Scarci sul Sole 24 Ore, nel 2013 ha realizzato da sola quasi il doppio delle vendite nella gdo: 240 milioni di euro, contro i 213 dell’esercizio precedente. Le previsioni per il 2014 sono di chiudere a 260 milioni. È presente in Italia da 15 anni, ha 33 boutique, con 548 addetti (72 nuove assunzioni nel 2013) e nel prossimo anno punta a 5-6 nuovi negozi e investimenti raddoppiati rispetto a ora, pari a 10-12 milioni di euro. Le spese per pubblicità pesano per quasi 17 milioni di euro e hanno permesso in un anno di far passare la “brand awareness” presso i consumatori dal 12% al 20 per cento.
Tra gli altri concorrenti, quello che si è mosso prima e meglio in Italia è Lavazza, con il sistema A Modo mio. Ma non è certo l’unico: Illy e Kimbo hanno siglato nel 2013 un’intesa per creare una nuova macchina da caffè che funziona con le capsule di entrambe le case produttrici.
Nel business delle capsule si sono gettati da tempo anche Caffè Vergnano, Segafredo Zanetti (dove la quota è ancora piccola: 20 milioni sul miliardo circa di fatturato totale) e nuovi giocatori come Pellini. L’entrata in campo è stata resa possibile da una serie di battaglie legali, che si sono concluse con la perdita dell’esclusività per i produttori di sistemi “chiusi”.
Come ha ricostruito un articolo di Maurizio Bertera per Linkiesta, Nestlè aveva «reagito intentando cause legali praticamente in ogni Paese della Ue, ma ha perso regolarmente». Nell’ottobre 2013, «l’European Patent Office ha chiuso il dibattito per sempre, sancendo che chiunque, in ogni membro dell’Unione europea, può offrire sul mercato la “sua” versione delle capsule in alluminio».