di Michele Masneri*
ROMA – Contrordine compagni, le trentacinque ore non ci piacciono più (nella FOTO un’episodio del reality Camera caffè). Nelle aziende (specialmente le grandi) si vuole stare tanto, magari per non tornare a casa da mogli e mariti. Però con benefit sempre più articolati e postmoderni. Lo dice al Foglio Alessandro Zollo, amministratore delegato di Great Place to Work Italia, ramo del gruppo californiano fondato nel 1981 che ogni anno sonda 7.200 imprese, spedendo direttamente a 16 milioni di lavoratori un questionario di 58 domande. “La tendenza che rileviamo”, dice Zollo, “è quella di avere un ambiente di lavoro sempre più su misura, con aiuti da parte dell’impresa a risolvere incombenze anche private”.
“Dall’altra parte”, continua il manager, “l’esperimento del telelavoro, molto in voga negli ultimi anni, sta mostrando i suoi limiti. Per una ragione semplice, perché il lavoro a distanza, se aumenta la produttività, come svantaggio però abbassa l’innovazione”. Insomma, stando a casa abbrutiti col pc sul divano magari si risponde a più mail e si fanno bene i compiti, anche meglio che in ufficio, perché non si perde tempo con chiacchiere e tempi morti. Però raramente grandi invenzioni sono sorte su un divano Klippan.
“L’innovazione si fa, e continua a farsi, davanti alla macchinetta automatica del caffè”, continua l’ad di Great Place to Work; “confrontandosi con gli altri, discutendo, magari in tempi morti che poi non lo sono”. E mentre il luogo di lavoro cambia, naturalmente, non è più quello novecentesco ma è più piacevole; “così le nostre ricerche mostrano una crescita della fiducia, del benessere”.
Con profitti e stipendi da favola, Container Store è la nemesi di Amazon Il dibattito tra “modello Klippan” e modello “Camera Café” è comunque in corso. Le grandi corporation si confrontano: da una parte, compagnie come Google teorizzano un lavoratore “liquido” che possa stare meno in ufficio, con spazi ampi di movimento; dall’altra, la capofila dei manager “Camera Café” è Marissa Meyer, ceo di Yahoo, che vuole tutti in ufficio, sempre.
“Va trovata una sintesi” – dice Zollo – “ed ecco che le imprese si organizzano offrendo benefit sempre più articolati. Facendo stare i dipendenti più ore al lavoro, ma allo stesso tempo lasciando spazi per la vita privata e semplificando loro la vita in alcune incombenze”.
Così, ecco una galassia di benefit dei più strambi: Microsoft offre nelle mense aziendali tutta una linea di prodotti a chilometri zero con certificazione della filiera. Pepsi propone un telefono amico a cui raccontare timori e tremori della propria vita aziendale e privata. Sas, colosso americano del software, offre un “servizio maggiordomo”, per cui due giorni alla settimana è disponibile un fattorino aziendale che aiuta nel disbrigo di pratiche, raccomandate, file alla posta, biglietti per teatri e concerti, ma anche per portare calze e mutande in lavanderia. National Instruments, società sempre del settore software, prevede un corso di autostima per tutti i dipendenti, con “l’obiettivo di aiutare a 360 gradi le persone a gestire momenti di difficoltà della propria vita individuale e/o professionale”.
La più avanti è però Eli Lilly, azienda farmaceutica a cui si deve tanto – produce, tra gli altri, il Cialis e il Prozac – che offre un pacchetto completo contro il logorio della vita moderna: si va da check-up gratuiti per tutti i dipendenti (anche a tempo determinato) al “benefit adozione”, che prevede dieci giorni di permesso retribuito per andare all’estero ad adottare piccini. Ma in generale le società dell’Information technology sono quelle che meglio trovano la sintesi tra modello “Camera Café”e “modello Klippan”: lo dicono i dati dell’ultima classifica Gptw, uscita qualche giorno fa, sui 25 migliori posti di lavoro al mondo. La classifica mostra Google al primo posto, Sas al secondo, NetApp (quotata al Nasdaq) al terzo. Il settore digitale “si conferma per la predominanza come luogo di lavoro piacevole, dinamico e innovativo”, conclude Zollo. In classifica non c’è nessuna società italiana.