domenica 22 Dicembre 2024
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illycaffè, parla l’ad Pogliani: «Dietro a un prodotto buono c’è un’azienda buona»

L'amministratore delegato del noto brand, portabandiera del made in Italy, parla delle scelte di responsabilità sociale adottate da un'azienda che tiene molto alla sostenibilità, da ogni punto di vista: ambientale, sociale ed economico

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TRIESTE – illycaffè è in continua evoluzione, rispettando le esigenze dei consumatori e dell’ambiente: il futuro della torrefazione è carbon neutral, così come ultimamente è stato annunciato dalla stessa azienda, in linea con la sua vocazione verso la sostenibilità. Un programma serrato e impegnativo, che viene spiegato bene dall’amministratore delegato Massimiliano Pogliani, in un’intervista per tpi.it.

Pogliani racconta l’azienda

Il recente annuncio da parte di Illycaffè, che intende diventare “carbon neutral” entro il 2033 (anno del suo centenario), ha rappresentato l’occasione per approfondire la conoscenza di un’azienda che è certamente portabandiera dell’eccellenza del made in Italy, ma che non si limita a questo.

Come emerso dalla lunga chiacchierata con l’amministratore delegato Massimiliano Pogliani, dietro a un prodotto “buono” c’è anche un’azienda “buona”, soprattutto perché considera questi due aspetti come un unicum non scindibile. Il quadro che ne emerge è un efficace ritratto di un approccio molto moderno sia al marketing che alla responsabilità sociale d’azienda, temi che nella cosiddetta “nuova normalità” del post-Covid 19 sollecitano un cambiamento significativo nell’approccio con il mercato e la società in generale.

Una strada, peraltro, che Illycaffè aveva intrapreso già da tempo e che oggi la vede alle prese con un passo decisamente impegnativo come l’eliminazione di circa 175 tonnellate di plastica l’anno, punto qualificante del progetto #onemakesthedifference.

Avete scelto di intraprendere un percorso che vi porterà a festeggiare il vostro centenario con una forte connotazione “green”: cosa vi ha spinto a fare questa scelta?

Pogliani:”Abbiamo individuato il nostro centenario come data simbolica – non immediata, ma nemmeno troppo in là nel tempo – per marcare un percorso già in essere. Non siamo all’inizio: la sostenibilità fa parte del dna dell’azienda fin dall’inizio.

Per Illycaffè, molto concentrata sullo storydoing, era importante racchiudere sotto un unico cappello comunicativo tutte le iniziative che vanno nella direzione della sostenibilità ambientale, ma anche economica e sociale. #onemakesthedifference è quindi lo strumento per comunicare che, dietro a un buon prodotto, c’è anche una buona azienda. La nostra vocazione all’espansione sul mercato si intreccia con quella per la cura dell’ambiente. Partiamo dalla riduzione di tonnellate di plastica, ma poi continueremo con altre iniziative, oltre a quelle che facciamo già da decenni.”

Quali sono gli altri ambiti nei quali viene esercitata la vostra responsabilità sociale?

“Gli ambiti sono molteplici, perché è un concetto legato imprescindibilmente alla buona qualità del prodotto. Non si può affermare di fare un prodotto di qualità, se questa non è sostenibile, soprattutto di questi tempi nei quali vi è giustamente una spiccata sensibilità nei confronti di questi argomenti.

La sostenibilità deve essere anche economica, come si rispecchia nella relazione che da sempre abbiamo con i nostri produttori di caffè. Una relazione che ci permette, a fronte di una qualità superiore, di remunerarli in media del 30% in più rispetto al prezzo di mercato. Inoltre stipuliamo sempre accordi di lungo termine, così da garantire loro stabilità nel tempo. Questo consente loro di poter guadagnare, reinvestire e quindi far crescere in maniera decisiva le loro aziende.

Sul piano sociale, investiamo in progetti per lo sviluppo di scuole e di comunità, così da promuovere la crescita dei territori dove ci riforniamo, preservando nel contempo le specifiche qualità organolettiche del prodotto. Anzi la riconversione di alcuni combattenti colombiani in produttori di caffè è stata un’operazione non solo di “charity”, ma un vero e proprio investimento produttivo sulla qualità locale. Abbiamo quindi insegnato un loro mestiere, che oltretutto genera un prodotto di qualità eccelsa (e che infatti lo scorso anno è stato addirittura premiato).”

Si può quindi dire che il salto culturale che deve caratterizzare questa fase del marketing e della Csr consista nel fatto di non considerare gli interventi sociali come un “sacrificio” compensativo, ma come un vero e proprio investimento per il futuro?

Risponde Pogliani: “Esatto, si tratta di investimenti e non di sacrifici, anche perché sono convinto del fatto che in futuro chi non abbraccerà certi orizzonti sarà tagliato fuori. I clienti sceglieranno altro, perché sta maturando una consapevolezza che il Covid-19 ha contribuito a far maturare più in fretta, ma che comunque faceva parte di una dinamica già in essere. È una strada obbligata per diventare un’azienda del futuro, anche se ognuno è chiamato a interpretarla come meglio crede e può. È un percorso di miglioramento continuo: infatti alcune tematiche che solo dieci o quindici anni fa non erano state nemmeno individuate oggi sono invece sulla bocca di tutti. Ogni azienda e ogni settore è interessato da questo cambiamento.

Con #onemakesthedifference intendiamo superare la concezione per la quale questi cambiamenti sono considerati sempre troppo ambiziosi e impegnativi, per cui alla fine nessuno ci prova fino in fondo, ritenendo che il singolo sia impotente e che quindi ci debba pensare qualcun altro.

Ognuno di noi può fare la differenza, anche come singolo, ma è ovvio che come azienda sentiamo di avere una responsabilità più ampia. L’ingaggio deve essere complessivo: ad esempio, è inutile che io realizzi un prodotto riciclabile, se poi il consumatore non lo conferisce in maniera corretta.”

Negli scorsi giorni una voce autorevole come quella di Deloitte ha indicato nel “made in Italy” uno dei cardini per il rilancio dell’economia. Voi che ne siete senza dubbio uno dei più noti portabandiera, cosa ne pensate?

Per quanto oltre il 65% del nostro fatturato sia realizzato all’estero, il made in Italy è per noi da sempre un tratto distintivo.

La vocazione all’espansione internazionale è presente da tempo, ma producendo caffè è evidente come l’italianità rappresenti un plus. Noi siamo la Patria dell’espresso, che non è un tipo di caffè, bensì un metodo di estrazione: quello che estrae la maggior quantità aromatica dalla materia prima.

L’innovazione in questo è stata determinante: negli anni Trenta del Novecento una nostra macchina fu la prima a separare la generazione della pressione da quella della temperatura, mentre prima questa veniva generata dall’ebollizione dell’acqua. In questo modo Francesco Illy riuscì a realizzare l’espresso come lo conosciamo oggi, con caratteristiche distintive quali la crema e il profilo aromatico. Prodotti di questo livello di qualità continueranno a essere prescelti anche nel post-Covid.

Pogliani, a questo proposito: quale tipo di impatto ha dato la pandemia al vostro settore?

“Ovviamente c’è stata una contrazione su tutti i mercati interessati dal lockdown, però nei canali rimasti aperti abbiamo registrato una spinta molto forte proprio per i prodotti di qualità, da parte di chi ha le possibilità economiche. Il fenomeno si è manifestato anche nel settore food and beverage: le persone che non escono e non vanno in vacanza cercano di compensare concedendosi almeno la soddisfazione di acquistare bevande e cibo di maggior qualità.

Paradossalmente, quindi, certi segmenti di mercato hanno avuto una crescita. Questo è un punto di forza non solo per Illy, ma anche per altre aziende italiane, anche di settori diversi, che hanno proprio nell’estrema attenzione per la qualità il loro tratto distintivo.”

Quali sono le vostre aspettative rispetto alla ripresa del mercato?

“È molto difficile fare previsioni, dopo un evento che ha colto tutti impreparati, tanto le istituzioni quanto le aziende private. Stiamo gradualmente comprendendo cosa è successo e come è meglio reagire. Questo ci porta a essere molto cauti nel modificare strategie predefinite, solo per inseguire un trend che potrebbe rivelarsi contingente. Sarà il tempo a dire quali saranno gli impatti sul lungo periodo.

Il Covid-19 ha accelerato due tendenze già in essere: la sostenibilità (come dicevamo prima) e la digitalizzazione. Una cosa che mi sento di dire con certezza è che queste due direttrici guideranno lo sviluppo nei prossimi anni, sia per noi che per molte altre aziende. Ovviamente per tutti i settori legati all’ospitalità e alla ristorazione ci vorrà del tempo prima di uscire da questa crisi, ma l’esperienza di paesi come quelli asiatici (che ci sono passati prima di noi) dice che i consumi torneranno ai livelli precedenti.

Per chi è stato maggiormente colpito, lo spartiacque sarà l’eventuale disponibilità di un vaccino: solo allora si abbandoneranno le prudenze attuali, per tornare alla vita precedente. Ci saranno inoltre nuove opportunità per canali emergenti, come ad esempio gli acquisti digitali.”

Nel prossimo futuro vi attende un appuntamento importante: la valutazione che, in caso di esito positivo, vi porterà a conseguire la certificazione di Benefit Corporation, ovvero di azienda dedita al profitto, ma con un impatto positivo verso la società e l’ambiente.

A che punto dell’iter siete arrivati?

Pogliani: “È una decisione che abbiamo assunto l’anno scorso e che, appunto quest’anno, passerà per lo snodo decisivo della valutazione. La selezione è molto impegnativa: delle aziende che richiedono questo status, riconosciuto a livello internazionale, ogni anno centinaia di migliaia di aziende non ottengono i punteggi minimi richiesti. E anche per chi lo ottiene non si tratta di un punto di arrivo: si avvia infatti una fase di continous improvement, per migliorare ogni anno.

In questo novero rientrano aziende come Patagonia, che hanno cominciato il loro percorso anni fa e oggi vantano un punteggio altissimo, e altre invece che sono all’inizio. Il nostro obiettivo è diventare la prima azienda italiana nel settore del caffè a conseguire lo status di “B-Corp”. Questa scelta è l’ulteriore dimostrazione del fatto che anche un’azienda che non è una no-profit possa coniugare la mission aziendale con un’estrema attenzione agli aspetti sociali, non solo quelli ambientali. Il percorso che abbiamo intrapreso è stato vissuto con grande consapevolezza anche da parte della famiglia Illy, che ha appositamente modificato lo statuto proprio per questo motivo.”

 

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