“Uscire da se stessi per salvare se stessi. La tattica adottata da qualche tempo da molti quotidiani, soprattutto statunitensi, sarebbe stata giudicata folle appena una decina di anni fa, quando esperti del settore e direttori in crisi si interrogavano sul futuro del giornalismo, piangevano la morte della carta e prevedevano gran parte della crisi immaginando le più fantasiose soluzioni.
Difficilmente però, scriveva l’edizione americana di Wired, avrebbero potuto pensare che un modo per salvare il giornalismo fosse quello di usare un’applicazione simile a quella utilizzata per pagare il caffè da Starbucks”.
Comincia così l’articolo con cui sul quotidiano il Foglio Piero Vietti commenta la notizia della nuova partnership annunciata tra la maxi catena di caffetterie Starbucks – ormai lanciate verso quota 25.000 negozi – e il New York Times.
In base a questo accordo l’app della caffetteria, che i clienti usano per prenotare in anticipo i caffè o lasciare mance, si trasformerà a breve in una sorta di edicola digitale, dove saranno messi a disposizione degli articoli del quotidiano newyorkese.
Inoltre chi sottoscriverà un qualsiasi abbonamento al giornale, digitale o cartaceo, guadagnerà le “stelle” utilizzabili per sconti.
“L’amicizia tra il quotidiano della famiglia Sulzberger e la catena di caffetterie (entrambe fanno capo a famiglie di origine ebraica; n.d.r.) è vecchia”, continua Vietti, riportando le parole dell’amministratore delegato di Starbucks Howard Schultz, che ha ricordato come per anni si siano vendute milioni di copie del giornale nella caffetteria, ma che adesso l’esperienza vuole salire “a un livello superiore”.
Dunque dopo gli instanct article di Facebook, l’arrivo prossimo di Apple News, “gli editori stanno cominciando a capire che se vogliono lettori devono andarseli a prendere là dove i lettori si sono spostati. Non più in edicola, ma neppure sulle home page delle loro testate. Oggi ci si informa tramite social network”.