MILANO – Luca Scanni, Giovanni Giberti e Diego Bamberghi, tre amici con una visione comunque che si è tradotta 12 anni fa nel primo Pavé in Porta Venezia, Via Felice Casati, 27. Un fenomeno della colazione, del servizio, dell’offerta, tutta radicata nel territorio meneghino. Che poi si è moltiplicata anche con le gelaterie, in Via Cesare Battisti 21 e in Via Cadore 30.
Pavé è un’anomalia in qualche modo: con tanti bar che chiudono, come si arriva a questi traguardi e più punti vendita in una città, dove certo la concorrenza non manca?
“Sotto il cappello di Pavé esistono due format diversi, la gelateria e la pasticceria ed è possibile gestire tutto rimanendo coerenti in termini di prodotto e dando continue conferme ai clienti. Non abbiamo mai risparmiato sulla selezione delle materie prime e nelle modalità di preparazione, mantenendo sempre un occhio di riguardo su tutto il ciclo produttivo.
Certamente dall’altra tutto questo rappresenta un costo elevato, ma il risultato finale è distintivo: abbiamo avuto la fortuna di far partire questa nuova ondata di colazione e bakery 12 anni fa e con il tempo ci siamo confermati sul mercato.
È stato abbastanza naturale, in quanto fanatici del prodotto.
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Un altro aspetto della pasticceria Pavé che ci ha portato avanti fin qui è il nostro servizio: dal lancio abbiamo voluto restare un ambiente informale e presente, e con il tempo è diventato un nostro elemento distintivo in cui abbiamo investito molto.
Attenzione, anche questo è un costo, ma permette di offrire un’esperienza unica in un settore in cui la scelta più facile è spersonalizzare il servizio e tagliare sui dipendenti, lasciando magari tutto in mano a un totem o a un tablet. Da Pavé si scambiano due parole con chi serve, e si impara anche qualcosa sui prodotti.
Questo nostro approccio è qualcosa di impopolare tra i gestori, che di solito cercano di risparmiare su questo punto. È una strategia molto diffusa, che noi non condividiamo.
Adesso siamo circa 50 persone impiegate da Pavé e testimoniano una crescita naturale.
Con le gelaterie e i punti vendita aperti successivamente abbiamo avuto bisogno di fare nuove assunzioni: è stato un processo graduale, e c’è stato un periodo a cavallo del Covid tra il 2021-2022, in cui i ragazzi difficilmente volevano fermarsi a lungo da noi. Molti avevano bisogno di cambiare vita.
Successivamente, proprio perché per noi l’aspetto della qualità della vita dei nostri ragazzi è fondamentale, abbiamo cambiato nella formula 5 su 7 con ferie lunghe e comandate nel periodo festivo. C’è una forte presenza di fuori sede che hanno bisogno di tornare in famiglia durante le feste e noi ci siamo voluti occupare di questa esigenza.
Il 5 su 7 nella ristorazione non deve essere qualcosa di straordinario ma di assolutamente normale. E noi abbiamo fatto qualcosa di normale, sia chiaro.”
Pavé è cresciuto molto, ma questa evoluzione com’è avvenuta?
“Si sono mossi dei processi naturali, soprattutto nei primi anni. Penso alla nostra capacità produttiva: siamo stati quasi obbligati ad implementarla proprio per via dell’aumento delle richieste. Ci siamo accorti toccando con mano del nostro potenziale e a quel punto abbiamo iniziato a riflettere sull’espansione attraverso nuovi punti.
Siamo poi un po’ anomali e le decisioni importanti le prendiamo sempre come tre amici: la nostra passione per il gelato ad esempio, ci ha portato a collaborare con una nostra amica con cui abbiamo avviato le gelaterie. Che vanno molto bene.
Ovviamente alla base cerchiamo sempre di analizzare bene le criticità di ogni scelta ed è una linea che è sempre servita a far partire qualsiasi nostro progetto. Forse non siamo rapidissimi, ma non abbiamo una logica di azienda industriale che vuole raggiungere dimensioni eccessive. Vogliamo piuttosto concentrarci sempre sui processi, sulle persone, mantenendo l’identità di Pavé intatta. Le opportunità di espanderci sono arrivate fino ad oggi, quindi mai dire mai, ma vogliamo pensare che il nostro brand possa mantenersi su certi standard.
Attenzione però: non si perde di qualità espandendosi. Spesso si migliora. Ad esempio, noi riusciamo a offrire prodotti migliori ora con un laboratorio più grande e due punti vendita di pasticceria rispetto a quando siamo partiti 12 anni fa. Macchine migliori, spazi di lavoro migliori, processi migliori che si tramutano in prodotti qualitativamente più alti.
Per cominciare ad avere un calo di qualità e soprattutto un cambio della filosofia da bottega artigianale bisogna andare su numeri che inevitabilmente impattano su logistica, flussi di comunicazione e gerarchie interne. Aspetti che non vogliamo mettere in discussione.
Noi siamo felici così per il momento. Pavé non può andare fuori Milano, o almeno così ci sentiamo di fare ad oggi. Perché siamo molto romantici: siamo milanesi, abbiamo realizzato il sogno di noi 3 amici che volevamo aprire nella nostra città. Siamo cresciuti come Pavé insieme a Milano ed è difficile per noi immaginarci altrove. Il nostro mood esiste e funziona anche perché radicati molto qua nel territorio.”
Com’è la colazione moderna? Cosa non deve mancare, cosa funziona?
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“Dev’esserci una qualità di caffetteria che accompagna quella del prodotto di lievitato. Deve avere un’opzione ampia salata, che è una tendenza ora in crescita e che per certi aspetti è aumentata con l’arrivo di stranieri negli ultimi anni. Deve poter essere consumata anche al banco e mantenersi semplice, di conforto. La colazione per me è caffè, cappuccino, serviti bene. Avevamo anche la passione per la pasticceria francese che infatti è molto presente in Pavé. La cucina dà i suoi frutti perché apre molto presto, fino alle 3-4 del pomeriggio. È una colazione dolce-salata che può anche essere rinforzata a qualsiasi ora.”
E il caffè in questa proposta, che ruolo ha?
“Da Pavé abbiamo un nostro caffè con cui prepariamo le ricette base (100% Arabica, Caffè Repubblica) e poi a rotazione, collaborando con diversi micro roasters come Gearbox, Aliena Coffee Roasters etc, abbiamo delle monorigine per i filtri, dei double espresso o dei flat white.
Per il resto abbiamo delle preparazioni più natalizie, come una cioccolata con crema di latte d crumble di cacao, o il Christmas shuffle, un latte speziato con cioccolata. In estate proponiamo un coldbrew.
Per fortuna il consumatore medio è cambiato rispetto a 12 anni fa, anche sull’attenzione data al caffè. I clienti chiamano per sapere che filtro si serve in quella settimana o qual è la torrefazione di specialty del momento. Questo fa capire che l’approccio si sta modificando. Le persone hanno iniziato anche a visitare altri luoghi fuori dall’Italia, in cui questo tipo di caffetteria non è una novità.”
Da Pavé solo nuove generazioni o anche la mitica “sciura” Maria si sente nel posto giusto?
“Siamo nati insieme alla “sciura” Maria che entrava accompagnata dal cagnolino. Il tema è molto caro a Pavé sin dall’inizio, perché abbiamo aperto con lei in mente: il buon espresso non mancherà mai e se lei vorrà approfondire siamo pronti a raccontarle qualcosa di diverso.”
I vostri prezzi come sono cambiati in 12 anni e sono un problema?
“Naturalmente sono aumentati, ma non per speculazione, per conservazione degli obiettivi originari. Vogliamo preservare il nostro discorso legato alla qualità di prodotto e servizio e penso che chi ci conosce lo abbia capito. L’importante è far comprendere il perché si fanno le cose in un determinato modo e il lavoro, il pensiero dietro.
Già quando siamo partiti avevamo dei prezzi più alti della zona e ne abbiamo spiegato però i motivi. Poi ci hanno seguiti anche i concorrenti a pochi metri da noi giusto per allineare il prezzo senza alcuna corrispondenza qualitativa. È quello che, eventualmente, deve essere approfondito. Da noi ora l’espresso costa uno e quaranta per la miscela e il cappuccino 2.20. Per le bevande vegetali abbiamo un prezzo più elevato.”
Quali attrezzature avete scelto per la vostra pasticceria?
“Abbiamo sempre La Marzocco, La Strada e per i macinacaffè abbiamo una serie di modelli diversi, di Ceado principalmente.”
I prossimi 12 anni di Pavé?
“Continuare a migliorare nella qualità del prodotto e del servizio. Puntiamo ad essere sereni, noi insieme a tutto il nostro team. Devono essere felici di far parte del nostro progetto, che è slegato dagli utili, deve essere sostenibile e dare qualcosa per cui la gente resta in fila: una cosa che ancora oggi riscontriamo e di cui siamo onorati.”