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Parla Sanapo: «Ristorazione di lusso? Solo se investe nello chef barista»

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MILANO – Francesco Sanapo: tre volte di fila Campione italiano di caffetteria, dal 2010 al 2013. Non solo. Proprietario della caffetteria “Ditta Artigianale”. Oggi risponde in esclusiva a qualche nostra domanda. Ci racconta il suo punto di vista sul “tallone d’Achille” della ristorazione di lusso. Il caffè a fine pasto.

La ristorazione e il caffè: due nemici per la vita?

«Ristorazione. Un settore senza dubbio forte in Italia».

Inizia così Francesco Sanapo. Continua poi con una breve premessa per introdurre meglio i lettori su un argomento piuttosto sensibile.

«L’Italia è un popolo molto attento alla qualità del cibo. È riconosciuta in gran parte del mondo. Sempre più questa cultura della ristorazione si è rinnovata. Ha fatto nascere chef che sono diventate un po’ delle rockstar. Tuttavia, è individuabile un anello debole di questa filiera ».

«L’anello debole della ristorazione è il caffè»

«Come simbolo di fine cerimonia, va a intaccare tantissimo la qualità dell’esperienza gustativa generale. Ricordiamoci che il caffè è l’ultimo ricordo del palato. In tutta Italia e non solo, il caffè non è considerato come un prodotto degno di attenzione. Nella maggior parte dei ristoranti stellati, l’Espresso non è all’altezza della stella Michelin. È come se tutto si fermasse al dolce. Il caffè nella ristorazione è un po’ lasciato all’improvvisazione».

Come mai il caffè non è un fattore su cui la ristorazione decide di investire?

«Perché, pur nella sua semplicità, è comunque un semilavorato. Quindi, per terminare l’operazione, c’è bisogno di uno chef-barista. Faccio un esempio. Pensiamo al pesce. Arriva al tavolo, cucinato da un cuoco professionista. Lui ne esalta in tutti i modi i sapori, le potenzialità aromatiche. Il ristorante ha investito su questa figura».

«Dovrebbe essere lo stesso per il caffè, che è messo nelle mani dell’operatore. Ma se quest’ultimo non è preparato, uscirà un pessimo risultato. Il problema a monte è la mancanza di preparazione nella nicchia del caffè. La formazione del personale porterebbe la ristorazione a fare un salto di qualità. Investire sull’assunzione di un responsabile caffetteria, per garantire un buon Espresso»

Quindi, l’ingrediente segreto della tua “Ditta Artigianale”, è lei in quanto operatore

«Sì. Possiamo dirlo, in un certo senso. È il barista, indubbiamente, il principale fattore. Ma lo è anche la materia prima».

E sulla materia prima, la ristorazione investe di più?

«Anche per questo verso, mi viene in aiuto un paragone. Così come si sceglie il pomodoro che proviene da una determinata zona, perché ha delle caratteristiche particolari, si dovrebbe fare per il caffè. Selezionare il prodotto non spinti da un ritorno economico, uno sponsor, una bella macchina per l’Espresso. Ma per la qualità del caffè. L’operatore, quello formato, farà una vera e propria ricerca in tal senso. Quindi, ripeto, il barista è il primo passo da cui partire. Da lui si arriva alla scelta della materia prima di eccellenza ».

«La chiave, la soluzione del problema resta la formazione»

«Basterebbe anche solo organizzare delle degustazioni di diverse tipologie di caffè. Guidati da un esperto, per comprendere la storia di ciascuna origine. Si parla ovviamente di caffè Premium. Non di semplice “Arabica”, che resta una definizione piuttosto generica. Come dire che una bottiglia di vino è fatta al 100% d’uva. Un operatore allenato, sa riconoscere le varietà. Saprà distinguere un Caturra da un Geisha».

Questi dettagli sono tanti. Come convincere un ristoratore che il caffè non è solo un accessorio?

«Innanzitutto penso che qualsiasi ristorante che oggi puntasse sul caffè, si distinguerebbe dalla massa. Offrire un servizio diverso, sarebbe già un’ottima operazione di marketing. L’attenzione per la parte finale del pasto, sarebbe un plus potente. Poi, i ristoratori, possono proporre dei prezzi rinforzati rispetto al locale bar. Un caffè al ristorante di lusso, può essere pagato anche 5 euro. Quindi ci sono tutte le condizioni per decidere di investire nella formazione del personale ».

Lei che ha organizzato molti contest tra operatori, pensa che sarebbe una buona strategia pubblicitaria organizzarne uno per la ristorazione?

«Sì. Qualcosa tipo Barista&Restaurant. Potrebbe essere una buona idea. Sarebbe bello andare in giro nei ristoranti per le regioni d’Italia e recensire il caffè migliore. Mettendo da parte per una volta il settore più ampio del food. Ma io ho avuto la fortuna di avere a che fare con due ristoranti attenti al caffè ».

Ce ne vuole parlare?

«Uno è a Siena, il ristorante “Le Logge”. Un luogo storico, antico, che serve una miscela di alta qualità. L’altro esempio invece è un Hotel a 5 stelle Extra luxury. Sta servendo il nostro caffè».

Quindi ha scelto di investire nella materia prima

«Anche. In realtà mi sono occupato pure della formazione del personale. Sono preparati. Soprattutto, sono due esempi che dimostrano che è possibile migliorare. Addirittura arrivare in un Hotel è significativo, dato che, generalmente, presta ancora meno attenzione al caffè».

Non sarebbe più semplice affidarsi alle cialde e alle capsule per garantire un buon Espresso?

«Sì. Nella ristorazione sono molto usate le capsule e le cialde. Ma questo non è sinonimo certo di qualità. Per lo meno, nei ristoranti di lusso, bisognerebbe servire qualcosa di meno “casalingo”. Secondo me le cialde, le capsule, sono delle soluzioni per uso domestico. È come se, ordinando degli spinaci in un locale di lusso, portassero quelli surgelati invece che quelli appena raccolti».

Sono un prodotto di bassa qualità quindi?

«Non di bassa qualità, ma certamente standard. Basta pensare che il caffè, solo dopo un’ora dalla macinazione, perde quasi tutto. Le sostanze volatili si disperdono, nonostante resti protetto. E poi, le capsule non sono neppure sostenibili».

Un messaggio da Francesco Sanapo al settore della ristorazione?

«Iniziare a fare attenzione al prodotto servito al termine del pasto completo. Considerare il caffè come parte integrante dell’esperienza gustativa di un certo livello. È sufficiente essere informati, per offrire dei risultati di qualità. Se l’intenzione è quella di mantenersi su standard elevati, in Italia abbiamo un team di esperti a cui rivolgersi. Bisogna capire che oggi, servire un Espresso che sia buono è essenziale. Altrimenti, è meglio non farlo proprio, il caffè».

E con questa chiusura Francesco Sanapo lascia i coffee lovers per spostarsi. Riprende il suo costante viaggio per diffondere la cultura del caffè.

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