MILANO – Al Sigep abbiamo incontrato Luigi Lupi, tra l’altro uno dei padri mondiali della Latte Art, uno dei maggiori esperti internazionali di caffetteria e di formazione. Lo abbiamo intervistato sui temi a lui più cari.
Luigi Lupi, lei è considerato da molti uno dei principali ambasciatori del caffè italiano all’estero
Luigi Lupi: «Ho avuto una grande fortuna di esser considerato tale. Proprio perché sono stato il primo pioniere tra coloro che si sono occupati di formazione, ad andare all’estero. Tutto è iniziato nel 2002. quando ho vinto i primi Campionati italiani baristi e ho partecipato ai Campionati mondiali di Oslo, rappresentando l’Italia. Ho cominciato ad avere visibilità solo per come presentavo i cappuccini, con quella che si chiama Latte art.»
Non solo quindi ambasciatore dell’espresso e del cappuccino all’estero. Ma anche tra i primi, citato addirittura su Wikipedia, ad essersi occupato di latte art.
«Il latte è stato un po’ lo specchietto per le allodole. Tutti si avvicinano al mondo del caffè proprio attraverso il latte, soprattutto all’estero. Grazie alle mescolanze tra espresso e latte nel bere bevande allungate. All’estero sappiamo che i torrefattori italiani vendono tantissime miscele per l’espresso, ma queste vengono raramente bevute senza esser mescolate con il latte.»
Si dice che Luigi Lupi non abbia peli sulla lingua.
«Quello che posso dire adesso è legato al momento che abbiamo appena vissuto qui allo stand Musetti: un bell’intervento di Marco Cremonese sulla torrefazione. Me lo posso permettere: anche senza avere una grande esperienza di tostatura, è che qui in Italia ciò manca è la scuola di tostatura. Non c’è mai stato il mestiere del tostatore. Abbiamo tanti mestieri, con le scuole apposite per impararli. Mentre per il mestiere e per la scuola del tostatore non esiste niente.»
Nelle sue parole emerge sempre il concetto della formazione e della scuola. Anche questo settore del caffè ha bisogno continuamente delle scuole. Ma adesso ce ne sono tante: sono tutte all’altezza?
«Per fortuna il numero di scuole di livello sta aumentando. Dovrebbe pensarci anche la scuola alberghiera, quella pubblica. È una grande pecca dell’italianità al giorno d’oggi. Ben poche scuole alberghiere hanno insegnanti formati e soprattutto aggiornati. Fare l’espresso 20 anni fa è molto diverso da come si fa oggi. Ci siamo adeguati a certi modi di fare e di bere andando in giro per il mondo. I più grandi bevitori di caffè sono i nord europei. Chiedono torrefatti di altissima qualità. Ma al di là della qualità, parlo di come dev’essere cotta la materia prima. In Italia manca una condivisione tra i torrefattori. Tipico atteggiamento italiano, l’esser gelosi di ciò che sappiamo. Io? Ho imparato quello che volevo, andando a rubare un po’ la conoscenza dei miei colleghi.»
Parliamo dell’iniziativa della creazione di bricchi di diversi livelli e colori per un addestramento completo della latte art. Un modo per allenare i più giovani in maniera rigorosa.
«Il Lags, Latte art grading system, è un modo per formare in maniera divertente. Lo spunto è stato preso dall’ambito del judo e del karate. Era per cercare di far capire a chi operava, a quale livello si collocasse realmente. Perché tutti, a domanda, rispondono sempre: sono al livello massimo. Invece, col nostro sistema sappiamo a che livello veramente collocarsi.»
Si è aggiunto un nuovo colore.
«Lo abbiamo presentato al Sigep. Una colonna di vetro con un cubo che proteggeva questa lattiera Gold. Non è d’oro, ma ha un grandissimo valore. Perché per raggiungere quel livello, è dura. Io personalmente non sarei in grado di arrivarci. Io sono esaminatore, ma non penso di toccare quei livelli. Bisogna esser un autentico fuori classe. Cosa che io non sono più nella Latte art. Anche in questo campo, per la pratica agonistica, l’età conta.»
Ci sarà qualche italiano che ce la farà?
«Abbiamo degli italiani, tre o quattro elementi, che possono farcela. E allo stand Musetti, abbiamo avuto un campione del mondo coreano, Um Paul.»
Si dice che gli orientali siano molto più portati di noi per la Latte art.
«Intanto per cultura loro hanno tutti i giorni in mano un pennello. Anche solo per il modo in cui scrivono, devono un po’ essere degli artisti. La loro scrittura comporta avere una tecnica manuale molto diversa dalla nostra. Inoltre, sul fronte agonistico, vedono uno scopo e lo raggiungono ad ogni costo. Ci mettono molta passione.»