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giovedì 21 Novembre 2024
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Parla Giuseppe Lavazza: “Pronti a mega acquisizione anche con un partner finanziario”

Dice il nuovo presidente del colosso torinese: “Tredici anni fa l’estero valeva un terzo del business, oggi il 70%. Sotto la terza generazione con mio cugino Alberto il fatturato è cresciuto da uno a 2,7 miliardi”

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TORINO – C’è la possibilità di un’acquisizione, tale da richiedere il supporto di un partner finanziario. C’è anche questo nel futuro di Lavazza, la multinazionale del caffè che venerdì 28 aprile ha annunciato il passaggio di testimone dalla terza alla quarta generazione della famiglia di imprenditori torinesi. Giuseppe Lavazza, 58 anni a giugno, succede alla presidenza al cugino Alberto, al vertice della società per 15 anni. Confermata la fiducia nel ceo Antonio Baravalle che da 12 anni è alla guida operativa del gruppo.

Riportiamo di seguito una parte dell’intervista a Giuseppe Lavazza subito dopo la nomina realizzata da Paolo Griseri per il quotidiano torinese La Stampa.

Per leggere l’intero articolo basta cliccare QUI.

Presidente Giuseppe Lavazza come convivono manager e famiglie del capitalismo italiano?

«Bene. Ormai molti anni fa noi abbiamo compiuto la scelta. Noi azionisti lavoriamo insieme ai manager. Gomito a gomito ma con una precisa linea di separazione».

Dove passa quella separazione?

«Agli azionisti la guida strategica, ai manager la costruzione di una prospettiva aziendale di lungo termine».

Quali risultati ha prodotto questo schema?

«Dobbiamo ringraziare tutti ed essere riconoscenti al coraggio nelle scelte dimostrato dalla nostra terza generazione a partire da mio cugino Alberto. Con la sua presidenza, il fatturato è passato da 1 a 2,7 miliardi, quasi triplicato».

Per effetto delle acquisizioni o per la crescita interna?

«Direi per tutt’e due. Le acquisizioni sono importanti. L’ultima è di pochi mesi fa, in Francia, e riguarda la piattaforma di e-commerce MaxiCoffee che ci consentirà di avere un ruolo strategico nel commercio on line. Ma il merito dell’aumento dei ricavi è anche dovuto alla crescita interna, alle efficienze e alla capacità di migliorare il prodotto»

Ci sono nuove acquisizioni in calendario?

«Stiamo scrutando l’orizzonte, è il nostro mestiere. Non le cerchiamo a tutti i costi ma siamo attenti a non perdere delle opportunità».

Che cosa vede oggi all’orizzonte di Lavazza?

«Nell’immediato non c’è nulla in previsione, qualora si aprissero opportunità di grandi dimensioni potremmo aver bisogno di un partner finanziario per realizzarle».

Sarà un’operazione in Nord America?

«Quello americano è un mercato che per noi sta diventando importante. Ma non è detto che sia in America».

Fino ai primi anni Duemila eravate una importante azienda del caffè italiano. Oggi quanto pesa l’estero nel vostro fatturato?

«Nel 2010 vendevamo il 70 per cento dei nostri prodotti in Italia. Oggi il rapporto si è invertito. Il 70% del fatturato lo facciamo fuori dall’Italia».

In Paesi dove la cultura del caffè è molto diversa: si va dalla nostra tazzina al beverone dei consumatori statunitensi…

«Certo. Ma il nostro sforzo è garantire la qualità costante in tutti i nostri prodotti, dalla tazzina al caffé americano. La qualità è il nostro dna».

Come si è modificato in questi anni il vostro rapporto con le popolazioni che producono il caffè?

«Per molto tempo è stato un rapporto mediato dai grandi commercianti. Poi, dagli anni ’90, abbiamo scelto di superare quella mediazione e di entrare direttamente in contatto con i produttori, trasformandoci da clienti in partner. Abbiamo realizzato esperienze molto interessanti. Nello Yemen dilaniato dalla guerra siamo riusciti a riunire 1.200 produttori che oggi forniscono uno dei caffè più pregiati, quello della linea 1895. Il caffè yemenita è uno dei migliori al mondo».

Per leggere l’intera intervista sul sito de La Stampa basta cliccare QUI.

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