MILANO – Nella saliva di chi è affetto di Parkinson, la concentrazione di caffeina può esser un indice importante per comprendere lo sviluppo di questa patologia. Minori infatti sono i livelli di questa sostanza, più la malattia ha raggiunto una moderata o avanzata espressione. Leggiamo i dettagli di questa scoperta scientifica di un gruppo di ricercatori italiani da adnkronos.it.
Parkinson: nella saliva dei pazienti, la caffeina aiuta nella diagnosi
Monitorare i livelli di caffeina presenti nella saliva dei malati Parkinson per capire come evolve la patologia neurologica. Chi soffre di Parkinson in forma moderata o avanzata, infatti, presenta concentrazioni salivari di caffeina inferiori. E’ quanto emerge da uno studio condotto dal gruppo di Alfredo Berardelli dell’Irccs Neuromed di Pozzilli (Isernia) e dell’università Sapienza di Roma, pubblicato su ‘Scientific Reports’ (gruppo Nature). Risultati che, secondo gli autori, “potrebbero aprire la strada a un metodo rapido e non invasivo per monitorare la progressione della malattia”.
“E’ noto che l’assunzione di caffeina riduce il rischio di sviluppare la malattia di Parkinson – spiega Giorgio Leodori di Neuromed e Sapienza, primo autore del lavoro – Nella ricerca abbiamo studiato 86 pazienti che si trovavano a diversi stadi della patologia e li abbiamo messi a confronto con un gruppo di controllo costituto da 83 soggetti sani della stessa fascia di età. Nei pazienti con malattia di Parkinson e nei soggetti di controllo sono stati valutati il livello di assorbimento della caffeina, il relativo metabolismo e infine la quantità di caffeina presente nella saliva”.
I risultati, riassume una nota, hanno dimostrato che
“L’assorbimento e il metabolismo della caffeina erano simili nei pazienti e nei soggetti di controllo. Al contrario, il livello di caffeina nella saliva era inferiore nei pazienti con malattia di Parkinson in fase moderata o avanzata rispetto al gruppo di controllo”.
“Non sappiamo ancora con chiarezza quali possano essere le cause della differente concentrazione di caffeina tra pazienti e controlli, dato che non abbiamo osservato alterazioni nell’assorbimento o nel metabolismo nei pazienti studiati – rimarca Leodori – Ulteriori studi saranno necessari per chiarire questo aspetto. Ciò che però emerge dal nostro lavoro è che la misurazione della caffeina nella saliva può costituire un valido strumento per definire con maggiore precisione lo stadio a cui si trova la malattia di Parkinson e seguire la sua progressione. Ci troviamo quindi davanti a un potenziale ‘biomarker’, utile per i clinici che seguono i pazienti”.
“Ma oltre a questo – aggiunge il ricercatore – i nostri risultati suggeriscono che la caffeina potrebbe svolgere un ruolo nella progressione della malattia di Parkinson. Approfondire i meccanismi che legano caffeina e malattia di Parkinson potrebbe portare a nuove conoscenze sulla genesi e sullo sviluppo di una patologia così rilevante, sia per la qualità di vita delle persone colpite sia per il peso sul Servizio sanitario nazionale”.