MILANO – Oltre 13 anni di esperienza su più di 90 differenti modelli di macchine per tostare il caffè (sia a tamburo che a letto fluido), 16 diverse nazioni (tra Asia, Africa, Europa e Middle East) in cui ha lavorato come consulente per varie torrefazioni, e tanti, tantissimi riconoscimenti. Paolo Scimone, classe 1983, è il protagonista del sesto episodio di MUMAC Academy Talks, il primo format dedicato alle storie dei professionisti del caffè e delle loro esperienze professionali, tecnologiche e di formazione.
Tra i suoi traguardi e obiettivi raggiunti, Paolo possiede la patente di Assaggiatore espresso italiano dello Iiac (Istituto internazionale assaggiatori caffè), di cui è anche trainer. Inoltre, è Giudice sensoriale nazionale per competizioni WCE, research advisor per Scentone (Compagnia Sudcoreana leader nella produzione di Sensory Kit), e fondatore e titolare di His Majesty the Coffee (torrefazione di specialty coffee con base in Italia) e di We Roast (spazio di co-roasting con base a Londra – Regno Unito).
Ha conseguito un master in miscelazione (alla Sandalj coffee training academy di Trieste) e un’altra di analisi sensoriale e scienza del caffè (senses, brain, sensory analysis, sensory characterization of single origins and blends, the science of roasting, the art of blending) rilasciato da Iiac.
Scimone, nel suo lavoro di consulente con quale tipo di cliente si interfaccia di solito?
“Il mio lavoro fortunatamente mi porta ad interfacciarmi con varie realtà, dalla torrefazione più piccola alla multinazionale. Mi ritengo molto fortunato, poiché in questo modo riesco ad avere una visione del mercato molto ampia ed aggiornata che altrimenti non avrei restando chiuso nel mio laboratorio. Le richieste da parte dei clienti spaziano dal semplice corso di tostatura, allo sviluppo di nuove miscele, passando per i profili di tostatura da sistemare”.
Ad oggi, si ritrova a consigliare maggiormente una macchina tradizionale o superautomatica?
“Sono un grande fan delle macchine superautomatiche, quindi potrei sembrare di parte, ma credo che non si possa generalizzare: mi sento di consigliare entrambe le tecnologie, poiché le esigenze non sono mai le medesime.
Giusto per semplificare il mio pensiero in poche parole: dove il core business non è il caffè, quindi in hotel, ristoranti, bistrò, lounge, treni, navi ed uffici consiglierei ad occhi chiusi una superautomatica come LaCimbali S15, poiché tendenzialmente non si hanno risorse e tempo da investire nella formazione costante del personale dedicato.
Invece, se parliamo di realtà dove il barista fa ancora la differenza, in quei casi la macchina tradizionale la fa da padrone, ed il cliente sceglierà quel posto per la professionalità e l’esperienza che andrà a vivere”.
Scimone, quali caratteristiche devono avere le macchine?
“Per me una macchina per caffè (tradizionale o superautomatica) deve essere un tripudio di tecnologia.
Io, grazie al percorso di studi effettuato, ho sempre avuto un approccio ingegneristico e per me non esiste nulla di empirico: tutto deve essere basato su numeri certi ed essere coadiuvato, nei limiti del possibile, dalla tecnologia sotto forma di automazione. Ben venga tutto ciò che può aiutare il barista ad essere costante nel suo lavoro”.
In una precedente intervista, abbiamo discusso della percezione della macchina superautomatica per il cliente finale, qual è la percezione che hanno i business nel momento in cui gli viene proposta una macchina superautomatica?
“In Italia c’è ancora abbastanza scetticismo riguardo queste soluzioni, percepite come dei distributori automatici. Ritengo che sia un problema culturale che può cambiare con le nuove generazioni. Invece, fuori dal nostro Bel Paese la diffusione è a 360 gradi. Sogno di vedere uno specialty coffee shop che serve il caffè esclusivamente con una superautomatica… ci arriveremo!
Oppure se non ci arriveremo, lo aprirò io con una S30, macchina che ho nel mio laboratorio e a cui sono molto legato”.
Dal punto di vista del micro-roaster invece, quale utilità può avere l’utilizzo della macchina superautomatica?
“Per un micro-roaster una superautomatica può essere la chiave di volta. Indubbiamente, dobbiamo concentrarci sul prodotto finale, senza soffermarci sui tecnicismi tipici del barista ‘nerd’ che sono molto utili in altre circostanze, ma assolutamente controproducenti in realtà come gli uffici o altri luoghi in cui andiamo a proporre la superautomatica”.
Scimone, quanto è importante per lei la formazione in quei business in cui viene utilizzata la macchina superautomatica?
“La formazione è sempre importante, in questo caso diciamo che potrebbe prendere una piega diversa, poiché non dobbiamo insegnare una serie di movimenti meccanici ai baristi, bensì farli diventare dei piccoli tecnici che gestiscono la totalità delle operazioni sulla superautomatica, senza mai dimenticare la pulizia della macchina stessa”.