MILANO – Fairtrade sta sempre più conquistando il nostro Paese. Nel 2017, infatti, i consumatori italiani hanno speso 130 milioni di euro per i prodotti certificati del marchio. Se n’è discusso a Milano, al Palazzo dei Giureconsulti, con il supporto di una dettagliata ricerca Nielsen sui consumi etici. Dei modelli di business dell’organizzazione, e con particolare riferimento a caffè ma anche cacao e tè, ha discusso proprio il Direttore operativo di Fairtrade Italia, Paolo Pastore.
Che cosa direbbe ai torrefattori?
“Ormai sempre più aziende, ci chiedono di avvicinarci a diverse materie prime, che si tratti di zucchero o di altro. La domanda è quella di dedicarci come organizzazione, integralmente ad un determinato prodotto. Ovvero, di concentrare le nostre forze sulla preparazione di una sola materia prima.
Stiamo assistendo quindi ad un cambio di ritmo, perché, soprattutto per quanto riguarda il caffè, la torrefazione non si interessa più soltanto di offrire un prodotto di qualità, ma uno che sia anche Fairtrade. Diventa quindi una nicchia ancora più ristretta.
E’ un fenomeno che interessa tanti settori. Sono le stesse aziende che ci domandano di modificare i loro percorsi di approvvigionamento per tutte le materie prime che trattano. E’ sintomo di un approccio differente.”
Pensiamo alle grandi Case del caffè, a cominicare da Starbucks
“A livello internazionale, tra le grandi case del caffè c’è chi ormai, commercializza nei propri store, circa l’80% di prodotti Fairtrade. Questo è un vero e proprio cambio di paradigma. È vero anche che, le aziende che hanno intrapreso questo percorso, sono premiate dagli stessi consumatori.
Questo perchè ormai, il cliente sceglie di esser fedele ad un brand in quanto si distingue nell’abbracciare integralmente una filosofia volta ad un mondo più sano.
Bisogna insomma riflettere proprio su questo aspetto: vogliamo essere dei semplici testimoni, oppure vogliamo fare un salto di qualità, estendendo la scelta di prodotti Fairtrade, all’intero core della nostra attività? ”
Pastore: “Il caffè è una scommessa da vincere”
“Noi stiamo oggi registrando dei piccoli incrementi. Un aumento che si aggira intorno al 10% del volume del caffè Fairtrade in Italia.
In modo importante, le cifre coinvolgono anche le torrefazioni, sempre più partecipi nell’organizzazione. Poi si procede con l’esportazione di questo caffè torrefatto certificato Fairtrade, anche in Europa e negli altri continenti.
Questa domanda è sempre più diffusa. Ormai, quasi si equipara la quantità del nostro caffè venduto in Italia con lo stesso esportato dai torrefattori italiani. Stiamo parlando di un rapporto 60/40.
A me piacerebbe che i torrefattori estendessero l’approccio Fairtrade in maniera più decisa, proprio sul mercato italiano. Per proporre agli stessi cittadini italiani un prodotto del marchio che abbia delle caratteristiche importanti di eticità e di bontà.”
I torrefattori, i pochi che stanno iniziando a farlo, sono premiati
Troviamo un esempio in Caffè Ravasio, a Milano, che Fairtrade ha premiato durante l’evento di presentazione dei dati annuali. Il desiderio è quello che anche altre aziende adottino le stesse best practices. Estendendole al mercato italiano così come all’estero.”
Sono tante le torrefazioni che aderiscono
“Sì, è un numero importante. Tuttavia, queste torrefazioni producono in quantità ridotte. Oppure, anche quando si tratta di porzioni più grandi, si tratta sempre di prodotti esportati all’estero.
Ciò che ci poniamo come obiettivo invece, è che le stesse torrefazioni guardino al mercato italiano nello stesso modo in cui entrano in quello estero.
Pensiamo che ormai i tempi siano maturi. Questo perché i consumatori riconoscono il marchio Fairtrade. Una testimonianza di questo riconoscimento è stata riscontrata a maggio.
Quando abbiamo organizzato l’evento “Fairtrade challenge” e abbiamo ottenuto ben 40mila caffè serviti in Italia. Quindi, circa 40mila persone hanno bevuto un caffè Fairtrade. Le aziende devono soltanto avere il coraggio di mettersi in linea con questo percorso.”
Un anno record per il cacao
“Quest’anno abbiamo duplicato la quantità di cacao sul mercato italiano. Ciò è ancora più importante se si considera che questa materia prima è il maggiore retail italiano. Noi siamo riusciti a convertirlo quasi completamente nel suo totale, in un prodotto a marchio Fairtrade.”
Come è successo?
“E’ una decisione che abbiamo cominciato a maturare all’epoca dell’Expo. In quella occasione, ci siamo confrontati con diversi produttori di cacao.
In particolare con rappresentati dell’America centrale. Questo incontro ha fatto scattare un rinnovo del nostro interesse nei confronti di uno tra i nostri principali partner tra i retailer.
Questa azienda ha deciso di convertire totalmente la sua produzione di cioccolato in chiave Fairtrade. Questa collaborazione è servita da apripista. Infatti, altre insegne, seppur più piccole e radicate al territorio, hanno deciso di produrre delle referenze per la propria linea private, a marchio Fairtrade.
Tutto ciò ha fatto in modo che, un’azienda contoterzista, particolarmente riconosciuta in Italia, scegliesse in maniera decisa di impostare la propria produzione sul cacao Fairtrade. E’ stata quindi una strategia che ha coinvolto fortemente il core business, non una scelta episodica. ”
Un altro versante, meno positivo però: il tè
“Il tè arriva da due anni di incrementi. Pensiamo che solo tre anni fa, si vendevano in Italia, circa cento tonnellate di tè Fairtrade all’anno. I numeri dell’anno scorso sono rimasti molto simili a quelli del periodo precedente.
E’ chiaro che, il passaggio da 100 a circa 160 tonnellate in tre anni, resta comunque un aumento rilevante. Tuttavia, dopo due anni di forte espansione, si è giunti ad una fase più stabile.
E’ comunque riscontrabile un sempre maggior interesse rispetto al tè di qualità. Questo dato è importante perché, persino il tè, che non è una bevanda di punta in Italia, sta finalmente rientrando tra i consumi giovanili.
I Millennial ora vedono il tè non più come una bevanda da bere per sconfiggere le malattie. E’ invece sempre più vissuta come una valida alternativa ad altre soluzioni calde, come il caffè.”
Tornando al caffè: come pensa Fairtrade pensa di migliorare la propria penetrazione del mercato del verde?
“Innanzitutto rassicurando i torrefattori. Perchè, per tanto tempo, il marchio Fairtrade è stato ricollegato a dei prodotti non di qualità.
Oggi, invece, possiamo contare su diversi produttori che coltivano del caffè verde di qualità. E Fairtrade Italia può fornire alle torrefazioni una consulenza per raggiungere le varietà più adeguate al proprio business.
Il messaggio quindi è: provate. Perché Fairtrade offre qualità e professionalità.”
Guardando all’estero
Per molte catene di caffetterie e per i bar privati, il caffè può essere solo Fairtrade. Perchè non accade in Italia?
“Perché esiste qui un fattore importante, che è una grande risorsa quanto un grande ostacolo: il mercato è parecchio frammentato. Infatti, siamo il Paese in Europa, con il più alto numero di torrefattori.
Questo può essere un pregio quanto un limite. Infatti, questa grande quantità di aziende anche piccole, poi rende difficile una diffusione più su ampia scala.
Il fatto che, al contrario, all’estero ci siano grandi marchi, ha fatto sì che dovessero differenziarsi con la proposta di un caffè di altro tipo. Così da conquistare nuovi consumatori.
Trovare un caffè certificato Fairtrade, abbinato ad un determinato brand, ha determinato poi che anche altri marchi volessero appropriarsene.
Questo non significa che vorremmo in Italia lo stesso modello Starbucks. Tuttavia, sarebbe positivo che anche i torrefattori italiani siano maggiormente coinvolti.
Qualche tentativo in questo senso, si sta facendo in luoghi di passaggio come alcune stazioni e alcuni centri commerciali. Qui, abbiamo riscontrato grande interesse e disponibilità nel riconoscere questo valore aggiunto di qualità in termini di prezzo.”
Che relazione esiste tra la certificazione Fairtrade e quella bio?
“Abbiamo riscontrato che, chi sceglie bio, spesso sceglie Fairtrade. Parlando di dati: il consumo di prodotti bio tocca al massimo il 4/5%. A parità di referenze, all’interno dell’offerta Fairtrade, il biologico rappresenta il 50% della scelta.
Questo significa l’aspetto ambientale viene affiancato a quello sociale. Quindi al fatto che le persone dietro al prodotto, lavorino in buone condizioni e ricevino un giusto compenso. Questo è l’elemento di forza di una scelta che sia biologica e Fairtrade.”
In Italia, i consumatori, quanto sono realmente attenti ad un caffè solidale?
“Abbiamo avuto come alleati, per l’evento di maggio, tanti torrefattori che hanno offerto degli assaggi Fairtrade. Ripeto: durante un weekend, le persone che hanno aderito sono state 40mila.
I torrefattori, sebbene non tanti rispetto al numero complessivo del nostro rapporto annuale, che distribuiscono il caffè in maniera massiccia in Italia, cominciano anche a raccogliere dei risultati.
Quindi possono apprezzare i frutti della loro scelta. Nel senso che sempre più viene riconosciuto come un valore aggiunto alla qualità della loro proposta.”
Il lavoro a monte da portare avanti è quello sui torrefattori, poi solo dopo, arrivano i consumatori.
Cosa si può fare per convertire i torrefattori, in modo da ottenere gli stessi risultati del cacao?
“Noi stiamo cercando di presidiare le iniziative del settore. Come le fiere di caffè a Trieste e altri eventi di questo tipo. Così da spiegare un approccio corretto a Fairtrade. La strada è ancora lunga, ma ormai abbiamo iniziato e stiamo già vedendo i primi cambiamenti positivi.
Molti torrefattori legano l’immagine del proprio caffè, magari ad un progetto di solidarietà. Cioè ad un’azione di beneficienza finalizzato a degli obiettivi concreti, come la costruzione di scuole.
Noi quindi comunichiamo ai torrefattori che scelgono Fairtrade, il compimento effettivo di queste costruzioni. Facciamo toccare con mano i risultati degli investimenti compiuti dalle aziende.
Se uno sceglie un caffè Fairtrade ed è quindi disponibile a pagarlo un prezzo corretto sin dall’inizio, allora riconosce un premium ai produttori.
Automaticamente, lo stesso consumatore, vedrà trasferite le risorse dei produttori ai Paesi in via di sviluppo per realizzare delle operazioni sociali.
È chiaro che si assiste ad un cambio di paradigma. Si passa cioè da un’opera di carità ad una di investimento sostenibile ed equo, nei confronti dei produttori.”
La riconoscibilità del marchio Fairtrade in Italia: che cosa dice la ricerca Nielsen
“Un dato importante: un terzo della popolazione adulta intervistata, lo sceglie e lo consiglia ai suoi conoscenti. Rappresenta una fetta importante rispetto a chi fa la spesa quotidianamente.
Ciò significa che il tema Fairtrade si sta sempre più diffondendo tra le nuove generazioni. Parliamo di un aumento importante dei consumatori cosiddetti Millennial, intorno ai 30 anni. I consumatori digitali si mostrano sensibili alla questione sostenibilità.
Per cui, le aziende che scelgono di appoggiarsi al marchio Fairtrade, possono contare sul fatto di conquistare un target giovane. Un pubblico anche educato al commercio equo solidale.
Un altro aspetto importante è legato al fatto che molti di questi giovani, sono dei viaggiatori. Conoscono il mondo e le catene straniere.
Il fatto che Fairtrade sia presente in maniera importante, sul mercato estero, ha avvicinato il marchio ai più giovani. Ci auguriamo che anche in Italia questo diventi un must.”
Quali sono le sfide di Fairtrade in Italia, per caffè, cacao e tè
“Affermare che questi prodotti siano raggiungibili da tutti. Che sono poi di qualità, fanno bene al mondo e aiutano la sosteniblità delle nostre famiglie e del mondo futuro.
Non possiamo pensare che la terra sia inesauribile. Dobbiamo metterci nelle condizioni di sostenere uno sviluppo sostenibile.”
Il caffè Fairtrade è più buono?
“Il gusto è opinabile. Diciamo che, un produttore, in origine, se viene pagato adeguatamente, è incentivato a fornire una materia prima pulita. Quindi il caffè Fairtrade è buono.”
Perchè nel commercio Fairtrade italia valgono molto più le banane del caffè, quando, a livello globale, avviene il contrario?
“Effettivamente è un fenomeno importante. Innanzitutto, va considerato che, la banana è un prodotto, soprattutto nel mercato retail, che i consumatori comprano in maniera continuativa.
Basta solo fare i conti per capire. Quanto può durare un pacchetto di caffè da 260 grammi e poi quanti caffè si possano preparare da questi, ovvero più di un centinaio. Ecco qui la risposta.
Le banane quindi valgono di più perché vengono acquistate più spesso. Pensiamo ad una famiglia che consuma abitualmente banane, ripete lo stesso acquisto due o tre volte alla settimana. Al contrario di un pacchetto di caffè, che ha una durata anche di 4 settimane.”
Una scommessa
“Bisognerebbe lanciare una nuova sfida: tutte le famiglie che comprano banane a marchio Fairtrade, dovrebbero portare a casa al mese, anche due pacchetti di caffè Fairtrade. Questo ci consentirebbe di riequilibrare le vendite dei due prodotti.
In ogni caso, un’altra cosa importante relativo proprio alle banane: abbiamo assistito a molte manifestazioni pubbliche, delle green procurement per le mense scolastiche, in cui sono state proposte per i pasti scolastici, la banana Fairtrade.
Naturalmente questo porta a dei consumi significativi. Pensiamo solo ad una città di Milano, dove vengono consumati circa 85mila pasti al giorno nelle scuole. Anche questo incide sul gap tra le vendite di banane e quelle di caffè.”
Esempi di amministrazioni pubbliche che hanno supportato Fairtrade anche per il caffè
“Collaboriamo con quattro Università, che hanno inserito il caffè Fairtrade nei loro distributori automatici. Un esempio è la Ca Foscari di Venezia. Oppure la Statale di Firenze. E’ un fenomeno che si sviluppa lentamente, ma è una strada che stiamo percorrendo. ”
Il vending: a Milano ci sarà Venditalia
Che rapporto ha Fairtrade con la distribuzione automatica?
“Abbiamo dei rivenditori specializzati nel vending che hanno iniziato a richiedere la realizzazione di miscele Fairtrade per i distributori. Questi operatori possiedono diverse centinaia di macchine installate in Italia.
Possiamo dire che anche questo è un processo in evoluzione. Naturalmente, il problema del vending resta il rapporto tra prezzo e prodotto.
Si tratta di un settore molto competitivo, e questo probabilmente frena l’introduzione di prodotti di maggiore qualità anche nel caffè.
Abbiamo suggerito alcuni passi da fare ad alcuni organismi del settore, affinché possiamo esser più presenti anche nel vending.”