MILANO – Continua la serie di interventi a commento dell’intervista del torrefattore pugliese Antonio Quarta, che ha scatenato il dibattito attorno al tema aumento del costo della tazzina, potere d’acquisto, qualità, rapporto tra torrefattore e barista. Questa volta si inserisce nel discorso la torrefattrice, barista, Paola Campana.
Paola Campana: “Non ho un atteggiamento completamente critico nei confronti delle considerazioni condivise da Antonio Quarta”
“Perché non ha totalmente torto: il rincaro dei prezzi non può essere slegato anche ad un fattore culturale, alla tradizione della tazzina che è innanzitutto convivialità. Tuttavia penso anche che vendere l’espresso a un euro non sia più fattibile, considerando anche solo il costo del chicco verde che ha subito negli ultimi anni un forte aumento, soprattutto la Robusta che ora è vicina all’Arabica.
Sarebbe piuttosto auspicabile optare per una diversificazione dell’offerta: ho sempre sostenuto che si potesse offrire in una caffetteria non soltanto lo specialty, ma anche qualcosa di più classico, magari una miscela di qualità. Nei bar ci deve essere un prodotto più standard che sia alla portata dei portafogli di tutti insieme a delle monorigini un po’ più care, per rispondere a desideri più particolari.
Questa è un’opzione valida che andrebbe percorsa. Non ci siamo ancora arrivati, perché siamo legati ancora al concetto del classico bar all’italiana, dove si propone sempre il solito caffè. E questo anche perché le torrefazioni finanziano le attività commerciali fornendo loro attrezzature e accessori: in questo modo non si avrà mai modo di avere una maggiore diversificazione e cultura del prodotto.
La responsabilità quindi è da parte di entrambi gli operatori: i baristi che non studiano e approfondiscono l’argomento caffè, i torrefattori che marciano su questo disinteresse e insistono sui finanziamenti. Questa dinamica svilisce il mercato italiano del caffè. Ci vuole invece il prezzo adeguato ai diversi tipi di caffè proposti.
Un euro e 50 per qualcosa di scadente non è appropriato e viceversa, la qualità si deve pagare in maniera corretta.
Per quanto riguarda il potere di acquisto: lavorando anche da Starbucks, ho potuto notare che le persone ordinano una tazzina di caffè senza lamentarsi del costo più elevato per una miscela 100% Arabica. Penso quindi che non solo sia possibile, ma che bisognerebbe spingere più in alto i prezzi, raccontando le origini, puntando sulla qualità. Prima di tutto dobbiamo mettere al primo posto una materia prima elevata, promuovendo una filiera più equa e sostenibile. Un euro e 50 è una spesa che si può affrontare: si beve di meno, ma si consuma qualcosa di buono.”