PALERMO – Correva l’anno 1991 quando un commando svuotò il caveau del Monte di Pietà a Palermo. Bottino: oro e gioielli per 18 miliardi di lire, di cui non si è saputo più nulla. Del commando faceva parte Francesco Paolo Maniscalco, l’uomo a cui è stato sequestrato un patrimonio che vale 15 milioni di euro.
Maniscalco, dopo avere finito di scontare nel 2006 una condanna a sei anni e otto mesi per il maxi colpo, è diventato un imprenditore: si è lanciato nel mondo del caffè.
La sezione Misure di prevenzione del Tribunale, presieduta da Giacomo Montalbano, gli ha sequestrato il Gran Cafè San Domenico, il Bar Intralot di via Carlo Pisacane, il Bar Trilly di via Giacomo Cusmano, e le società “Cieffe Group” e “Sicilia e Duci Distribuzione” che vendono all’ingrosso caffè e prodotti alimentari.
Maniscalco, 53 anni, già condannato non solo per rapina ma pure per associazione mafiosa, nel 2012 era già stato colpito da un sequestro di beni deciso dal giudice per le indagini preliminari.
Ora sono stati i finanzieri del Gico del Nucleo di polizia tributaria della Guardia di Finanza, guidati dal colonnello Francesco Mazzotta, a fare le pulci ai suoi conti. Ne è venuta fuori la figura di un imprenditore dalle dichiarazioni dei redditi ufficiali davvero esigue per giustificare la mole di investimenti e il tenore di vita; da qui il sequestro.
Intercettazioni e accertamenti patrimoniali hanno svelato che per sfuggire ai controlli Maniscalco, secondo gli investigatori, cambiava continuamente i soci delle aziende, ne chiudeva alcune per aprirne poco dopo altre.
Secondo alcuni collaboratori di giustizia l’imprenditore ambiva a diventare, ad ogni costo, il leader incontrastato nella fornitura del suo Caffè Floriò presso gli esercizi commerciali di Palermo.
I commercianti, pur di non avere guai, accettavano l’impostazione della merce, nonostante la qualità, in alcuni casi, non sarebbe stata delle migliori. Per questa vicenda il processo è ancora in corso.