Alcuni punti vendita Coop e Lollipop in Svizzera hanno messo sottochiave il cioccolato di Dubai in alcune filiali perché andava letteralmente troppo a ruba. Altri supermercati non hanno invece constatato anomalie in relazione ai furti. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo del portale d’informazione Ticinio News.
I ladri di cioccolato in Svizzera
MILANO – Il cioccolato di Dubai continua a riscuotere successo. Talmente tanto che alcuni supermercati hanno dovuto adottare alcune misure per tenere a bada i ladri. Sì perché la tavoletta caratterizzata da una farcitura di pistacchio ha fatto gola a molti avventori. Stando al portale Nau.ch alcuni supermercati hanno dovuto depositare il prelibato cioccolato in un’area sicura, come già avviene per altri prodotti come superalcolici, sigarette o sacchi della spazzatura.
Coop per esempio ha messo in alcune filiali il prezioso cioccolato dietro alle proprie casse per evitare furti. Stando al portale svizzerotedesco tre tavolette su cinque messe in vendita sarebbero state rubate. Il commerciante al dettaglio non ha voluto fornire cifre, sottolineando che la maggior parte dei clienti è onesta. Ma non tutti. Da qui la decisione di mettere sottochiave il prodotto, del costo di 13 franchi.
Anche il negozio di dolciumi Lolipop vende il cioccolato di Dubai solo in un’area sicura presso la filiale alla stazione di Berna. “Abbiamo notato che viene rubato più spesso”, ha confermato un portavoce al portale. L’attrattiva per il prodotto è legato alla sua popolarità e al suo status speciale. Ecco perché anche i dipendenti sono stati sensibilizzati di conseguenza.
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RIMINI – Andrea Antonelli è una figura molto nota nel mondo del caffè – già campione italiano latte art nel 2006, è poi stato premiato miglior brand ambassador per i Barwards nel 2022 con pulyCAFF – grazie anche ai suoi corsi di qualificazione da sempre dedicati alla figura professionale dietro al bancone.
Con il suo lavoro formativo, ha toccato tutti i temi attorno alla tazzina: dalla latte art alla chimica del latte, dagli assaggi professionali alla tostatura, sino alla corretta manutenzione delle attrezzature. Sempre attento a tutta la filiera dal chicco compresa, non ultima per importanza, la pulizia delle macchine.
In occasione di SIGEP World 2025 è stato possibile confrontarsi con l’esperto proprio su quest’ultimo tema, cruciale e da poco per altro comparso sugli schermi nazionali di Report. Da qui, parte la discussione in Fiera.
Una recente trasmissione televisiva, Report di Rai3 e le polemiche che sono seguite hanno rilanciato, tra l’altro, le problematiche relative alla tramoggia del macinino. Innanzitutto si tratta di tramoggia o campana?
“Facciamo subito chiarezza sui termini: in italiano il termine corretto è tramoggia, mentre in inglese si traduce con hopper bean: la parola “campana” non trova infatti corrispondenza in “hopper” e quindi per una traduzione appropriata, si deve usare l’espressione intera “hopper bean”.”
Antonelli, alcuni affermano che la tramoggia sporca aiuta a mantenere forte l’aroma del caffè. Altri affermano che invece serve per nascondere il caffè cattivo all’interno. Qual è la verità?
“Chi lascia la tramoggia sporca, lo fa innanzitutto per nascondere i grassi che rancidiscono e, sicuramente, per negligenza. Questi grassi rancidi influiscono sull’aroma del caffè e sulla materia prima, ovvero il chicco tostato, e questi a loro volta vengono poi trasferiti nella macinatura, quindi in tazza, e infine hanno inevitabilmente un impatto anche sulla salute del consumatore”.
Bisogna pulire la tramoggia con coscienza quindi
“Innanzitutto dovremmo informarci su quella che è la materia prima che abbiamo a disposizione, partendo dal presupposto che non dobbiamo nascondere ma, al contrario, essere trasparenti.
Ho visto che negli ultimi mesi alcune aziende, anziché consigliare le giuste operazioni di pulizia delle attrezzature, si limitano a creare delle latte o dei bidoni che tutto sono tranne che trasparenti: in questo modo riescono anche a farsi pubblicità, mascherando ciò che il barista non andrà mai a pulire. Sono certo che questi contenitori di metallo non verranno mai puliti all’interno”.
Antonelli, come si pulisce la tramoggia?
“La tramoggia più comune è quella di plastica o policarbonato ma può essere anche di vetro. È caratterizzata da diversi interstizi e delle fessure molto sottili, che rendono la manutenzione piuttosto complessa. Bisogna procedere con la dovuta attenzione: alcune si inseriscono all’interno dell’apri camera della macinatura e sono dotate anche dei sensori che avviano o interrompono il funzionamento corretto del macinacaffè.
Fatta questa doverosa premessa, la tramoggia si pulisce con dei prodotti specifici, che non sono però i semplici detergenti: questo perché esistono dei modelli sul mercato che sono difficili da risciacquare. Per ovviare al problema, pulyCAFF ha realizzato dei prodotti che non hanno bisogno di risciacquo e che rientrano nella normativa HCCP. Il nostro puly hopper, sviluppato ormai nel 2011, ne è un esempio pratico. Sono passati quasi 15 anni e ormai dovremmo sapere tutti come si effettua una giusta pulizia.
La pulizia della tramoggia del macinacaffè
Ci sono persino numerosi tutorial che si possono vedere su YouTube.
pulyCAFF studia anche lo sviluppo di etichette che spiegano bene attraverso sia istruzioni scritte sia figurative, come impiegare correttamente il prodotto. Ci proponiamo alle torrefazioni per poter fare il nostro ingresso e insegnare le modalità di una corretta manutenzione. Nella stessa direzione vanno i nostri pulyDAY. Si tratta di corsi mirati alla formazione sull’utilizzo efficiente del prodotto e sulla maggior cura di tutti quei pezzi da smontare perché interessati dal passaggio del caffè e non giovano al risultato finale in tazza, se non adeguatamente trattati. ”
Antonelli, quando la tramoggia è pulita ci sono ancora le macine
“Le macine sono un particolare più complesso da affrontare in autonomia e, a volte, richiedono una maggiore assistenza. Per evitare di dover richiedere il supporto tecnico troppo spesso, abbiamo sviluppato il pulyGRIND crystals, appunto come suggerisce il nome, in cristalli, con l’obiettivo di liberare gli spazi occlusi in camera di macinatura all’interno delle gole delle stesse macine. Sia essa piana o conica, per uso domestico o professionale.
Il nuovo barattolo di pulyGRIND Crystals (immagine concessa)
C’è di più: pulyGRIND è in grado di riprendere l’olio depositatosi nella camera di macinatura e lasciarla pulita, non semplicemente deterso o igienizzato: questo perché si tratta di un vero e proprio lavaggio a secco che avviene nello spazio principale in cui il chicco viene trasformato in polvere”.
Il macinino e la tramoggia sono macchine fredde vicino ad una macchina calda. Perché non usare gli stessi detergenti per entrambi?
“Innanzitutto la macchina del caffè espresso è un boiler e funziona con l’acqua calda. Il macinacaffè invece, è una macchina a freddo poiché al suo interno non circola l’acqua bollente. Per queste ragioni, i due macchinari hanno bisogno di un approccio completamente diverso l’uno dall’altro. In effetti spesso si potrebbe pensare di spazzolarli entrambi allo stesso modo, ma non sarebbe corretto.
Proviamo a spiegare brevemente il perché: innanzitutto con il caldo, i metalli reagiscono negativamente al passaggio di spugne e spazzole. Ricordiamoci che alla stessa maniera anche le macchine a freddo non reagiscono bene davanti ad accessori come spugne abrasive e pennelli, che possono rovinare le pareti di ferro.
Ecco perché il nostro primo obiettivo di Asachimici pulyCAFF è quello di generare prodotti per la manutenzione e la cura delle attrezzature che si limitino a sgrassare e a togliere la patina di sostanze nocive che si genera con il cambio di temperatura o nel lasso di tempo che passa da quando viene aperto il pacco di caffè al momento in cui viene erogato”.
Da diversi anni pulyCAFF fa prodotti rispettosi dell’ambiente. Cosa significa nello specifico?
Antonelli: “Sviluppiamo detergenti e pulitori a partire proprio dalle confezioni. A SIGEP per esempio, abbiamo dimostrato come siamo riusciti a realizzare un packaging al 100% di plastica riciclata e riciclabile. Abbiamo sviluppato dei prodotti con delle azioni lavanti, derivati dal mondo vegetale. Quindi abbiamo svolto alcune ricerche per trovare materie prime che possano sostituire quelle più tradizionali per rispettare non solo l’ecosistema, ma intercettare anche le nuove esigenze del consumatore più attento alla sostenibilità, senza però dover tralasciare la qualità del prodotto”.
MILANO – L’ Eudr rimane in cima alle preoccupazioni di tutta la filiera del caffè, a partire dai paesi produttori. E cominciando dal Brasile, che ha nell’Ue il suo principale mercato di esportazione. “La nostra priorità per il 2025 è di migliorare il know-how di settore e il supporto all’adeguamento alle nuove norme, per esportare nell’Unione Europea, che comportano una due diligence complessiva del rischio socio-ambientale lungo la supply chain” scrive la Conferenza degli esportatori di caffè del Brasile (Cecafé) in una recente nota.
“Ciò è a maggior ragione importante, se si considera la rilevanza del blocco europeo per gli esportatori brasiliani”.
Secondo il più recente report mensile di Cecafé, il Brasile ha esportato, nel 2024, verso i paesi dell’Ue, 23,6 milioni di sacchi di caffè, con un incremento del 42,8% rispetto al 2023. In virtù di queste cifre, l’Unione assorbe il 47% dell’export complessivo del Brasile: qualcosa come 71,5 milioni di container.
Volumi ingenti, che a partire dall’anno prossimo saranno soggetti a un complesso sistema di verifica, in vista del quale sarà necessario un “approccio strutturato e strategico”, in collaborazione le autorità europee, nella classificazione delle regioni caffearie del Brasile in base a dati tecnici e scientifici.
Per i caffè brasiliani diventa dunque essenziale l’esistenza di una mappatura aggiornata e standardizzata di tutte le aree di produzione, che rifletta la responsabilità ambientale dei produttori brasiliani, scrive Cecafé.
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Andrej Godina, dottore di ricerca in scienza, tecnologia ed economia nell’industria del caffè, ha partecipato alla trasmissione della Televisione Svizzera Italiana RSI “Un caffè, grazie“, condividendo un’analisi sulla qualità e il prezzo del caffè espresso, con le differenze tra il Ticino e le regioni confinanti dell’Italia. Leggiamo di seguito le considerazioni dell’esperto.
La qualità e il prezzo del caffè espresso tra il Ticino e l’Italia
di Andrej Godina
MILANO – “La recente trasmissione della Televisione Svizzera Italiana RSI andata in onda il 24 gennaio dal titolo “Un caffè, grazie” ha offerto un’analisi sulla qualità e il prezzo del caffè espresso, con particolare attenzione alle differenze tra il Ticino e le regioni confinanti dell’Italia.
Ho partecipato quale ospite in diretta della trasmissione e ho partecipato alle riprese dell’inchiesta degustando diverse miscele nei bar ticinesi e italiani, assieme alla giornalista Federica Bonetti, al fine di valutare la qualità del caffè offerto. Durante la trasmissione, sono emersi temi rilevanti, non solo riguardo alla qualità percepita dai consumatori, ma anche in merito al prezzo dell’espresso nei bar, il prezzo della materia prima e la necessità di evolvere l’offerta obsoleta del menu della caffetteria.
In Italia, il caffè espresso al bar è una tradizione radicata, è un rito sociale che non è in grado di offrire al consumatore uno storytelling di prodotto, l’offerta è un mono prodotto e non esiste una differenziazione del prezzo in base alla qualità della bevanda.
Secondo dati recenti, il prezzo medio di una tazzina di espresso in Italia si attesta intorno a una media di 1,18 euro, con variazioni significative tra le città del nord e del sud, come per esempio Bolzano con 1,38 euro, Milano con 1,17 euro, Napoli 1,05 euro, Catanzaro 0,99 euro.
La differenziazione del prezzo del caffè in Italia oggi rispecchia semplicemente un differente costo della vita tra nord e sud e alcune volte una leggera differenza qualitativa del prodotto considerando che al nord si predilige la specie botanica Arabica con una tostatura più chiara mentre al sud dove i consumatori sono maggiormente abituati a un flavore più intenso della specie Canephora tostata più scura.
Per confrontare i prezzi italiani con quelli svizzeri è importante contestualizzarli rispetto al potere d’acquisto considerando lo stipendio medio italiano, che si aggira intorno ai 30.000 euro annui. Ciò significa che il costo di un caffè rappresenta una piccola frazione dello stipendio medio mensile.
In Svizzera, invece, il prezzo dell’espresso è sensibilmente più elevato. Un’indagine condotta dalla SRF ha rilevato che il prezzo medio di un caffè a livello nazionale è di 4,08 franchi svizzeri, dove nella Svizzera italiana, in particolare in Ticino, i prezzi sono più contenuti e oscillando tra 2 e 2,80 franchi per un espresso.
Lo stipendio medio svizzero è significativamente più alto rispetto a quello italiano, attestandosi intorno ai 80.000 franchi annui, il che significa che, anche se il prezzo dell’espresso è più elevato, in proporzione al reddito medio, l’incidenza sullo stipendio è più alta rispetto a quella italiana. Sebbene il prezzo assoluto di un espresso in Svizzera sia più elevato, l’incidenza sullo stipendio medio mensile è maggiore, pertanto, in proporzione al reddito, il caffè espresso in Italia risulta essere più economico.
Se invece ci soffermiamo solamente alla regione del Ticino ecco che la differenza si assottiglia e si ottiene sostanzialmente un pareggio.
La redazione di Patti Chiari ha effettuato un sondaggio tra i suoi telespettatori, indagando sulla percezione qualitativa del caffè che consumano al bar. Il risultato è che 2 intervistati su 4 ha dichiarato di considerare insufficiente la qualità media dei caffè che consuma al bar. Trattasi di una percentuale significativa considerando la scarsa dimestichezza che il consumatore generalmente ha nei confronti del riconoscimento del flavore del caffè.
(dati concessi)
In trasmissione era presente anche Nicoletta Monti, in rappresentanza della torrefazione Moka Efti, con la quale si è avuta l’occasione di trattare anche il tema dell’aumento della materia prima, del caffè verde, in particolare verificatosi nell’ultimo anno.
Le torrefazioni, da sempre, fatta salva qualche sporadica e breve oscillazione, hanno operato in una condizione di sostanziale stabilità dei prezzi del caffè verde, condizione che ha abituato il mercato horeca a una lunga stabilità di prezzo.
Ora invece, considerando che si sono registrati picchi di aumento che in taluni hanno triplicato i costi di acquisto con ripercussioni lungo tutta la filiera e che hanno costretto gli esportatori, i trader e i torrefattori ad affrontare costi maggiorati per l’acquisto e per la gestione finanziaria delle compravendite.
Questo aumento ha costretto le torrefazioni a ribaltare a valle parte di questi costi, trovando però notevoli difficoltà di accettazione.
Questo problema, affiancato a una maggiore difficoltà di reperibilità di alcuni tipi di caffè, ha causato la modificazione delle miscele, in alcuni casi facendo decadere la qualità finale. Oramai l’aumento del prezzo di vendita del caffè tostato è un fatto assodato e irreversibile, non è invece ancora stato accettato un aumento a valle sul consumatore.
In trasmissione ho ribadito con forza che il prezzo del caffè al bar deve subiro un sostanziale cambiamento, non solo per l’aumento del prezzo del verde ma anche per l’introduzione di una differenziazione di prezzo correlata alla qualità della bevanda.
Oggi è necessario uscire dal concetto del “prezzo politico e calmierato dell’espresso”, una politica fallimentare che ha portato semplicemente ad avvantaggiare tutte quelle torrefazioni che offrono alla propria cliente prodotti di scarsa qualità e che hanno pian piano impoverito i gestori dei locali.
Il caffè è una bevanda ricca di aromi, è una bevanda funzionale che fornisce una dose di caffeina, è in grado di offrire una moltitudine differente di caratteristiche sensoriali e può essere preparata con decine di metodi di estrazione differenti. Mi chiedo come sia ancora oggi possibile pensare che nel bar si possa continuare a offrire 1 solo brand, 1 solo tipo e 1 solo prezzo per il caffè!
Diversificare l’offerta al consumatore, proponendo diverse miscele e diversi metodi di preparazione, non solamente renderebbe la “pausa caffè” più divertente per il consumatore, ma darebbe modo al gestore del locale di avere un maggiore fatturato derivante dalla vendita del caffè e nel caso di bevanda di volume più alto dell’espresso come la moka, il filtro, il cold brew, con un marginare di guadagno molto più alto.
All’interno dei bar la carta del caffè dovrebbe avere almeno 3 differenti proposte declinate su 3 macro flavori: un profilo sensoriale più dolce e acido, tipico degli Arabica, un profilo marcatamente bakery caratteristico delle miscele degli Arabica naturali e della Canephora e infine un terzo profilo, per gli amanti dei flavori intensi, con sfumature scure e amaricanti, tipico delle miscele tostate scure.
Questi caffè devono essere offerti in espresso e nelle bevande latte, in moka o napoletana con almeno una proposta di bevanda filtro e cold brew. Personalmente sono certo che in questo modo i consumi di caffè aumenterebbero, infatti tutti coloro i quali limitano il consumo dell’espresso perché troppo amaro e dalla quantità troppo bassa inizierebbero ad ordinare caffè secondo le proprie preferenze.
In questo modo anche tante persone che oggi consumano te e soft drink passerebbero al menu della caffetteria ordinando bevande di maggiore volume e in più si riuscirebbe anche a conquistare i palati delle generazioni più giovani!
Alla luce di quanto emerso durante la trasmissione Patti Chiari invito i lettori a riflettere sulla necessità di un rapido cambiamento dell’obsoleta offerta del caffè nei bar e ristoranti, auspicando di vedere presto una maggiore offerta variegata, in particolare rivolta ai giovani”.
ORNAVASSO (Verbano-Cusio-Ossola) – Mokavit apprende della possibile acquisizione del rinomato marchio Bialettida parte di una proprietà cinese. Questa notizia, che sta scuotendo il panorama nazionale, non rappresenta solo un ulteriore capitolo di una storia che rischia di spezzarsi, ma anche una grande sfida per l’Italia, che rischia di perdere uno dei suoi simboli più riconosciuti nel mondo: la moka.
È un altro duro colpo per la manifattura italiana, che da tempo sta affrontando
crescenti difficoltà nel mantenere il controllo sui suoi marchi storici. Bialetti, il marchio che ha dato vita alla storica moka nel lontano 1933, è il cuore della tradizione artigianale italiana.
Il suo fondatore, Alfonso Bialetti, ha creato un’icona senza tempo, che oggi rischia di essere separata dalla sua terra d’origine. La moka non è semplicemente un oggetto: è un emblema dell’Italia, una manifestazione tangibile di una cultura che ha affascinato e conquistato il mondo intero.
La possibilità che un marchio così rappresentativo possa passare sotto il controllo di un’azienda cinese rattrista profondamente l’azienda. La manifattura italiana, l’arte e il saper fare rischiano di essere sottratti al Paese, e con essi la sua identità. Tuttavia, questo scenario spinge Mokavit a rafforzare ancor di più la sua determinazione.
Mokavit, fondata a Ornavasso, a pochi chilometri da Omegna, dove tutto ha avuto inizio, è l’ultima azienda rimasta del settore a produrre la moka interamente in Italia. Con una filiera che si estende per soli 15 chilometri, rappresenta la tradizione e l’eccellenza che il nostro paese ha sempre saputo offrire al mondo.
La scelta dell’azienda di utilizzare la fenice come simbolo non è casuale: essa rappresenta la rinascita, la capacità di affrontare le sfide e di continuare a far vivere ciò che è stato creato con passione e sacrificio. Mokavit desidera ridare vita alla produzione locale, creare nuovi posti di lavoro e riportare in auge la tradizione che un tempo ha fatto grande il nostro territorio.
La missione è chiara e incrollabile: difendere la moka, difendere il Made in Italy, essere garanti della sua sopravvivenza. Mokavit è pronta a combattere con tutte le forze affinché il simbolo della moka rimanga indissolubilmente legato alle radici italiane. È convinzione
convinzione che la qualità, la tradizione e l’autenticità che abbiamo ereditato dai
grandi maestri artigiani continueranno a essere il suo faro, guidandola verso il futuro.
Mokavit non è solo un’azienda.
È un baluardo di ciò che l’Italia ha rappresentato nel mondo e che continuerà a rappresentare.
Il suo impegno sarà quello di non solo preservare, ma anche di far rinascere la moka come simbolo di arte e cultura italiana. Mokavit, come riporta l’azienda stessa, è convinta che, difendendo l’autenticità e la qualità, restituirò alla moka il suo giusto prestigio, facendola risplendere ancora più luminosa come ambasciatrice della tradizione italiana.
Francesco Sanapo, fondatore di Ditta Artigianale insieme a Patrick Hoffer, spiega il motivo per cui i titolari dei bar saranno costretti ad alzare il prezzo della tazzina in Italia: “sopravvivere all’insegna della sostenibilità garantendo inoltre stipendi e tutele adeguati ai propri dipendenti”. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul quotidiano La Nazione.
Il prezzo della tazzina in Italia
MILANO – “Il caffè al bar è venduto sotto costo. In Francia, Germania, Inghilterra o Spagna non si trova a meno di 3 euro. Ci sono locali storici in centro che pagano migliaia di euro di locazione. E’ chiaro che non possono vendere il caffè a meno di due euro”.
Questo il pensiero del direttore generale di Confcommercio Toscana Franco Marinoni che tratteggia una situazione che ben conosce Maurizio Merico, titolare di alcuni bar nel centro storico e venditore del cosiddetto oro nero: “Al Bar Arcobaleno nel menù la tazzina è a 1.50. Non posso fare altrimenti, a me costa più di 70 centesimi. Sul prezzo finale non incide solo la materia prima ma anche quello che sta intorno: lo zucchero, il dolcificante, l’usura delle tazzine, il personale dedicato. Venderlo a meno è insostenibile, il resto del mondo lo ha capito”.
Uno dei massimi esperti del settore è senz’altro Francesco Sanapo. Dietro la tazzina, ci spiega il pluripremiato campione del caffè e fondatore di Ditta Artigianale, che ha rivoluzionato il settore, non c’è solo la materia prima ma decine di fonti di costo che spaziano dalla manodopera alle utenze fino alla materia prima.
“C’è stata – spiega Sanapo a La Nazione – una diminuzione della produzione: la siccità, le malattie e altri eventi meteorologici avversi hanno portato a una diminuzione della produzione di caffè, facendone aumentare il valore”. Parallelamente poi c’è stato un aumento della domanda: “La crescente popolarità del caffè a livello globale ha portato a un incremento dei consumatori, superando l’offerta. E’ chiaro quindi che il prezzo della materia prima sta aumentando” sottolinea Sanapo.
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MILANO – Nel cuore di Brera, una temporary boulangerie firmata dal brand Paul & Shark durante la settimana della moda maschile, per portare al pubblico le atmosfere della capsule collection A/I 2025 Riviera Deauville, ispirata al fascino della Belle Époque e dei paesini di mare della Normandia: è successo nel punto vendita di Égalité in piazza San Simpliciano che, dal 18 al 21 gennaio, è stato trasformato nella “Paul & Shark Boulangerie”.
Moda maschile e arte della panificazione
Due mondi che si sono incontrati, quello di Égalité e di Paul & Shark, per dare vita a un takeover che ha unito l’arte della panificazione francese con lo stile unico e senza tempo della linea Riviera del brand italiano: il concept della “Paul & Shark Boulangerie” è stato pensato per ricreare l’incanto della cittadina normanna di Deauville, cha ha ispirato la nuova capsule collection.
L’ambiente, curato nei minimi dettagli, è stato capace di fondere l’eleganza marina con il calore accogliente che da sempre contraddistingue Égalité. Tavolini intimi, tonalità delicate di bianco e azzurro, e un menù pensato per esaltare i sapori autentici d’Oltralpe hanno catapultato i visitatori in un angolo di Francia e creato lo sfondo perfetto per la presentazione della capsule Riviera Deauville FW25 di Paul & Shark.
Gli interni (immagine concessa)
Un connubio tra moda e gastronomia
L’esperienza proposta è andata oltre l’aspetto estetico: per tutta la durata della Fashion Week maschile (conclusa il 21 gennaio), gli ospiti – immersi in un’atmosfera che riflette il dna del brand, contemporaneo e profondamente legato al mare – hanno gustato le pâtisserie e viennoiserie di Égalité, dai classici croissant al delizioso pain au chocolat. Protagonista anche il pane, emblema di artigianalità e creatività per un’esperienza indimenticabile.
Un incontro tra heritage e contemporaneità
Il connubio tra Égalité e “Paul & Shark Boulangerie” rappresenta un esempio perfetto di come la moda e la gastronomia possano fondersi per creare un’esperienza memorabile. La boulangerie, già conosciuta per la sua offerta di prodotti freschi e artigianali, si arricchisce così di nuove ispirazioni, celebrando il savoir-faire francese con un tocco di stile italiano.
L’azienda specializzata in caffetteria, pasticceria e ristorazione Gerla 1927 ha acquisito il bar Dezzutto, locale storico simbolo della città di Torino aperto nel lontano 1958. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Christian Benna per il quotidiano Il Corriere della Sera.
L’acquisizione dello storico bar Dezzutto
TORINO – Gerla 1927, azienda torinese nel mondo della caffetteria, della pasticceria e della ristorazione, ha completato l’acquisizione dello storico bar Dezzutto di via Duchessa Jolanda 23, punto di riferimento del quartiere Cit Turin.
La pasticceria Dezzutto, aperta nel 1958, un’istituzione per la città e un’icona di Cit Turin, era stata rilevata da Vito Matta (ex Bar Zucca) che aveva provato a rilanciarla anche oltre i confini dello storico negozio gestendo il ristorante del Circolo Canottieri Eridano di Torino. Operazione finita malissimo con i sigilli della autorità alla sala ristorante nel dehors.
Per Gerla si tratta di un’acquisizione in linea con gli obiettivi del Gruppo, che conferma la fase di espansione aziendale, cominciata tre anni fa con l’operazione con cui Gerla ha rilevato prima La Pista, iconico ristorante sul tetto del Lingotto, e poi Platti, locale storico d’Italia e simbolo della migliore caffetteria torinese; e proseguita più di recente con l’acquisizione del centralissimo Caffè Norman, locale talmente legato alla storia cittadina che qui nacque il Torino Calcio.
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TREVISO – Il mondo del gelato artigianale italiano è sinonimo di passione, eccellenza e continua ricerca della qualità. È con questo spirito che Stefano Dassie, il volto e il cuore dietro Dassie Vero Gelato Artigiano, ha sempre guidato il suo lavoro, portando il suo brand a essere riconosciuto tra i migliori in Italia. Tuttavia, oggi Stefano compie una scelta importante, annunciando ufficialmente la sua decisione di rinunciare al prestigioso premio dei Tre coni del Gambero Rosso.
Stefano Dassie (immagine concessa)
Durante la premiazione di quest’anno, Stefano Dassie non solo ha rifiutato il premio, ma ha chiesto formalmente di non essere più inserito tra i candidati del Gambero Rosso per gli anni futuri. Una decisione che ha radici profonde.
Il ringraziamento: riconoscenza e motivazione
“Voglio ringraziare il Gambero Rosso,” dichiara Stefano, “per la motivazione che mi ha dato nel cercare di raggiungere un riconoscimento così ambito. È stato uno stimolo importante che ha contribuito al miglioramento continuo del mio lavoro e del mio gelato artigianale. Tuttavia, sono giunto alla conclusione che è arrivato il momento di prendere una posizione chiara.”
Le ragioni della scelta
La decisione di Stefano Dassie non nasce da un impulso, ma da un’analisi profonda e ponderata. Negli ultimi anni, secondo il maestro gelatiere, sono emersi elementi che hanno messo in discussione la trasparenza e la coerenza del sistema di valutazione del Gambero Rosso.
“Credo fermamente che il nostro settore meriti una valorizzazione basata su criteri chiari e condivisi, lontani da dinamiche che valorizzano il gelatiere a favore di logiche di mercato” continua Stefano. Questo va contro i principi di autenticità e meritocrazia che dovrebbero guidare il mondo del gelato artigianale.”
Un appello per il settore
Stefano Dassie sottolinea che questa decisione non è una critica fine a sé stessa, ma un invito a una riflessione più ampia. “La valorizzazione del nostro settore deve essere basata su principi di coerenza e trasparenza. È necessario costruire un sistema che premi davvero l’eccellenza con apposite certificazioni, senza compromessi o influenze esterne.”
Uno sguardo al futuro
Per DASSIE Vero Gelato Artigiano, questo è un nuovo capitolo. Un capitolo in cui il focus rimane sulla qualità, sull’innovazione e sull’amore per l’arte del gelato, ma anche su una visione etica del settore. “Continueremo a lavorare con la stessa dedizione di sempre,” conclude Stefano, “per offrire il miglior gelato d’Italia e per rappresentare i valori più puri di questa meravigliosa professione”.
Con questo annuncio, Stefano Dassie riafferma il suo impegno verso il gelato artigianale di qualità, ma soprattutto verso i valori di trasparenza, correttezza e passione che hanno sempre contraddistinto il suo lavoro. Un messaggio forte e chiaro, che non passerà inosservato nel panorama del gelato italiano.
La riapertura dello storico bar Cremcaffè di piazza Goldoni a Treiste è prevista in febbraio, fra modernità e tradizione degli spazi dedicati al fondatore Primo Rovis. La data precisa verrà comunicata a breve. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo di Micol Brusaferro per il portale d’informazione Il Piccolo.
L’apertura del Caffè Primo Rovis a Trieste
TRIESTE – Il famoso nastro trasportatore è tornato, nella stessa posizione di un tempo. L’area frappè è pronta, anche questa nello storico punto dove è stata attiva per anni. E sopra il grande bancone spicca una delle più importanti novità. La scritta con il nome del locale “Caffè Primo Rovis”.
Il Piccolo entra in anteprima nell’ex Cremcaffè di piazza Goldoni, rilevato nei mesi scorsi dalla società Enigma sas, oggetto di una totale ristrutturazione e destinato a riaprire i battenti nel mese di febbraio. La data precisa verrà comunicata a breve.
Rivive così un bar che ha segnato la vita della ristorazione triestina, con la valorizzazione del suo fondatore, Primo Rovis.
La sistemazione generale ha richiesto un impegno più consistente rispetto alle iniziali previsioni, perché è emersa la necessità di lavori più imponenti, soprattutto sul fronte degli impianti. Interventi ultimati nelle scorse settimane. Manca ancora qualche piccolo dettaglio e l’opera finale di pulizia.
Il primo impatto è quello di un caffè molto più grande e luminoso di un tempo, grazie alla scelta di puntare su colori chiari, per i pavimenti, e pastello per le pareti.
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