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martedì 22 Aprile 2025
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Il maestro gelatiere Fabrizio Fenu insieme allo chef Alessio Signorino per il menù a tema gelato al ristorante Terra di Cagliari

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Il maestro gelatiere Fabrizio Fenu e lo chef Alessio Signorino collaborano per offrire un menù originale in cui il gelato entra nell’alta ristorazione. La cucina potrà essere gustata giovedì 30 gennaio alle 20 al ristorante Terra di Palazzo Tirso a Cagliari. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale dell’Ansa.

Il gelato protagonista del menù

MILANO – L’arte del maestro gelatiere Fabrizio Fenu e dello chef Alessio Signorino per un menu originale e raffinato in un mix tra sapidità e dolcezza, caldo e freddo. Non solo coni o coppette da gustare a passeggio o a fine pasto.

Il gelato entra sempre più nell’alta ristorazione, parte integrante dei piatti per creare un gioco di contrasti e temperature, un’armonia di consistenze e ancor più di sapori nelle diverse portate.

E aggiungere un tocco accattivante anche dal punto di vista estetico. Potrà essere gustato giovedì 30 gennaio alle 20 al ristorante Terra di Palazzo Tirso a Cagliari.

Dal piatto di benvenuto al dessert, il gelato artigianale, territoriale e stagionale con tutta la varietà di gusti, è protagonista, al pari degli altri ingredienti, della carta di proposte studiata a quattro mani e con il supporto del secondo chef di Terra, il romano Valerio Fermani.

Le stuzzicanti e fresche ricette de I Fenu, locale di piazza Galilei a Cagliari insignito dei Tre coni, il massimo riconoscimento per il Gambero Rosso, si accostano alle fantasiose creazioni culinarie di classe di Alessio Signorino, chef di Terra che, a due anni dalla sua apertura a Cagliari, si è già fatto apprezzare e ha conquistato Due forchette del Gambero Rosso e a pochi mesi dall’apertura i Due cappelli dalla Guida L’Espresso.

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Il conduttore Stefano De Martino restaura un tram che potrebbe diventare il nuovo Bar Stella, come il locale del nonno

Il presentatore televisivo Stefano De Martino ha comprato un tram: terminati i lavori esterni, ora inizierà la ristrutturazione interna. Il mezzo d’epoca potrebbe diventare un caffè, in omaggio al locale storico del nonno. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Luisa Mosello per il quotidiano La Repubblica.

Il nuovo investimento di Stefano De Martino

NAPOLI – Un tram chiamato desiderio. Anzi “Bar Stella”, come il vecchio programma di Stefano De Martino, ma soprattutto come il bar che il nonno del presentatore, volto tv del momento, aveva a Napoli.

Potrebbe essere questa la destinazione finale della vettura dismessa 987 dell’Anm (l’Azienda napoletana della mobilità) datata 1934, acquistata nel 2023 dal conduttore partenopeo, attualmente al timone di “Affari Tuoi” su Rai e della nuova stagione di “Stasera tutto è possibile” su Rai 2.

L’amatissimo showman dagli ascolti record (che secondo indiscrezioni si prepara a lanciare un nuovo programma la prossima estate, probabilmente un game show sempre sulla rete ammiraglia Rai) potrebbe decidere di “condurre”, per così dire, anche lo storico mezzo su rotaie, declinandolo in versione gastronomica, stando alle informazioni più accreditate. Il tram potrebbe quindi diventare un caffè itinerante o un bar sui generis.

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T’a Milano conquista i cuori degli innamorati con la selezione di Boule

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MILANO – Considerato un eccellente afrodisiaco, il cioccolato è diventato simbolo dei legami d’amore ai tempi di Luigi XIII, quando la futura consorte si presentò al re di Francia con una scatola in legno contenente dei cioccolatini. Così è nata la tradizione che oggi accompagna gli innamorati nel giorno di San Valentino.

T’a Milano celebra la romantica passione degli innamorati con la selezione di Boule: l’elegante confezione blu svela una selezione di cinque diversi tipi di boule dai gusti assortiti, realizzati artigianalmente dai maestri cioccolatieri del marchio ideato dai fratelli Tancredi e Alberto Alemagna per portare avanti la tradizione dolciaria milanese del bisnonno Gioacchino.

Realizzate con cioccolato Grand Cru proveniente dal Venezuela, le boule sono ripiene di una morbida crema che regala un viaggio di gusto e risveglia le emozioni. Ogni cioccolatino è un’esperienza sensoriale. Quelli al cioccolato al latte, decorati con croccante di biscotto, rivelano un sentore di gianduia e quelli al cioccolato bianco decorati con farina verde di mandorle rivelano un ripieno di pistacchio.

Le sfere di cioccolato al latte racchiudono il sapore dolce dei frutti di bosco, richiamandoli nella finitura rosa ottenuta con farina di mandorle e quelle al cioccolato bianco con ripieno allo yogurt sono decorate con zucchero. Infine, agli amanti del cioccolato fondente sono dedicate le boule decorate con farina di nocciole e cacao, ripiene di crema al cacao.

La Selezione di Boule di T’a Milano sorprende e accompagna i momenti di dolcezza di coloro che hanno trovato la felicità nell’amore.

Confezione da 240 g. Prezzo al pubblico consigliato € 34,00

Ecco il coffee badging: la tecnica per non rinunciare allo smart working

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Alcune persone non vogliono rinunciare allo smart working. Fra le tante tecniche, sta facendo parecchio chiacchierare Oltreoceano il coffee badging. Pratica che consiste nello strisciare il badge, fermarsi alla macchinetta del caffè e poi tornare a casa. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo di Daniela Faggion per il portale Il Milanese Imbruttito.

Il coffee badging

MILANO – Più si restringono gli spazi per lo smart working, più si allarga la fantasia di chi non vuole rinunciare a quella che sembrava un’evoluzione inarrestabile. Perché quando chiedi alle persone di rinunciare a videocall in mutande, presentazioni spiaggiati nel letto e pause pranzo indisciplinate, stai anche chiedendo ad altre di perdere infinito tempo in auto o sui mezzi, impazzire nella gestione della famiglia e tornare alle inutili riunioni in presenza. Un po’ come la punizione alla classe quando a rompere le palle sono in tre.

Disney, Meta, Apple, ma anche JP Morgan e Amazon, sono solo gli ultimi colossi finiti nei titoli dei giornali per questa decisione. Sulla carta non si capisce proprio tutta questa fretta che hanno scoperto di avere: un conto sono le imprese che producono qualcosa di materiale, per cui i dipendenti devono lavorare con macchine fisse; un altro conto sono le aziende tecnologiche o di consulenza, in cui i dipendenti se la giocano per lo più al computer e quindi, teoricamente, non dovrebbero notare molto la differenza.

Non ci vuole un genio per capire che l’obiettivo sia controllare la produttività, per evitare che a casa le persone si imboschino e facciano altro al posto di lavorare, ma basta aver visto Fantozzi una volta per sapere quanto bene si possa cazzeggiare anche in un ufficio.

Comunque, un botto di gente non ha preso bene la fine dello smart e il ritorno in office, e pare che stia cercando in tutti i modi di evitarlo. Fra le tante tecniche, sta facendo parecchio chiacchierare Oltreoceano il coffee badging. In che cosa consiste? In pratica, molti lavoratori strisciano il badge in ingresso e si fermano tatticamente alla macchinetta del caffè: lì conducono un’intensa vita sociale per farsi vedere e poi… magicamente scompaiono nel nulla, qualcuno addirittura se ne torna a casa direttamente dopo aver pagato pegno alla presenza.

I maghi di questo nuovo sport pare assoldino addirittura colleghi che parlano a loro nome alla macchinetta del caffè, così che la presenza venga anche solo “respirata”, nemmeno vista.

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Matcha: ecco i benefici della bevanda nipponica

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Da secoli protagonista della tradizione giapponese, il matcha sta conquistando il mondo per i suoi effetti benefici su corpo e mente. Una bevanda capace di offrire energia, ridurre lo stress e migliorare il sonno. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Marianna Peluso per Il Corriere della Sera.

I benefici del matcha

Negli ultimi anni, la bevanda è diventata una delle bevande più trendy e discusse nel panorama globale, celebrato non solo per il suo vivace colore verde e il sapore unico, ma anche per i suoi presunti benefici per la salute. Tuttavia, a catturare l’attenzione di molti è un aspetto in particolare: la caffeina contenuta nel matcha.

A differenza della caffeina tradizionale del caffè, quella del matcha offre una carica di energia più graduale e duratura, grazie alla presenza combinata di altre sostanze benefiche. Ma cosa rende il matcha così speciale rispetto al caffè, soprattutto quando si parla di caffeina? La risposta sta nel modo unico in cui il matcha combina energia e rilassamento, grazie alla sua particolare composizione chimica.

La caffeina della bevanda agisce in modo diverso rispetto a quella del caffè, fornendo una carica di energia più graduale e duratura, senza i picchi e i crolli tipici della tazzina di espresso.

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Milano: apre il marchio di sale da tè giapponesi Kagurazaka Saryo, è la prima volta in Europa

Kagurazaka Saryo, brand di caffetterie del gruppo Aya Company, apre a Milano portando la tradizione giapponese del matcha. Tra dolci artigianali, ramen e tè pregiati, un nuovo punto di riferimento per gli appassionati di gastronomia giapponese a Milano. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Vivian Petrini per Cibo Today.

Kagurazaka Saryo a Milano

Nato come pratica ascetica tra i monaci buddisti cinesi e poi divenuto appannaggio dell’aristocrazia giapponese, il matcha è oggi un ingrediente fondamentale della cultura nipponica, utilizzato per la cerimonia del tè e in una vasta gamma di preparazioni dolci e salate.

Su questa tradizione millenaria ha costruito la propria identità Kagurazaka Saryo, la storica sala da tè e bistrot giapponese che, dopo il successo in Asia e Canada, arriva ora per la prima volta in Europa con un’apertura a Milano. “Vogliamo offrire un’esperienza autentica, che celebri la cultura giapponese del tè e della gastronomia in un contesto raffinato e moderno”, afferma Kinya Oguchi, presidente del gruppo Aya Company di cui fa parte Kagurazaka Saryo.

La storia e il concept di Kagurazaka Saryo

Fondata a Tokyo nel 1985, Aya Company è un gruppo che comprende otto concept tra ristoranti, bar e caffetterie giapponesi e francesi, oltre a un ristorante italiano specializzato nella griglia. Tra i suoi marchi c’è Kagurazaka Saryo, nato nell’ottobre 2003 nel quartiere storico di Kagurazaka, da cui prende il nome.

L’idea alla base del progetto, era quella di creare uno spazio in cui la tradizione del rito del tè nipponico fosse protagonista. “Kagurazaka Saryō è nato dalla volontà di rendere omaggio alla tradizione giapponese del tè giapponese. Fondato da una famiglia appassionata di cultura e gastronomia, l’obiettivo era creare un luogo dove il tè (in particolare il tè matcha) fosse protagonista, accompagnato da dolci e piatti che ne esaltassero la raffinatezza”, spiega Oguchi a CiboToday.

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Barbara Ronchi Della Rocca, esperta di galateo: “Ecco come cioccolata, caffè e tè hanno il potere di cambiare il mondo”

MILANO – Non ha bisogno di presentazioni Barbara Ronchi Della Rocca, un volto conosciuto e ormai associato all’universo delle buone maniere che non sono delle semplici regole da rispettare con superficialità, ma un segnale preciso dei tempi, uno specchio della società. Ed ecco che la regina del bon ton, autrice, docente, personaggio televisivo, racconta un caffè, un tè, una cioccolata diversi da quelli che magari si conoscono di solito, attraverso la lente di un excursus storico.

Della Rocca, ci racconta il mondo del caffè, della cioccolata e del tè attraverso il galateo?

“Sul tema ci sarebbe da dire tanto. Innanzitutto, ho sviluppato nel tempo un’attenzione particolare per queste tre bevande, perché ho capito che hanno il potere di cambiare il mondo.

Prima dell’arrivo della cioccolata ad esempio, non c’era un’alternativa che risultasse gradevole da bere in compagnia (eccezione fatta per orzo, tisane, infusi). Quando approda in Europa alla fine del ‘500, prima a Madrid e poi a Torino, avviene un cambiamento importante: se fino ad allora al fine di divertirsi e stare insieme si bevevano vino e birra, con delle conseguenze di ubriachezza e in parte l’esclusione delle donne, con l’ingresso di questi prodotti analcolici e non soporiferi, ma al contrario stimolanti, è nata una nuova modalità di alimentarsi e di stare insieme. Per questo vengono definite bevande da compagnia.

Si sviluppa una diversa accezione dell’incontro. Prima ci si dissetava con l’acqua oppure ci si ubriacava con il vino: ora il focus diventa la condivisione, l’esercizio dell’intelligenza e della galanteria. Viene rimodellata l’immagine del mondo, con la realizzazione di una serie di oggetti per il consumo prima inesistenti, come le tazze da tè, da caffè, da cioccolata, le teiere, le caffettiere, le stesse teiere. Di colpo questi utensili diventano indispensabili.

Per i nobili e i borghesi, possedere un servizio di tazze era uno status simbolo. Nelle doti delle ragazze borghesi addirittura figuravano 2 tazze di porcellana, che rappresentavano un vero e proprio lusso.”

“Si dice spesso che l’Italia sia il Paese dell’espresso”

Ma in realtà è stata soprattutto quello della cioccolata, che arriva subito dopo l’approdo in Europa a Madrid, proprio per via dello stretto legame tra gli spagnoli e i duchi di Piemonte. Siamo stati i secondi ad introdurre questo prodotto, seguiti da Parigi e da Vienna. Il consumo di cioccolata inizia prima dell’alba del ‘600. Anche le spose principesche portano le fave di cacao in giro per l’Europa per impreziosire i loro matrimoni.

Il caffè e il tè arrivano soltanto in seguito. Il secolo del cioccolato è in particolare il ‘600, considerando che le fave vengono importate dall’America centrale e meridionale, da Paesi cattolici. Vengono trasportate dai missionari europei, molti dei quali gesuiti, che oltre creare asili e chiese, organizzavano le coltivazioni di cacao, la raccolta e infine la spedizione della materia prima.

Il caffè invece giunge dall’Africa, specie dall’Etiopia, e per dirla tutta, questo passaggio verso l’Europa avviene in malo modo: in quanto bevanda dei turchi, percepiti ancora come cattivi dopo l’assedio di Vienna, rappresentava un po’ il terrore della cultura cattolica: i turchi vengono sconfitti, scappano e lasciano tende, cavalli e chicchi di caffè che nessuno ancora conosceva.

Soltanto un signore viennese ne ha intuito il valore prima di altri e ha dato vita alla prima bottega del caffè a Vienna. Un altro luogo dove arriva presto in Italia è Venezia, essendo punto nevralgico di mercato.

Il caffè non arriva quindi come il cacao attraverso le missioni, ma attraverso i commerci laici. Grandi mercanti di caffè sono gli olandesi, protestanti. Ecco perché per molto tempo bere cioccolata era prerogativa cattolica, il caffè era invece per laici, intellettuali, scrittori.

Infine si parla di tè: in Italia ha una scarsa diffusione, in quanto appartiene al mondo anglosassone ancora una volta protestante. È curioso che il primo consumo di tè sia quello delle Valli Valdesi, enclave protestante in Piemonte, in cui le donne erano destinate ad essere impiegate come serve in Inghilterra.

Sono state proprio loro che hanno portato nelle case il consumo del tè.

Ma in ogni caso, il tè come bevanda di compagnia e diffuso tra la borghesia, arriva solo nel tardo ‘800.”

Gli strumenti di nuovi riti

“Il cioccolato aveva bisogno di una cioccolatiera, uno strumento simile alla caffettiera che andava però girata continuamente sul fuoco. Le prime che facevano la cioccolata in Spagna erano non a caso le schiave, perché bisognava stare inginocchiate a lungo di fronte alle fiamme per girare la bevanda. Questo era già parte di un rito: poi si versava in tazze diverse, più alte, a tronco di cono o a tubo, strette e allungate in modo da conservarne la schiumosità.

Esisteva un mondo dietro per il servizio: ad esempio le tazze da carrozza erano dotate da un piattino per tenerle ferme durante il viaggio. C’erano anche quelle per uomini che non facessero sporcare i baffi. Non dimentichiamo poi che con la cioccolata arrivano anche i biscotti: la grande diffusione di questo prodotto è legata a questa bevanda di compagnia. Una grande novità anche nel campo della pasticceria.

Mentre invece il caffè ha una storia meno aristocratica: innanzitutto la preparazione era più semplice e veloce. C’erano venditori ambulanti con al collo un fornelletto a legno in cui facevano bollire la bevanda da vendere per strada. Era un consumo meno raffinato. Il caffè non comportava una ritualità e non necessitava l’aggiunta di dolci.

Lo zucchero è arrivato certo subito, in quanto il caffè era molto amaro all’epoca. Il primo ad aggiungerlo è stato Luigi XV a Versailles

E poi resta tutto il tema religioso attorno. Gli ecclesiastici hanno chiesto al papa Clemente XVIII di pronunciarsi contro il caffè, in quanto commercializzato da protestanti. Ma il papa ha invece emanato un breve papale in cui sdoganava questa bevanda. Da qui la svolta: anche i cattolici più osservanti non rischiavano di peccare consumandola.

Vince sulla cioccolata perché è una bevanda, da bere anche prima della comunione – per cui fino al 1960 bisognava essere digiuni dalla mezzanotte -.”

“Il tè arriva in Olanda e in Inghilterra, Paesi che rifiutano la cioccolata per motivi politici – era cattolica e spagnola -.”

“Poi quando l’Inghilterra stabilisce la Compagnia delle Indie, il tè diventa ufficialmente un business. È una bevanda per tutti: gli aristocratici avevano il rito del tè alle quattro, che viene poi spostato alle 5 quando anche questa classe sociale ha iniziato a lavorare.

Anche i poveri però bevevano tè, se riciclato: l’aristocratico lo prendeva e poi metteva da parte le foglie usate, che in seguito venivano rivendute e messe in infusione anche più volte. C’era quindi la possibilità anche per i meno abbienti di berlo anche se non di alta qualità.

Negli anni è diventato un tonico per le classi lavoratrici ed è stato persino sponsorizzato dallo Stato e dalla Chiesa, per vincere la dipendenza da gin: la working class andava al pub, se venivano abituati a bere il tè la sera in famiglia, si riduceva il consumo di super alcolici.

Per gli inglesi tutt’oggi il tè è il punto fondante di qualunque rapporto umano: qualsiasi scambio relazionale inizia con una tazza di tè. Un po’ come noi in Italia con il caffè. Bevanda che però sta colonizzando la tea belt: ultimamente sono stata a Londra, e qui ho trovato tantissimi locali delle bellissime macchine espresso e un buon caffè all’italiana.

Viceversa in Italia non sta succedendo, seppure esista una buona fetta di mercato new age – soprattutto il tè verde, l’aromatizzato – e salutistico. Considerando che il momento del consumo, il bar per quanto riguarda l’espresso, vede il tè svantaggiato. La pausa non è veloce come quella del caffè e il tè ha bisogno di un minimo di tempo per essere gustato.

La cioccolata attualmente sta bene durante il periodo freddo, anche se non è più considerata come una bevanda da compagnia, ma come eccezionale, una coccola da grande freddo.”

Ma cosa si fa e cosa non si fa con queste bevande secondo il galateo

“Il galateo ha rivisto molto il caffè proprio come bevanda da compagnia attuale. Il tè resta legato alla colazione e alla merenda. Il caffè invece ha una serie di possibilità in tutte le fasce orarie. Quindi il galateo si interessa affinché ciascuno di questi momenti sia gestito al meglio: per esempio a colazione, si può servire in una tazza leggermente più grande per macchiarlo. A metà mattina, anche se macchiato, viene offerto in tazzina piccola.

Dopo il pranzo il caffè macchiato appesantisce e rallenta la digestione. Si può riproporre l’aggiunta del latte per un caffè a metà pomeriggio. A cena, a tavola, non deve contenere il latte ma si può proporre nel post pasto con un liquore a correzione. Una di quelle più chic è il liquore al caffè, che ne esalta ulteriormente il profumo.

Accompagnato a seconda dell’ora qualcosa di diverso, con un unico grande no: mai abbinare dei dolci con crema, perché non si sposa bene. Via libera al cioccolato, la menta, qualcosa di secco. Un’altra coccola che sollecito sempre agli ospiti: molti usano il dolcificante, quindi è bene averne a disposizione sempre a casa.

Stesso discorso per un decaffeinato.

E poi, tovagliolino sì, oppure no? A tavola il problema non si pone, ma se offerto da solo, il tovagliolino è obbligatorio se si mangia anche solo un biscottino. Il piattino invece va sempre sotto la tazzina, assieme al cucchiaino. Il caffè all’italiana, l’espresso, va servito in questo modo.

È quello all’americana che si accontenta della mug, ma è un’altra cosa.

Il galateo è poi molto perplesso nei confronti delle superautomatiche a casa: siamo a cena insieme e finito di mangiare si propone il caffè. È bene che arrivino le tazze per tutti nello stesso momento: se si prepara una tazza per volta e si serve una persona per volta, si sottrae la dimensione sociale.

Ci si domanda chi servire per primo. Inoltre, la funzione da padrone di casa viene svilita dall’andare avanti e indietro con la tazza in mano.

Quindi come fare? Se abbiamo una buona macchina, acquistiamo un ottimo thermos, prepariamo le tazze insieme da conservare lì per poterlo versare in un unico giro. Se siamo poi invitati a prendere un caffè, ricordiamo che la visita deve durare massimo un’ora: una finestra di tempo sufficiente per la chiacchiera, che non deve però essere eccessiva.”

Qual è la cosa più bizzarra che ha scoperto attorno alle due bevande legate agli usi e costumi di un tempo?

“Per quanto riguarda il caffè, il napoletano doc versa lo zucchero nel caffè senza girarlo, dolcificando un pochino ma non tanto. In Belgio si mette un cioccolatino nella tazza e poi si versa il caffè. In Africa si prepara il caffè con la moka con le spezie, in Marocco il pepe. In Etiopia, con il sale, perché il caffè per loro è una bevanda tonificante. Questo ci riporta alla cioccolata: per gli abitanti del Messico non era dolce e infatti aggiungevano il peperoncino, il sale. Siamo noi occidentali che abbiamo dolcificato una bevanda che in realtà nasce neutra.”

Questo vale anche per il tè, che in Mongolia e in Tibet viene bevuto con burro e sale. Arrivando da altri Paesi viene poi introiettato nella nostra culturale. Gli svizzeri e i tedeschi, hanno “il matrimonio perfetto”, metà caffè e metà cioccolata nella stessa tazza. Sono popoli a cavallo tra il mondo protestante e cattolico.”

Il capitolo delle sofisticazioni

“Sono stati soprattutto cioccolata, caffè e tè, sofisticati. Erano prodotti di nicchia e allora ci si metteva dentro di tutto: polvere di ghiande, farina di castagne, addirittura polvere di mattone. Infatti nei primi tempi di consumo, nel ‘700, le farmacie vendevano la cioccolata di salute e il caffè di salute, dei medicinali puri. Erano consumi voluttuari. La cioccolata calda si credeva che guarisse la miopia: c’è tutto questo gioco di attribuzione di capacità curative di bevande dolci senza troppi sensi di colpa, giustificando anche la spesa.”

Fogli di tè: un libro, un viaggio, un’esperienza che ha coinvolto tanti esperti raccontata dai 4 autori

MILANO – Il tè raccontato in un libro, “Fogli di Tè”, attraverso lo sguardo di diversi autori – Stefano Aliquò, Luca Campaniello, Chiara Zublena, Enrico Banfo – che hanno unito le loro esperienze e hanno coinvolto esperti lungo tutta la filiera di questa bevanda che è ancora tutta da scoprire in Italia, dove la tradizione guarda al caffè. Una lettura interessante per gli appassionati e anche per chi vuole imparare qualcosa in più su questo mondo antico quanto vasto.

Fogli di Tè: come nasce questo libro

Stefano: ”Fogli di Tè è nato come un blog personale, ma con il tempo si è trasformato in un progetto collettivo e unico nel panorama italiano. Quando ho iniziato ero uno dei primi blogger a scrivere di tè in Italia, ma ho sempre avuto il desiderio di unire le voci di chi condivideva la mia stessa passione. Sognavo di essere parte di un collettivo che raccontasse il tè da prospettive diverse, ma con una visione comune.

Il primo a seguirmi in questa avventura è stato Luca Campaniello, che ho conosciuto grazie a una discussione accesa e curiosa sulle aflatossine che possono colpire i tè fermentati.

Insieme, abbiamo trasformato Fogli di Tè da un blog a una rivista, la prima in Italia interamente dedicata alla divulgazione della cultura del tè. In otto anni (dal 2016) abbiamo prodotto otto numeri con diversi compagni di viaggio, fra cui Chiara Zublena ed Enrico Banfo che hanno portato nuove competenze e nuovi punti di vista.

Con loro abbiamo lavorato all’ultimo numero della rivista ed al nostro primo libro.

Oggi, Fogli di Tè ha cambiato formato, evolvendosi in un libro-magazine. “È un prodotto più patinato, bello da leggere e da collezionare,” spiega Stefano.

“Ci piace dire che siamo un’editoria artigianale, come un tè fatto a mano: lavoriamo con cura e passione, nel tempo libero, senza mai smettere di studiare e scoprire cose nuove per costruire un prodotto più genuino che perfetto.

Ad oggi hanno già collaborato con noi 100 professionisti di Paesi differenti. Se riusciamo a far crescere in Italia una comunità consapevole di quello che beve, possiamo dire di aver raggiunto il nostro obiettivo.”

Perché avete scelto di focalizzarvi proprio sul Gyokuro che non è il tè più diffuso neppure in Giappone, dove nasce? (è soltanto lo 0,8% della produzione totale di tè verde giapponese)

Luca: “Perché siamo curiosi e Fogli di Tè è un mezzo per studiare ciò che ci appassiona.

Avevamo già parlato del tè nero giapponese nel 2018 (quando era un prodotto praticamente sconosciuto) e ci aveva dato molta soddisfazione farlo raccontare direttamente dai coltivatori e indagarne gli aspetti storici. Volevamo parlare di nuovo del Giappone, ma a modo nostro; senza seguire necessariamente le mode del momento, come quella legata al matcha.

Quest’ultimo è un tè molto importante sul quale avremo modo di focalizzarci in futuro, ma ora avevamo voglia di esplorare qualcosa di diverso… così abbiamo scelto di dedicare la nostra attenzione al Gyokuro, un tè incredibilmente raffinato e pregiato. Il suo nome significa Gioiello di rugiada ed è un tè ricco di sfumature e del tanto ricercato sentore umami.”

Chiara: “Con il ben più celebre Matcha, il Gyokuro condivide un aspetto fondamentale della coltivazione, ovvero l’ombreggiatura. Questo passaggio implica un complesso processo biochimico che permette alle foglie di sviluppare maggiormente aminoacidi e clorofilla, riducendo catechine e tannini. Questi cambiamenti conferiscono al tè un sapore unico, più dolce, umami e meno amaro, rendendolo una bevanda dal gusto particolarissimo. In sostanza, è l’ombra che trasforma le foglie di tè in Gyokuro.”

Come avete scelto di strutturare il libro e con quale scopo?

Enrico: “Innanzitutto, ci siamo mossi per presentare il nostro lavoro con un linguaggio editoriale contemporaneo e accessibile. Una ricca foliazione, soluzioni grafiche essenziali e armoniche, maggiore ariosità ai testi e fotografie a tutta pagina dal grande impatto. C’è stato un grande lavoro per vestire il libro abbracciando le tendenze più recenti, ed era necessario.

Il mondo del tè è un racconto di ampio respiro, e merita un formato che valorizzi ogni articolo. Un mix di articoli, reportage, fotografie, interviste e degustazioni: Fogli di tè è oggi una vera e propria guida di viaggio narrativa del mondo del tè.”

Stefano: ”Abbiamo scelto di strutturare il libro con un formato che coniuga approfondimento e curiosità, rendendolo accessibile e interessante per un pubblico ampio. I primi capitoli permettono di scoprire che cos’è il Gyokuro e come viene prodotto, mentre quelli successivi trattano tematiche diverse, ma sempre legate al mondo del tè; come la ceramica, i viaggi, altre tipologie di tè e gli abbinamenti col cibo.Questi ultimi vogliono essere originali e contemporanei, come ad esempio il mix tra tè e birra o tè e formaggio.

Luca:”Crediamo sia anche un modo per mostrare come la cultura occidentale e quella orientale possano dialogare attraverso una reciproca contaminazione.”

Stefano: “Il tè non è solo una bevanda: è cultura, tradizione, incontro e scoperta. Ha una storia. Una storia che nasce ad oriente ma che nel tempo è arrivata in occidente. Oggi il tè è la seconda bevanda più bevuta al mondo ma quando la sorseggiamo ce lo ricordiamo?

Attraverso questo libro vogliamo trasmettere l’idea che il tè, con le sue infinite sfumature, possa essere un ponte tra mondi diversi, una chiave per comprendere storie, un rituale sociale..”

Quant’è il costo del Gyokuro rispetto al più comune Sencha?
Chiara: “In termini molto generali, il prezzo del Gyokuro può arrivare ad essere oltre il doppio o il triplo di un sencha. Un Gyokuro di buona qualità può partire dai 25 €/etto, rispetto ad un Sencha che va dai 10 €/etto. Ma il costo più elevato ha una sua giustificazione.

Il Gyokuro richiede circa 20-30 giorni di ombreggiatura, mentre il Sencha cresce sotto il sole senza ombreggiatura – o con ombreggiatura minima, se si tratta di Kabusecha. Inoltre, per il Gyokuro vengono raccolte esclusivamente le foglie più giovani e tenere, cosa che richiede maggior tempo e manodopera rispetto al Sencha, dove spesso si ricorre alla raccolta meccanica. Infine, anche il posizionamento di mercato gioca un ruolo chiave: il Gyokuro è percepito come maggiormente pregiato rispetto ad un Sencha, considerato più comune, accessibile e quotidiano.

Ricordiamo solo che esistono comunque diversi “grade” di qualità anche all’interno della stessa tipologia di tè: un Gyokuro di fascia bassa potrebbe essere comparabile ad un Sencha premium in termini di prezzo, sebbene le caratteristiche aromatiche restino distinte. Allo stesso modo, un Sencha di alta qualità, a seconda della specifiche provenienze e lavorazioni, potrebbe costare anche più di un Gyokuro standard.”

In Italia quanto ne viene importato (se viene importato)?

Luca: “Il Gyokuro si può trovare nei negozi specializzati, che hanno una buona selezione di tè giapponesi. Ovviamente la qualità varia da negozio a negozio… Purtroppo il dato specifico sulla quantità importata in Italia è molto difficile da ottenere.”

C’è un interessante approfondimento sulle nuove varietà di tè in Giappone: sono anche una risposta al cambiamento climatico?

Luca: “Alcune cultivar giapponesi sono state scelte per adattarsi alle condizioni climatiche locali, ma non sono state create specificatamente per affrontare i cambiamenti climatici globali. Ad esempio Yabukita, una delle cultivar più diffuse in Giappone, è molto apprezzata per la sua resistenza al freddo e viene quindi utilizzata in regioni dal clima più rigido. Al contrario Saemidori viene preferita in aree più calde.”

Tè sfuso VS tè in bottiglia: quali sono le nuove abitudini di consumo spinte dalle generazioni più giovani in Giappone?

Enrico: “La situazione è paradossale perché, se in Europa e in altri Paesi si registra un aumento significativo della curiosità e dell’apprezzamento per i tè giapponesi, in Giappone si assiste a un declino dei consumi. Se un tempo il tè era un rito quotidiano nelle case giapponesi, oggi la situazione è radicalmente cambiata.

La kyusu, la teiera tradizionale giapponese, è stata un po’ soppiantata dalla bottiglia di plastica. La comodità e la velocità delle bevande pronte hanno prevalso sulla tradizione di preparare il tè in foglia, così come la diffusione del caffè, anzi del caffè specialty, si è diffusa enormemente in tutta l’Asia.

Ci sono però eccezioni che puntano ad avvicinare i giovani al mondo del tè con creatività e un pizzico di umorismo: un produttore di Shizuoka ha creato il “chabacco”, nome che mixa “cha” e “tabacco”. Si tratta di tè confezionato in stick monodose, simili a sigarette, che si è rivelato subito un grande successo. Il target di riferimento, il mondo giovanile, ha risposto con entusiasmo alla sorpresa di trovare tè al posto delle sigarette, da consumare in modo semplice e rapido – basta immergere lo stick in acqua calda – con anche avvisi ironici sulla confezione: “Attenzione, bere regolarmente può sviluppare un forte attaccamento al tè”.

Birra e tè: un abbinamento che sicuramente stupisce, come vi è venuto in mente?

Enrico: “All’interno del nostro libro abbiamo dato spazio a due esperienze di tè e birra diversi ma complementari, decisamente unici per il nostro mercato. Da una parte abbiamo raccontato Daniele Martinelli del Birrificio Barona e la sua Shayny, una birra White I.P.A., prodotta solo in estate utilizzando tè verde e menta. La lavorazione include un’infusione a freddo a 5°C per tre giorni, in maturazione post fermentativa con 1 kg di tè per 10 hl di prodotto finito.

Il risultato è una birra dal tenue amaricante da teina, arricchita da note floreali di luppolo e menta.”

Chiara: “Dall’altra parte abbiamo intervistato Pietro Tognoni, birraio e sperimentatore prima con il suo Pub itinerante ai Navigli di Milano, poi con il suo locale PicoBrew. Dopo la scoperta del mondo del tè con Barbara Sighieri de La Teiera Eclettica, Pietro ha esplorato l’affinamento dei formaggi con il tè.

Tra questi, il tè verde Sencha Fukamushi, con le sue note di erba fresca e acidità delicata, è stato usato nella produzione di una robiola, così come tè tostati sono stati utilizzati per realizzare il suo formaggio “Sciminut”, esaltandone il carattere unico dato dal processo di affumicatura del tè stesso. Tè e birra sono stati poi abbinati non come ingredienti ma come bevande. Un esperimento interessante è stato l’abbinamento della birra Primavera, molto aromatica e fruttata, con lo Smokey Sakura, un tè affumicato con legno di ciliegio.

Barbara e Pietro hanno poi creato due eventi: uno nella sala da tè e uno nel pub, con le rispettive clientele che hanno esplorato il mondo del formaggio, del tè e della birra. Due pubblici diversi uniti però dal palato allenato e dalla voglia di novità!”.

Continuare il mestiere del coltivatore di tè è ancora visto come attraente dai giovani, oppure c’è una fuga dai campi?

Stefano: “È una bella domanda, e sarebbe davvero interessante fare un approfondimento o una ricerca su questo tema.

Dai racconti dei produttori con cui entriamo in contatto, emergono storie diverse: ci sono figli che inizialmente prendono altre strade ma poi ritornano sulle orme dei genitori per proseguire l’impresa familiare, e altri che invece scelgono da subito di continuare il lavoro fatto dalle precedenti generazioni.

In Paesi come Giappone, Corea del Sud e Cina, esistono percorsi professionalizzanti e persino università dedicate al tè. Questo dimostra quanto la tradizione sia ancora viva e importante, anche se il mercato si divide tra due realtà principali: chi coltiva grandi aree per rifornire i mercati di massa e chi, invece, si dedica a piccole produzioni più ricercate e di nicchia.

I giovani di oggi sono spesso più aperti all’Occidente rispetto ai loro genitori, si spostano di più, studiano coltivazioni di altri Paesi, sperimentano nuove tecniche e sono molto bravi a raccontare i propri prodotti anche al di fuori dei confini nazionali.” Questo approccio, che unisce tradizione e innovazione, sta dando nuova linfa al mestiere di produttore di tè, rendendolo attraente anche per le nuove generazioni.”

Avete accennato alla crisi del settore, ma nel dettaglio da cosa è determinato e come si esprime in numeri?

Luca: ”La crisi del settore del tè giapponese è determinata da fattori sia economici che sociali.

Negli ultimi anni, il prezzo del gyokuro è crollato, passando da 5.565 Yen al chilo (circa 35 Euro) nel 2017 a 2.828 Yen (circa 18 Euro) nel 2020, per poi stabilizzarsi a 2.767 Yen (circa 17,5 Euro) nel 2022.

Anche le abitudini di consumo sono cambiate: al tè in foglia si preferisce quello in bottiglia, più pratico ed economico, e questo porta a un abbassamento della domanda di tè di alta qualità. A peggiorare il quadro c’è l’invecchiamento della popolazione rurale: oltre il 70% dei coltivatori ha più di 60 anni e spesso non ha eredi disposti a portare avanti la loro tradizione​.

D’altro canto l’aumento della richiesta di tè giapponesi di alta qualità dall’Occidente può essere una speranza per il futuro…”

I coltivatori, riescono ad ottenere il giusto compenso per il prodotto di alta qualità che vendono, o la filiera impone dei prezzi svantaggiosi per i farmers?

Luca: ”In Giappone la diminuzione del prezzo del Gyokuro spinge alcuni coltivatori ad orientarsi verso tè più economici e facili da vendere. Tuttavia, il successo dipende anche dalla capacità di individuare una nicchia di mercato nella quale posizionarsi, magari con un buon storytelling ed un e-commerce.

Se pensiamo alla zona di Huangshan, nella provincia cinese dell’Anhui, possiamo notare come alcuni coltivatori che producono tè molto ricercati, con una denominazione di origine controllata e disponibili in piccolissime quantità, abbiano un tenore di vita molto più alto di chi coltiva e vende tè più comuni.

Inoltre, sempre nella stessa area, le grandi aziende riescono a vendere gli stessi prodotti ad un mercato più ampio e trasformano i tè più ricercati in un bene di lusso da donare in occasioni speciali. Per i piccoli coltivatori molto dipende dalla loro capacità di mettersi online per poter promuovere i loro prodotti; questo avviene spesso grazie alle nuove generazioni che hanno più dimestichezza con la tecnologia.

Un altro modo per fare aumentare il valore del tè è partecipare a delle competizioni perché i prodotti premiati possono ovviamente acquisire notorietà sia a livello nazionale che internazionale.”

Quanto ancora c’è da comprendere rispetto al tè dall’altra parte della filiera, in Italia, dove le bustine al supermercato vanno per la maggiore?

Stefano: “La globalizzazione e il mercato hanno profondamente cambiato il modo in cui ci approcciamo ai prodotti, compreso il tè. Spesso si tende a idealizzare il consumo di tè in Paesi come Cina o Giappone, immaginando che tutti scelgano tè in foglia di alta qualità. È un po’ come pensare che in Italia tutti bevano esclusivamente specialty coffee.

Non è così… in Giappone, ad esempio, diverse persone apprezzano il tè in bustina di marche francesi famose le cui foglie vanno in Europa per poi tornare indietro con un appeal “Parigino” o ancora, tra i giovani il bubble tea è ormai molto più conosciuto dei tè tradizionali.

Oggi, la maggior parte del tè viene consumata fredda e spesso di qualità molto bassa. Sono ancora pochi coloro che scelgono il tè con consapevolezza, apprezzando le sue origini, il metodo di lavorazione e il territorio in cui le foglie sono cresciute. Tuttavia, in Italia la situazione sta lentamente cambiando. C’è un numero crescente di curiosi e appassionati, tra i quali ci sono molti giovani che si stanno avvicinando a questa bevanda nei suoi formati più pregiati.

Un altro aspetto interessante riguarda il modo in cui consumiamo il tè rispetto ad altri Paesi europei. Mentre nel resto d’Europa il tè si beve tutto l’anno, qui in Italia tendiamo a consumarlo quasi esclusivamente nei mesi più freddi. Trovare una sala da tè piena in agosto è praticamente impossibile. Questo evidenzia un diverso approccio culturale.”

Come si identifica un tè sostenibile?

Luca: “Il più delle volte è quasi impossibile sapere se un tè sia sostenibile o meno. Inoltre dobbiamo domandarci: “sostenibile per chi?”. Probabilmente un tè biologico sarà più rispettoso del suolo, ma non è detto che lo sia delle foreste. Infatti alcune coltivazioni biologiche sono nate tagliando alberi secolari per aumentare la produzione di tè.

In quest’ultimo caso forse sarebbe stata utile una campagna di sensibilizzazione dei coltivatori, magari con qualche nozione di marketing per spiegare loro come i tè ottenuti dagli alberi antichi siano molto ricercati sul mercato sia interno sia esterno e quindi possano essere venduti a prezzi più alti. Però non viviamo in un mondo ideale e questo non sempre è possibile.

Inoltre dobbiamo tenere a mente che pensiamo all’ambiente soltanto quando i nostri bisogni primari sono soddisfatti e quindi l’aspetto economicamente più sostenibile, che permette alle persone di vivere in condizioni migliori, non corrisponde necessariamente con il benessere dell’ambiente.

Nel libro vengono spiegate alcune di queste sfaccettature ed a chiedersi se il nostro tè sia sostenibile è ad esempio Momoko Takahashi nel capitolo dedicato al metodo Chagusaba. In alcune zone del Giappone l’erba che cresce vicino ai campi di tè viene usata da secoli come pacciame e quindi non viene vista come infestante, bensì risulta utile alla coltivazione degli arbusti.”

Chiara: “Possiamo avere una filiera del tè sostenibile quando tutti gli attori sono coinvolti, a partire anche dai governi. Prendiamo in considerazione la Cina, il più grande produttore di tè al mondo con oltre il 40% della produzione globale e 20 milioni di lavoratori coinvolti. Nel libro ospitiamo l’articolo dell’esperta Katrin Rougeventre, che racconta la visione della “Civiltà Ecologica” promossa dal governo cinese.

Politiche e tentativi di ricercare equilibrio migliorando le pratiche agricole e rispettando norme ambientali più severe, che implementino piantagioni biologiche, agroforeste negli altopiani e ricostruiscano le originali “foreste del tè”, favorendo anche un nuovo tipo di ecoturismo consapevole.”

Enrico: “Per il consumatore finale, riconoscere un tè sostenibile significa avere informazioni trasparenti sulla provenienza e sulle pratiche utilizzate dalla coltivazione alla distribuzione. Non dimentichiamo però tutta la parte di salario equo e condizioni di lavoro sicure per i lavoratori delle piantagioni.

Per la GDO, sulle confezioni che troviamo al supermercato ci sono le classiche certificazioni che ci aiutano a scegliere in modo consapevole, dal Rainforest Alliance al Fair Trade, oltre che il bollino di agricoltura biologica. Ma acquistare tè da negozi specializzati, che hanno magari il contatto diretto con piccoli produttori o cooperative sociali che si impegnano per pratiche sostenibili, alla lunga potrà favorire una filiera più sostenibile, equa e trasparente.”

Mercati del caffè: New York sempre più vicina ai 4 dollari per libbra, riparte anche la borsa londinese

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MILANO – Ancora una giornata di rialzi sui mercati del caffè. A New York, il contratto per scadenza marzo si è avvicinato ieri, martedì 4 febbraio, alla soglia dei 3 dollari 90 (massimo giornaliero a 389,90 centesimi); poi la spinta si è esaurita e la giornata si è conclusa a 383,35 centesimi, comunque in ulteriore lieve ripresa rispetto a lunedì (+0,6%).

Per la borsa degli arabica si tratta della decima seduta consecutiva in territorio positivo.

Riparte anche Londra, dopo due ribassi consecutivi. Marzo ha guadagnato $24, maggio $28. I due contratti hanno chiuso così rispettivamente a 5.558 e 5.548 dollari.

Secondo gli analisti, la tensione sui mercati del caffè si sta accentuando, poiché i torrefattori dei grandi paesi consumatori cercano di comprare il più possibile per ricostituire le scorte, scontrandosi con la riluttanza a vendere dei produttori.

L’incertezza sull’andamento meteo nei paesi produttori, in particolare in Brasile, contribuisce anch’essa a mandare i mercati in fibrillazione. Incide infine l’andamento del real brasiliano, in ripresa sul dollaro nelle ultime settimane.

Vogliamo esulare per un momento dall’attualità più immediata dei mercati del caffè, per una breve retrospettiva statistica sull’andamento recente degli indicatori Ico

A gennaio, la media mensile dell’indicatore composto ha scavalcato di slancio la barriera dei 3 dollari per libbra attestandosi a 310,12 centesimi: il 3,5% in più rispetto a dicembre.

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Best Coffee riceve il certificato di apprezzamento dal Ministero del commercio dell’Indonesia

TARANTO – Best Coffee S.r.l. riceve il prestigioso certificato di apprezzamento dal Ministero del commercio dell’Indonesia. Un importante riconoscimento internazionale è stato conferito alla Best Coffee S.r.l., azienda italiana specializzata nell’importazione e distribuzione di caffè di alta qualità. Il Ministero del commercio della Repubblica di Indonesia ha premiato l’azienda con un Certificato di Apprezzamento, firmato dal Ministro Dr. (H.C.) Zulkifli Hasan, per il suo impegno nel promuovere e distribuire il caffè indonesiano nel mercato italiano ed europeo.

Il governo indonesiano è fortemente impegnato nella valorizzazione del proprio caffè a livello internazionale, e il supporto di aziende come Best Coffee S.r.l. è essenziale per rafforzare la presenza di questi prodotti nei mercati globali.

L’Indonesia è uno dei maggiori produttori di caffè al mondo, con varietà uniche come il Sumatra Mandheling, e Flores Robusta Best Coffee Quality . Il caffe’ Sumatra coltivato sulla omonima isola è caratterizzato da un corpo pieno, bassa acidita’ con note di cioccolato e spezie, è un caffe’ molto apprezzato per la sua consistenza cremosa. Il Flores invece proveniente dall’isola di Flores da cui ne prende il nome , è un caffè Robusta molto apprezzato per il corpo pieno e i sapori intensi .

best coffee
Il logo Best Coffee (immagine concessa)

Best Coffee S.r.l. è da anni impegnata nella selezione dei migliori caffè provenienti da diverse parti del mondo, con una particolare attenzione alla qualità, alla sostenibilità e al commercio equo.

L’azienda collabora direttamente con i produttori locali, garantendo ai torrefattori italiani e europei un prodotto autentico e rispettoso dell’ambiente.

Questo certificato non è solo un riconoscimento per Best Coffee S.r.l., ma testimonia anche il valore delle partnership internazionali nel settore del commercio e dell’agroalimentare. L’export di caffè indonesiano in Italia è destinato a crescere, grazie al lavoro di aziende che credono nell’eccellenza di questo prodotto.