CIMBALI M2
martedì 22 Aprile 2025
  • CIMBALI M2
Home Blog Pagina 71

Andrea Pettinari, caffè infusi sì o no? “Non guardiamo alle cose solo in bianco e nero”

MILANO – Andrea Pettinari non è un nome nuovo su queste pagine: spesso si è fatto avanti per fare cultura attorno allo specialty, prodotto che tosta, serve e porta avanti a testa alta nell’isola sarda – è praticamente il solo a farlo senza compromessi nel suo Caffè dell’arte specialty in Via Caprera 3 -. Ora torna qui a parlare di un altro tema che è molto presente nella community, ovvero i caffè infusi (o fermentati?).

Pettinari, parliamo della nuova frontiera dei caffè specialty infusi: di cosa si tratta ed è poi così nuova o siamo noi in Italia sempre un po’ indietro?

“In realtà non si tratta esattamente di una nuovissima frontiera. Sperimentazioni di questo tipo vengono svolte già da molto tempo, nonostante se ne sia parlato un po’ di più in quest’ultimo anno.

Si tratta, fondamentalmente, di caffè che vengono “modificati” mediante l’utilizzo di altri elementi.

La definizione non è univoca, anzi, potremmo dire l’esatto opposto. C’è molta discrepanza di opinioni in merito alla terminologia corretta e cambia molto a seconda dei professionisti che vengono interpellati in merito.

C’è chi ritiene di dover stabilire una differenza tra caffè “infusi” e “aromatizzati”, chi invece ritiene le fermentazioni anaerobiche alla stregua delle cosiddette “co-fermentazioni” e così via… è davvero un panorama molto vasto e la matassa è difficile da sbrogliare.

Possono esserci metodologie che prevedono la co-fermentazione con frutta, l’aggiunta di altri elementi (cannella, per esempio) in fase di fermentazione o di asciugatura o anche l’ immersione dei chicchi verdi in un determinato liquido al fine di cercare di trasferire parte del sapore del liquido ai chicchi; si hanno poi tecniche di aggiunta di lieviti, di modificazione dell’ambiente di fermentazione (come la fermentazione anaerobica), o anche l’affinamento in botti precedentemente usate per altri scopi.

Ribadisco, il panorama è vasto, e piuttosto interessante.”

Ma Pettinari, lei si trova meglio a chiamarli infusi o fermentati?

“Dipende molto dal tipo di caffè che ho a disposizione sul momento. Cerco semplicemente la terminologia che meglio può spiegare al cliente che ho davanti, cosa succede nella “creazione” del caffè in questione.

Posso fare degli esempi più pratici di come gestisco la questione: co-fermentato è un caffè che abbiamo avuto fino a poco tempo fa, il Pineapple Express, la cui fermentazione avveniva con l’aggiunta di pezzi di ananas nel tank di fermentazione.

Il termine infuso lo uso per quei caffè i cui chicchi vengono immersi in un liquido per aggiungere degli aromi, come nel caso di alcuni cinnamon infused coffee.”

Perché secondo lei Pettinari, i caffè fermentati in assenza di ossigeno con altri ingredienti, perché hanno avuto così grande successo in questa nicchia?

“In realtà non so esattamente quanto successo stiano avendo, effettivamente, nel mondo della caffetteria specialty.

Specialmente nel modo dei professionisti, spesso c’è una sorta di tendenza al “purismo” che porta a mettere in secondo piano tutti quei caffè che non sono “caffè in purezza”, ma anche qui si tratta di opinioni.

Personalmente, sono convinto che non ci sia nulla di male nella sperimentazione, anzi! L’unico punto fermo, dal mio punto di vista, è la necessità di specificare sempre il tipo di metodologia utilizzato, sia per una questione di correttezza commerciale (non vogliamo che un caffè che è stato lavorato per assumere un gusto di whiskey mediante l’affinamento in botte venga spacciato per qualcosa che ha naturalmente quel gusto), sia per problematiche legate alle allergie (se un caffè viene co-fermentato con della frutta, per esempio, è corretto specificarlo per informare chiunque possa avere delle allergie alimentari specifiche).

Se questi parametri vengono rispettati, io sono assolutamente favorevole e anzi, sono felice se c’è spazio di mercato per questa tipologia di caffè.”

Sono un modo per avvicinare il consumatore medio allo specialty per la loro dolcezza, oppure al contrario sono ancora più traumatici per un palato non abituato?

“Mi sono fatto un’opinione abbastanza decisa in merito. Questi caffè, se raccontati e spiegati in maniera corretta, potrebbero essere il veicolo per avvicinare più consumatori al mondo del caffè specialty.

Sia chiaro che quando parlo di caffè specialty, la mia intenzione è quella di riferirmi a tutto il concetto di filiera e al tipo di catena positiva che il consumo di caffè specialty alimenta, al contrario di quello commerciale.

Nel nostro settore si parla veramente tanto di gusto, flavors, aromi etc etc, ma spesso ci si dimentica che la missione fondamentale è quella di alimentare un mercato più sostenibile di quello del caffè “standard”.

Di conseguenza, se una persona decide di bere caffè “infusi”, “co-fermentati” o in qualsiasi modo si decida di chiamarli, invece di una miscela X acquistata magari al supermercato, per me è una vittoria di tutta la filiera.

Se le persone saranno attratte o respinte da queste tipologie di aromi e sapori? Mi piacerebbe dare una risposta univoca e lapidaria, ma la verità è che avrà lo stesso impatto di un qualsiasi caffè specialty sul palato del consumatore “neofita”: sarà un gusto nuovo a cui abituarsi e che, se accompagnati nel percorso, porterà a un consumo più consapevole.”

Oggi che posizioni esistono attorno ai caffè infusi? Qual è la tua dal punto di vista di micro roasters e barista?

Pettinari: “La così tanto nota e decantata community dello specialty coffee ha spesso il brutto difetto di vedere le cose in bianco e nero, per tutta una serie di vizi di forma che la contraddistinguono quasi dai suoi albori.

E i caffè “infusi” non fanno eccezione, ovviamente

Pettinari conclude: “Come dicevo precedentemente, non solo ci sono mille posizioni differenti sulle definizioni e le nomenclature, ma possiamo assolutamente dividere la community in due posizioni ben nette su questo argomento: Pro e Contro.

Io, dal canto mio, sono assolutamente pro, a patto che tutto sia chiaramente specificato. Si tratta di sperimentazioni, di tentativi di allargare le possibilità e le prospettive.

Quest’anno noi abbiamo avuto, per un breve periodo, un caffè co-fermentato con ananas del mio amico Felipe Restrepo. Questo caffè è stata una bellissima scoperta, sia per me che per i nostri clienti, che hanno accolto la novità con piacere e curiosità, stimolati sia dalla particolarità di questa metodologia, sia dalla storia che racconta.

Una storia meravigliosa di collaborazione con un produttore di Ananas, che di questo frutto ha fatto la propria vita, come racconta il video a questo link.

La mia posizione infine potremmo definirla, rilassata! Il mondo del caffè specialty è così interessate e divertente, per cui non vedo perché dovrei escludere alcune sane sperimentazioni per questioni di principio.”

Ma quanti coltivatori veramente sanno gestire in maniera scientifica e controllata la fermentazione? Ed è un modo anche per far ottenere loro un prezzo più alto oppure è un investimento che taglia fuori i piccoli produttori?

“Non so dire con certezza quanti siano i coltivatori che sanno gestire la fermentazione in maniera esattamente scientifica, ma c’è anche da dire che, per esempio, molti ottimi naturali in commercio vengono “semplicemente” asciugati al sole e i risultati sono più che soddisfacenti.

Sia chiaro, un approccio scientifico e ragionato è sempre da preferire e incoraggiare, ma bisogna sempre mantenere un margine di tolleranza e di sensibilità.

Sicuramente quando gli esperimenti sono positivi c’è la possibilità di ottenere prezzi più vantaggiosi per gli agricoltori (ricordiamo sempre che stiamo parlando di una nicchia di mercato, e di una molto piccola, quando si parla di specialty).

Per quanto riguarda l’essere tagliati fuori, dobbiamo nuovamente tornare al “come” vogliamo sperimentare. Va da sé che se si parla di metodologie che prevedono l’utilizzo di macchinari specifici, i costi salgono e c’è una certa divisione tra chi può permettersi un investimento di questo tipo e chi no.

Se parliamo magari di co-fermentazioni più semplici o di infusioni, il problema costi influisce in maniera diversa.”

Arabica, il rally senza fine: New York, al suo 12° rialzo consecutivo, chiude sopra quota 4 dollari per libbra

MILANO – Non dà cenno di arrestarsi il rally degli arabica, mentre i robusta si prendono una pausa. Ieri, giovedì 6 febbraio 2025, è andata in scena una nuova giornata di rialzi a livelli record sul mercato newyorchese. La scadenza ravvicinata (marzo) ha guadagnato 620 punti (+1,6%) terminando a 403,95 centesimi, dopo aver toccato, in corso di contrattazione, un massimo intraday di 411,25 centesimi.

Le scorte certificate segnano intanto un lieve incremento, a 854.553 sacchi, provenienti principalmente da Brasile (540.825 sacchi,) Perù (91.513 sacchi), Nicaragua (79.907sacchi) e Honduras (42.591 sacchi).

A Londra, il contratto per scadenza maggio ha chiuso invariato sul giorno precedente, a 5.646 dollari, mentre le scadenze successive hanno registrato tutte dei rialzi. Il quadro generale rimane molto complesso.

“L’attuale situazione di offerta ristretta, che ha tenuto i prezzi a livelli elevati, è ulteriormente esacerbata dalle difficoltà logistiche” ha dichiarato a Bloomberg Tomas Araujo di StoneX.

“La situazione già difficile è aggravata dalle tensioni geopolitiche e dalle minacce di dazi, che inducono gli spedizionieri di tutti i tipi di prodotti a intensificare i booking per trasportare le merci fuori dalle aree commerciali a rischio”.

Contenuto riservato agli abbonati.

Gentile utente, il contenuto completo di questo articolo è riservato ai nostri abbonati.
Per le modalità di sottoscrizione e i vantaggi riservati agli abbonati consulta la pagina abbonamenti.

La storia dietro la Nutella, Supercrema Ferrero, nel libro di Luigi Ballerini: “Un modo per democratizzare di nuovo il cioccolato”

MILANO – La storia della Nutella – che proprio di recente ha compiuto 60 anni – è intrecciata chiaramente al destino di una famiglia, quella Ferrero, che è cresciuta da piccola bottega artigiana di Alba a grande impresa industriale presente in tutto il mondo – una storia che spesso si ritrova in tante attività del made in Italy -: Luigi Ballerini, autore de “La Fabbrica della Supercrema” ha colto lo spirito dietro questo marchio, che con i suoi prodotti ha saputo rappresentare un’Italia in ripresa dal dopo-guerra sino ad oggi.

A lei immagino piaccia la Nutella: nelle sue ricerche ha capito meglio il segreto di questa supercrema?

“Sono goloso di Nutella sin da quando ero bambino, è un bel ricordo di infanzia. Il libro però nasce perché sono rimasto affascinato dalla biografia di Michele Ferrero che mi ha rapito essendo innanzitutto un uomo e solo dopo un brand. Mi ha colpito il suo concetto di sviluppo del prodotto, perché tutto quello che ha creato è partito dall’attenzione ai bisogni della gente.

La nonna della Nutella ad esempio, che lui aveva chiamato “Giandujot” è stata realizzata nel dopoguerra, periodo in cui Ferrero aveva appena aperto la sua pasticceria e il cacao era troppo caro, tanto che la cioccolata era diventata un lusso per ricchi.

Era il momento della ricostruzione per il nostro Paese e gli operai avrebbero avuto bisogno di calorie per sostenere i ritmi di lavoro. Ed ecco che Michele Ferrero arriva con la sua intuizione: le nocciole di Alba mischiate con il cacao, hanno dato vita ad una mattonella di cioccolato da affettare per farcire i panini dei lavoratori

Allo stesso modo nasce molti anni dopo il Pocket coffee: nelle autostrade, durante i viaggi dei camionisti quando non c’erano ancora gli autogrill, non era possibile fermarsi per la pausa caffè. Così Michele Ferrero ha creato un espresso “portatile” per potersi ricaricare on the road.

In seguito Michele Ferrero è riuscito a trovare – e questo è diventato uno dei primi segreti della ricetta – un modo per fluidificare la crema; il problema all’epoca era infatti che le creme spalmabili dopo un po’ di tempo separavano l’olio dal resto degli ingredienti.

Michele Ferrero ha trovato invece la maniera di evitare questa stratificazione, migliorando poi ulteriormente la formula della Nutella, e aggiungendovi un altro colpo di genio nel trovare un nome che fosse sia internazionale che italiano (nut per gli americani, il suffisso “ella” che al contrario conserva l’idea di italianità e di spalmabilità).
“Supercrema” non avrebbe avuto lo stesso impatto.

“Un’altra trovata importante è il pensiero di Michele Ferrero precocemente rivolto all’internazionalizzazione, motivo che lo ha spinto ad aprire in Germania una fabbrica, con un gesto di lungimiranza incredibile. Era un imprenditore illuminato, in quanto era in grado di cogliere le potenzialità di un prodotto oltre i suoi confini naturali, all’interno di una visione del lavoro simile al concetto odierno del welfare aziendale.

Costruendo ad esempio i villaggi Ferrero, per dare una casa ai suoi operai ad Alba, e concedendo permessi ai contadini per la vendemmia e la raccolta delle nocciole.
Lo sguardo rivolto al resto del mondo fuori dall’Italia, senza intendere l’estero come decentramento perché, in effetti, Ferrero è rimasta ancora oggi ad Alba con la sua produzione. Mantenendo la promessa fatta al principio dal suo fondatore: “ad Alba siamo nati e ad Alba rimarremo.”

La famiglia Ferrero ha segnato il passo per il made in Italy: cosa ha scoperto di questa impresa familiare che ha conquistato più il mercato globale?

“La continuità che si intravede anche nell’eredità dei nomi che ritornano nelle nuove generazioni, a dimostrazione del passaggio familiare che resiste negli anni. Quello che ha lasciato Michele Ferrero è la storia dei suoi prodotti diventati iconici. Sessant’anni di Nutella, cinquanta dell’ovetto Kinder, ed altri come le tic tac che magari non sono subito associati alla Ferrero.

Oggi l’azienda continua a sfornare nuove ricette che diventano un’ossessione per i consumatori, come i Nutella biscuit. La tradizione continua pur innovandosi: non si porta avanti solo ciò che ha già funzionato, ma le nuove esigenze del mercato, che sono sempre al primo posto nelle strategie dell’azienda, che si adegua ai tempi in cui vive. L’aria di Ferrero che ho respirato nello scrivere il romanzo è quello di guardare al futuro nella cura del prodotto anche qualitativamente.”

Come è riuscito a entrare in questo mondo?

“La Fondazione Ferrero è stata molto cortese nel fornire due volumi interni all’azienda contenenti la loro storia. È stato molto importante avere avuto accesso anche alla documentazione fotografica dell’epoca. Sono stato sostenuto nella raccolta di questo materiale per approfondire la parte culturale.”

Nel romanzo le storie dei personaggi si intrecciano con quelli dell’azienda e del contesto socio-economico: quanto un prodotto commerciale come la Nutella in realtà rappresenta qualcosa di più a livello sociale?

“Dopo essermi documentato sull’azienda e la famiglia Ferrero, mi sono preso diverse libertà da narratore, inventandomi i protagonisti Teresa e Lino, seguendoli per dieci anni. È stata per me l’occasione di raccontare non solo l’impresa, ma il periodo così vivace del dopoguerra italiano, per mostrare come un Paese uscito dalla guerra si sia rimesso in piedi con il lavoro di tutti, operai e imprenditori uniti nella ricostruzione del bene comune.

È stato divertente perché ho descritto un periodo che ho vissuto soltanto in differita dai ricordi di mio padre e di mio nonno. Ho ripercorso in 10 anni i tanti cambiamenti culturali e iconici per il nostro immaginario attuale. Compresa la Nutella. I prodotti e la loro storia si sono intrecciati con l’evoluzione della famiglia italiana. La Nutella in fondo è stato un modo per democratizzare di nuovo il cioccolato.

Portando i dolci alle cucine del Bel Paese.

E sapere la storia aiuta a comprendere come affrontare situazione analoghe nel presente.”
Luigi Ballerini, La Fabbrica della Supercrema, Edizioni San Paolo, costo 15 euro.

L’ospitalità luxury sarà guidata da Millennial e Gen Z: l’analisi a Host

Millennial e Gen Z, i target preferiti del nuovo luxury, ricercano soprattutto esperienze personalizzate, sostenibili e digitalmente connesse. I veri lussi? Sono spazio e tempo. Leggiamo di seguito l’approfondimento pubblicato sul portale d’informazione ufficiale di Host.

Il futuro dell’ospitalità luxury

MILANO – Addio ostentazione, benvenuto understatement. Negli ultimi anni, l’ospitalità luxury ha subito una profonda trasformazione. Per raggiungere i nuovi target, offrire servizi di altissima qualità non basta più: occorre creare esperienze su misura, memorabili e autentiche.

Secondo uno studio di Boston Consulting Group, entro il 2025 il 55% della spesa del lusso sarà guidata dai Millennial e Gen Z, che ricercano esperienze personalizzate, sostenibili e digitalmente connesse.

Lo conferma anche una ricerca di Deloitte, secondo la quale il 57% dei viaggiatori luxury è disposto a pagare di più per avere esperienze personalizzate: dalla scelta del cuscino al menù su misura, fino all’organizzazione di eventi privati durante il soggiorno. In altre parole, più spazio e tempo esclusivi e riservati, a prescindere dalla “ricchezza” di luoghi e materiali.

In quest’ottica cresce l’attenzione al benessere. Spa in alto di gamma, trattamenti olistici e programmi di fitness personalizzati sono ormai dei must. Un segmento che, secondo un rapporto del Global Wellness Institute, crescerà del 7,5% l’anno fino al 2025.

In questo contesto, spicca anche la sostenibilità. L’opulenza non basta più: i viaggiatori vogliono che il comfort di lusso rispetti l’ambiente e abbia un impatto positivo sulle comunità locali. Un sondaggio di Virtuoso rivela che il 70% dei viaggiatori del segmento luxury considera fondamentale che il proprio soggiorno sia ecosostenibile, e il 62% preferisce hotel che utilizzano risorse rinnovabili o supportano progetti di conservazione ambientale.

Nel ridefinire il concetto di lusso, infine, gioca un ruolo fondamentale la digitalizzazione. I clienti si aspettano esperienze fluide grazie alla tecnologia, come check-in automatizzati, assistenti virtuali e dispositivi smart in camera. Un rapporto di Skift sul futuro del lusso nell’ospitalità indica che l’integrazione delle tecnologie rappresenta una priorità per il 68% dei principali operatori del settore.

Il comune denominatore? Puntare su un servizio impeccabile e high-tech senza rinunciare all’elemento umano. Un mix che sarà in primo piano a Host 2025, a fieramilano – Rho dal 17 al 21 ottobre 2025, in particolare nell’area dedicata ad Arredo e Tecnologia.

Barry Callebaut: blocco della produzione a Verbania, solidarietà delle Rsu di Ferrero e Diageo ai dipendenti

0

La segreteria Faiu Cisl di Cuneo, con le Rsu di Ferrero e Diageo, condivide un messaggio di solidarietà nei confronti dei dipendenti della fabbrica di Barry Callebaut di Verbania. Leggiamo di seguito la nota della segreteria riportata anche sul portale d’informazione Gazzetta D’Alba.

Il blocco della produzione di Barry Callebaut a Verbania

VERBANIA (Verbano-Cusio-Ossola) – “L’inasprimento delle relazioni relative alla vertenza sulla cessazione dell’attività produttiva illustrate nell’ultimo incontro dall’azienda hanno prodotto solo proposte irricevibili sia sul piano occupazionale, economico e sulla tenuta sociale.

Riteniamo molto importante si susseguano attestazioni per il massimo sostegno a tutte le lavoratrici e lavoratori, attraverso l’impegno delle istituzioni, dell’opinione pubblica e di tutti i cittadini finalizzate a sollecitare l’azienda nel suo ruolo chiave e volto ad una risoluzione condivisa della vertenza.

Sempre più spesso le logiche di queste multinazionali fanno del loro credo “macellerie sociali devastanti” chiediamo che si ritorni ai tavoli delle trattative con impegno e serietà”.

Augusto Contract firma il nuovo punto vendita Panfé Bocconi appena inaugurato a Milano: è il ventesimo, 3° in città

MILANO – Augusto Contract, hospitality & foodservice general contractor che opera in Italia e all’estero con un’expertise distintiva nella realizzazione chiavi in mano di arredamento per la ristorazione, firma il nuovo Panfè Bocconi, appena inaugurato. L’opening segna il ventesimo punto vendita della catena ed il terzo sulla piazza di Milano, dopo quello di viale Montenero e dell’outlet di Scalo.

Il nuovo Panfé Bocconi

La nuova reference realizzata da Augusto Contract in tempi record, in meno di un mese, è situata in via Bocconi 5, in una delle zone più dinamiche e giovani di Milano, con un elevato traffico di pubblico anche internazionale in virtù della vicinanza al prestigioso ateneo.

“Siamo entusiasti di annunciare questa nuova collaborazione con un partner di prestigio come Panfè. È il nostro primo progetto insieme e ci auguriamo di poter proseguire al loro fianco nel piano di espansione retail” ha dichiarato Giacomo Racugno, ceo di Augusto Contract.

“Abbiamo trovato nel team di Augusto Contract, alla nostra prima realizzazione insieme, un partner veramente affidabile, reattivo e propositivo nell’aiutarci a sviluppare con buon senso le soluzioni migliori, sia a livello estetico che funzionale. Siamo molto orgogliosi del risultato ottenuto in tempi così brevi” ha dichiarato Alberto Salvadego, ceo di Panfè.

Gli interni del punto vendita (immagine concessa)

Augusto Contract si è occupato trasversalmente del progetto: realizzazione delle opere murarie, impianto elettrico e di condizionamento, arredi, grafiche, modifiche all’impianto frigo banco e retrobanco.

Il format valorizza in chiave innovativa l’incontro fra panetteria e caffetteria, due anime diverse ma unite dall’italianità e dall’eccellenza dei prodotti. In un’esperienza unica fatta di sapori e genuinità, viene proposto un assortimento di dolci e salati pensati per coprire tutto l’arco della giornata: dalla colazione al pranzo, dalla merenda fino all’aperitivo.

Forte della sua esperienza, Augusto Contract è riuscito a valorizzare – tramite gli arredi e le insegne luminose – gli elementi distintivi del brand Panfè ed i suoi valori di tradizione italiana, eccellenza degli ingredienti e legame con il territorio.

Il nuovo punto vendita, funzionale e con un layout pensato per accogliere il flusso dei clienti e valorizzare i prodotti, mostra uno stile moderno, giovane e accogliente. Il grande bancone è rivestito con tavoloni in massello di abete in tre colori diversi ed ospita alle spalle una grande scaffalatura in legno e metallo.

Il nuovo format (immagine concessa)

Le cromie scelte per la tinteggiatura sono il verde salvia ed il giallo tenue, sulle pareti si alternano carta da parati dalle tinte delicate e scritte a led che evidenziano le parole chiave di Panfè.

Completano le grafiche retrobanco grandi pannelli con immagini suggestive dei prodotti legate ai processi di produzione.

Questa nuova reference si aggiunge al portfolio di Augusto Contract, che conta ad oggi oltre 260 realizzazioni, e testimonia ancora una volta la capacità dell’azienda di saper interpretare le necessità progettuali ed arredative di ogni committente in chiave personalizzata.

Milano: via Montenapoleone è la più costosa al mondo per i marchi di lusso

0

Per la prima volta la via commerciale con negozi di lusso più costosa al mondo si trova in Italia: si tratta di via Montenapoleone a Milano, dove gli affitti possono arrivare a 20mila euro al metro quadro e un palazzo è stato venduto a oltre un miliardo di euro. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale d’informazione Milano Post.

Via Montenapoleone a Milano

MILANO – Il 34esimo report “Main Streets Across the World”, realizzato da Cushman & Wakefield, una delle maggiori società private del mercato immobiliare mondiale, ha portato un nuovo primato all’Italia.

“Via Montenapoleone di Milano ha superato la Fifth Avenue di New York come destinazione retail più costosa al mondo – viene scritto nel report – questo cambiamento segna la prima volta dell’Europa al primo posto nella storia del report”.

“Ciò riflette una robusta crescita dei canoni di locazione sulla strada italiana, superiore al 30% negli ultimi due anni, ulteriormente rafforzata quest’anno dall’apprezzamento dell’euro rispetto al dollaro statunitense” viene spiegato nel documento.

Sebbene via Montenapoleone fosse “solo” al sesto posto nella classifica del “Fascino delle principali vie dello shopping mondiale” di dieci anni fa, dietro Sidney, Londra, Parigi, Hong Kong e New York, i suoi prezzi sono oggi in cima alla lista dei luoghi con gli affitti medi più costosi.

Via Montenapoleone è passata dal secondo posto del 2023 al primo di quest’anno, scalzando New York, con un canone massimo di 20mila euro al metro quadro all’anno, mentre la Upper 5th Avenue di New York è ferma a 19.537 euro al metro quadro annui.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

Da Cracco a Londra si può chiedere il cappuccino anche per accompagnare il risotto

0

Lo chef Carlo Cracco avvia la sua avventura imprenditoriale a Londra con il ristorante Terra all’interno di Eataly che si affaccia sull’iconica stazione di Liverpool Street. Leggiamo di seguito un estratto dell’intervista di Alessandro Allocca pubblicato sul quotidiano La Repubblica.

Il nuovo ristorante di Carlo Cracco a Londra

LONDRA – “Ho provato varie volte a creare qualcosa di mio in Inghilterra, ma tutti i tentativi non sono mai andati in porto. Ora è il momento giusto”. Carlo Cracco non nasconde una certa emozione nel dare vita alla sua nuova avventura in terra londinese: i clienti potranno sfogliare il menù di “Terra by Carlo Cracco”, il ristorante all’interno di Eataly che si affaccia sull’iconica stazione di Liverpool Street.

Inizia la sua avventura a Londra, una città con nove milioni di abitanti e tra le capitali mondiali con più stelle Michelin.

“Credo di sì, proprio perché Londra rappresenta un benchmark, un punto di riferimento per tutti coloro che fanno il mio mestiere. È una città dove si sperimenta molto e in continuazione. C’è sempre spazio per tutti, grandi e piccoli. Di qui, prima o poi, bisogna passare. Lo avrei fatto volentieri in tempi passati, ma sono anche convinto che un passo del genere vada compiuto quando ci si sente preparati. Ora lo sono. Arrivo con grande umiltà e con grande rispetto cercando di dire la mia. Lasciamo poi al pubblico l’ultima parola”.

Sfogliando il menù emerge subito la tradizione più italiana. Come lo ha pensato?

“Insieme a Gabriele e a uno staff di molti italiani che già lavora qui da Eataly, e che quindi conosce il territorio molto bene, abbiamo pensato che la combo perfetta sarebbe dovuta essere quella di presentare ricette che suonano familiari al cliente internazionale di Londra, facendo leva sia su prodotti di alta qualità che importiamo dall’Italia e sia su altri che prendiamo dai fornitori locali, come carne, pesce e verdure. In questa maniera sfruttiamo il meglio dei due paesi”.

Quindi si opporrà a chi chiede un cappuccino da accompagnare a un risotto o di aggiungere l’ananas sulla pizza?

“Il cappuccino durante i pasti è una cosa che mi rimane ancora difficile da concepire, ma che ormai comprendo visto quanto si è diffuso a livello internazionale. L’ananas sulla pizza invece la capisco di più, perché è frutto di tanti passaggi che, nel corso tempo, le hanno permesso di radicarsi fino a diventare tradizionale. Però non fa parte della nostra cultura e quindi mi tengo alla larga”.

Per leggere l’intervista completa basta cliccare qui

Agonista: ecco la caffetteria inclusiva di Beirut per persone con disabilità intellettive

0

Agonista è un’impresa sociale che si occupa di inserimento lavorativo per persone con disabilità intellettive nella capitale libanese. A causa della situazione di grave insicurezza, ha dovuto chiudere le sue attività. Adesso collabora con altre organizzazioni per garantire viveri agli sfollate, più di un milione e mezzo in tutto il Paese. Wassim El Hage, il fondatore, racconta la sua storia. Leggiamo di seguito un estratto dell’articolo di Martina Ferlisi per il portale d’informazione Altreeconomia.

La storia di Agonista

LIBANO – “In Libano ci sono un milione e mezzo di sfollati. Il Sud del Libano e il Sud di Beirut sono distrutti per oltre il 50%, 60%. Quindi queste persone non hanno più una casa in cui tornare quando la guerra finirà. Vivono in scuole e università pubbliche e questo significa anche che metà della popolazione del Paese al momento si trova senza istruzione e non sappiamo quando tutto questo finirà, ma sicuramente anche l’educazione dei nostri figli è sotto attacco”.

Wassim El Hage è il fondatore di Agonista, un’impresa sociale nata per promuovere l’inserimento lavorativo di persone con disabilità intellettive. Dell’importanza della formazione ne sa qualcosa: il suo progetto offre infatti un programma per imparare a preparare caffè, sandwich e dessert ma anche come relazionarsi con i clienti o gestire i pagamenti.

Competenze che poi possono essere spese per lavorare nelle due caffetterie di Agonista -una a Zalka, nel nord di Beirut e una Hazmieh, all’interno del City centre-, nel suo servizio di catering per aziende e organizzazioni oppure nel camioncino del caffè, un coffe truck, per partecipare a eventi e festival.

Per questioni di sicurezza l’attività di Agonista è ferma e i due negozi sono temporaneamente chiusi, eppure il suo impegno continua: “Adesso stiamo cercando di collaborare con altre organizzazioni per fornire cibo. Ci stiamo dedicando all’attività di volontariato e prepariamo pasti e panini con il nostro team perché abbiamo l’esperienza per farlo”.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui

zeroCO2: la startup italo-guatemalteca pianta 1,5 milioni di alberi certificati contro la deforestazione

0

La startup italo-guatemalteca zeroCO2 ha la missione di piantare alberi e offrire supporto alle comunità locali. L’azienda ha raggiunto da poco il traguardo di un milione e mezzo di alberi, sei volte il patrimonio arboreo di Milano. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Nicolas Lozito per il quotidiano La Stampa.

La missione di zeroCO2

MILANO – Il futuro sostenibile nasce in Guatemala. Nel cuore della foresta pluviale tropicale del Petén è in corso una rivoluzione verde che non solo combatte il cambiamento climatico, ma promuove la giustizia sociale. Qui una piccola comunità ha iniziato a collaborare con un team italiano formato da agronomi, esperti forestali e imprenditori per piantare alberi e combattere la deforestazione.

La startup italo-guatemalteca zeroCO2, fondata nel 2019 da Andrea Pesce e Virgilio Galicia, ha piantato il seme di una visione che unisce la lotta per la riduzione della CO2 all’empowerment delle comunità locali, non solo in Guatemala ma anche in altri Stati in America del Sud e in Africa.

L’azienda ha raggiunto da poco il traguardo di un milione e mezzo di alberi, sei volte il patrimonio arboreo di Milano per avere un termine di paragone. Inoltre la startup ha ottenuto la certificazione Plan Vivo per il suo progetto “zeroCARBON” in Guatemala, che le consente di generare carbon credits certificati per il mercato volontario del carbonio (VCM – Voluntary Carbon Market).

I crediti di carbonio sono necessari per le aziende che vogliono compensare le emissioni delle loro operazioni, un anello fondamentale per la transizione energetica e per il raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione. Andrea Pesce, co-fondatore di zeroCO2, ha sottolineato l’importanza di questo traguardo dichiarando: “Il riconoscimento di Plan Vivo è una conferma della nostra dedizione a progetti che non solo tutelano l’ambiente, ma mettono le persone al centro. Da sempre crediamo che l’azione per il clima debba essere un’opportunità per rafforzare le comunità locali e sostenere il Sud del mondo”.

Per leggere la notizia completa basta cliccare qui