TOKYO – Inizia la fiera SCAJ Coffee Show, la manifestazione del caffè organizzata dal chapter locale di SCA e che vede come espositori tutti i principali marchi di macchine e attrezzature del caffè attraverso i loro importatori locali a Tokyo. Sono presenti con uno stand diretto tutti i produttori di caffè verde delle principali origini, in particolare modo ci sono tutti quelli che fanno Arabica di alto livello, molto ambita in Giappone.
BWT water+more sponsor della fiera SCAJ Coffee Show
BWT water+more, per la prima volta, si mostra nell’importante mercato giapponese con una presenza diretta, un proprio stand e soprattutto una sponsorizzazione delle competizioni che porteranno i campioni giapponesi delle varie specialità a competere ai prossimi mondiali che si disputeranno nei vari WOC nel 2025.
Il Giappone è un mercato molto attento alla qualità e con ancora più attenzione di molte altre realtà la ricerca dell’acqua perfetta è qua argomento di ogni giorno; non si deve dimenticare che i mercati orientali che recentemente vedono il trend del caffè in vertiginosa salita, lo fanno attraverso l’estrazione in filtro come ad esempio la V60, ottenendo un caffè che in fondo è simile ad un tè, e come tale molto sensibile all’acqua usata in fase di preparazione.
BWT water+more è presente al padiglione 3 Sud con la gamma completa dei suoi prodotti filtranti fino al 12 ottobre.
CEME, impresa milanese fondata nel 1974, ha consolidato la propria leadership globale nei sistemi di controllo dei fluidi grazie a strategie di acquisizioni sinergiche. Con un fatturato di oltre 330 milioni di euro, l’azienda punta alla crescita sostenibile e alla digitalizzazione, investendo nella sostenibilità e nell’energia green. Riportiamo di seguito parte dell’intervista del Quotidiano Nazionale all’amministratore delegato di Ceme Roberto Zecchi.
CEME festeggia 50 anni
TRIVOLZIO (Pavia) – Alla fine degli anni ’90, complice la concorrenza asiatica e il calo fisiologico del mercato, il fondatore Renzo Miotti indirizzò l’azienda verso il settore delle elettropompe e delle elettrovalvole per il mercato delle macchine del caffè. “Una svolta – ricorda l’amministratore delegato di CEME Roberto Zecchi – che si è concretizzata agli inizi degli anni 2000 con l’acquisizione di Ulka, azienda dell’Oltrepò Pavese attiva nella produzione di pompe per il caffè.
Operazione che le ha consentito di diventare uno dei leader nel mercato”. Nel corso degli anni, Ceme ha continuato questa strategia di acquisizioni sinergiche, diversificando il proprio portafoglio ed ampliando la propria presenza in mercati strategici, consolidando così un futuro di innovazione e crescita continua.
Che cos’è quindi oggi CEME?
“È un’azienda leader globale nei sistemi di controllo dei fluidi tramite l’utilizzo di elettrovalvole, diversi tipi di pompe (a solenoide, periferiche, a palette e ingranaggi) a cui ha aggiunto una serie di sensori che ne possono supportare la gestione come sensori di pressione, sensori di portata e l’elettronica di controllo degli stessi: grazie a una serie di acquisizioni mirate siamo passati da essere un fornitore locale di componenti a un fornitore globale di sistemi in grado di assistere i clienti”.
Ci dà qualche numero per capire la dimensione di Ceme?
“Negli ultimi anni – dall’ingresso del fondo Investindustrial, avvenuto nel 2018 – Ceme ha visto un costante incremento dei ricavi. Oggi il fatturato a livello globale supera i 330 milioni di euro con interessanti prospettive di crescita. Oggi abbiamo circa 1500 dipendenti. Considerando le società americane Procon e Micropump, acquisite nel 2023 da Investindustrial e con cui operiamo in stretto coordinamento, e Dti, di cui completeremo l’acquisizione di una quota di maggioranza a fine settembre 2024, operiamo in 10 stabilimenti produttivi, di cui 5 in Italia – Trivolzio (PV), Tarquinia (VT), Cavenago (MB), Colico (LC) e Tavagnacco (UD)– uno in Cina, uno in Messico, uno in Irlanda, uno in Ungheria ed uno a Vancouver in Canada.
Una presenza capillare, che ci permette di essere presenti in tutti i mercati principali in cui operiamo (Emea, Asia e USA) e di servire i nostri clienti al meglio e in loco con un presidio costante e dedicato”.
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SALERNO – Aumento del 200 per cento della capacità di confezionamento del caffè in grani da 1kg, il formato più comune per i consumi fuori casa; aumento del 200% anche per la capacità produttiva del caffè macinato sottovuoto; un pacco di caffè al secondo passa al controllo ai raggi X; aumento del 200% della capacità produttiva del caffè monoporzionato in cialde; un nuovo impianto di degasaggio del caffè per la moka (delicata fase di riposo del caffè, dopo la tostatura e prima del confezionamento) consente di ridurre il tempo dell’operazione da 48-72 ore a circa 3-4 ore; capacità di stoccaggio del caffè tostato in grani, ovvero pronto per essere macinato o confezionato, aumentata del 333% attraverso la realizzazione di un nuovo impianto di stoccaggio; capacità di stoccaggio del prodotto finito aumentata del 156%, attraverso l’ampliamento del magazzino, anche con la realizzazione di un nuovo magazzino interno semi automatico compattabile.
Sono solo alcuni dei risultati raggiunti con l’ultimo e più recente piano di espansione della torrefazione Trucillo di Salerno, per migliorare la capacità e la flessibilità produttiva e la velocità di risposta alle esigenze del mercato. L’azienda campana si prepara così a una nuova fase di crescita sul mercato interno e internazionale, dove è storicamente presente. Nell’ultimo anno il mercato interno è aumentato e rappresenta oggi il 35% delle vendite, mentre per il 65% il prodotto viene esportato in oltre 40 Paesi.
Gli interventi di ampliamento della produzione e del magazzino sono stati realizzati con attenzione alla sostenibilità ambientale e affiancati da una significativa attività di reingegnerizzazione e digitalizzazione dei processi, portata a compimento nel 2024, con interventi sui software per la produzione, sistema gestionale, cloud e formazione 4.0 per tutto il personale.
“Oggi abbiamo una gestione interamente digitalizzata dell’intero ciclo produttivo – spiega Andrea Trucillo, che in azienda ricopre il ruolo di Business Control Manager e HR Manager. – Abbiamo una sala di controllo avveniristica, dove una batteria di monitor mostra in tempo reale ciò che sta avvenendo in ogni fase del processo, dall’arrivo della materia prima, passando per la tostatura e fino al confezionamento. I processi sono parametrizzati e controllabili in diverse fasi, in modo da ridurre al minimo l’errore dell’operatore. Sono diminuite drasticamente le attività di tipo manuale a favore di quelle automatizzate, con un maggiore controllo dei Kpi di processo.”
Andrea Trucillo, che insieme ai fratelli Antonia e Cesare rappresenta la terza generazione, si è occupata di guidare questo importante cambiamento, iniziato poco dopo il suo ingresso ufficiale in azienda, avvenuto nel 2018: “un cambio di passo che ha rappresentato una vera rivoluzione e non è stato per nulla semplice né scontato. La parte più importante e allo stesso tempo complessa è stata rendere tutti gli attori protagonisti attivi di un cambiamento verso il quale c’era forte resistenza, senza dettare imposizioni. Avevo 25 anni e mi sono trovata a confrontarmi con collaboratori storici, anche molto più grandi di me, mio padre incluso. La chiave è stata l’ascolto reciproco. È una grande soddisfazione oggi vedere il frutto di tutto questo cambio generazionale, che non si è risolto solo all’interno della famiglia, ma delle diverse generazioni che convivono nella nostra azienda, dove capita di incontrare padre e figlio che lavorano insieme in produzione.”
Forte l’impatto della digitalizzazione sull’accesso da parte del personale ai dati e alle informazioni, un vero patrimonio, non solo per l’azienda ma anche e soprattutto per chi vi lavora tutti i giorni.
“Il 2024 è l’anno in cui abbiamo chiuso il cerchio della digitalizzazione della produzione, grazie a tutti gli investimenti fatti negli anni precedenti – spiega ancora Andrea Trucillo – Abbiamo fatto un cambio radicale dell’infrastruttura hardware e software, nonché delle logiche alla base della gestione e archiviazione documentale. Abbiamo aumentato i macchinari connessi e, di conseguenza la mole di dati da gestire, non solo internamente ma anche verso l’esterno con agenti e fornitori”.
Trucillo continua: “Questo ha richiesto il potenziamento della velocità di connessione e l’acquisizione di strumenti che permettono la condivisione della conoscenza e del know-how. Qualsiasi processo e procedura è stato ottimizzato e digitalizzato, per la condivisione, in modo che sia accessibile sempre e ovunque ai diversi team di collaboratori coinvolti. E oggi possiamo farlo anche attraverso l’ausilio di un semplice smartphone o comunque senza essere fisicamente presenti nel posto di lavoro. Questo ci consente di rispondere in maniera più efficiente e in minor tempo alle richieste dei clienti. Riusciamo a fare con un click qualcosa che prima poteva richiedere diverse ore. E oggi possiamo farlo anche attraverso l’ausilio di un semplice smartphone o comunque senza essere fisicamente presenti nel posto di lavoro.”
Gli investimenti infrastrutturali e la completa digitalizzazione sono funzionali ai piani di crescita futura della torrefazione di Salerno: “Questo ci rende pronti ad acquisire nuove dimensioni sul mercato. Lo abbiamo fatto nell’ottica di poter crescere in Italia e all’estero. Abbiamo messo le basi per poter avere già in casa le soluzioni quando, in funzione della crescita, l’azienda diventerà più complessa. Ci siamo strutturati in anticipo per non dover inseguire la crescita, ma programmandola” conclude Andrea Trucillo.
Un processo reso ancora più complicato dalle “resistenze culturali”, che la giovane imprenditrice ha saputo affrontare e gestire grazie a un percorso di formazione che unisce competenze tecniche, acquisite con la laurea in Economia Aziendale e Management all’Università Bocconi, e formazione umanistica, con un Master in Human Decision Science all’Università di Maastricht. “Ho scelto questo percorso di studi particolare perché sono da sempre molto curiosa dei meccanismi profondi che muovono le decisioni e il comportamento umano, anche nel business. Questo percorso mi ha permesso di acquisire ad esempio capacità di mediazione, che si è rivelata fondamentale nella guida del percorso di trasformazione digitale della nostra azienda. Se inizialmente ho dovuto scontrarmi con grande resistenza, oggi siamo tutti soddisfatti del cambiamento, che abbiamo fatto insieme, e consapevoli dei vantaggi che questo ci sta portando e ci porterà in futuro.”
Dal 2019 al 2023 l’azienda del caffè, proprietà dell’omonima famiglia dal 1950, ha investito in media circa il 20% del fatturato annuo in costanti interventi di ampliamento e innovazione, per un totale di circa 4 milioni di Euro investiti, cui si aggiunge oltre mezzo milione di investimento per la digitalizzazione.
MILANO – In un mondo sempre più orientato verso l’e-commerce, molti si chiedono se fare acquisti online sia più o meno sostenibile rispetto allo shopping in negozio. Un’indagine Altroconsumo, condotta su oltre 1000 partecipanti attraverso la piattaforma ACmakers e che rientra nel progetto “Sceglilo Sfuso o Riciclabile” – con l’obiettivo di promuovere l’informazione e la formazione dei consumatori e sensibilizzarli rispetto alla riduzione degli imballaggi attraverso il riutilizzo, il riciclo, la semplicità di smaltimento e la comprensione delle etichette, finanziato dal MIMIT. D.M. 6/5/2022 art. 5. – ha approfondito questa tematica, esplorando e quantificando i reali impatti ambientali degli acquisti digitali.
L’indagine Altroconsumo
Utilizzando un paio di auricolari bluetooth come esempio, è stato percorso l’intero ciclo di vita del prodotto, dalla fabbrica fino alla consegna, analizzando le emissioni di CO2 e gli imballaggi utilizzati.
Alla domanda “con quanti imballaggi entra in contatto un paio di auricolari prima di essere venduto online?”, solo 1 partecipante su 10 ha scelto, tra le quattro opzioni disponibili, quella giusta, cioè “tra 9 e 11 imballaggi”.
Oltre agli imballaggi necessari per il trasporto dalla fabbrica al magazzino di competenza, infatti, gli auricolari venduti online richiedono un packaging singolo o comunque personalizzato anche per la spedizione dal magazzino al destinatario finale. La vendita dello stesso prodotto in negozio richiede invece un numero di componenti di imballaggio inferiore, circa 6-8.
Sempre restando all’esempio degli auricolari, “quale tipo di acquisto produce più CO2?”, com’era facile aspettarsi, la maggior parte ha risposto che è l’acquisto online il più nocivo per l’ambiente, mentre la risposta da indicare era un’altra, “l’outlet fuori città”. Questo perché i grandi punti vendita extraurbani, oltre a essere causa di elevate emissioni di CO2 (dovute al riscaldamento, al raffrescamento e all’illuminazione dell’outlet), sono fonte di ulteriore inquinamento, dal momento che i clienti per raggiungerli devono percorrere lunghe distanze perlopiù col proprio mezzo privato.
Alcuni recenti studi evidenziano il ruolo chiave che il comportamento dei consumatori gioca a favore o no della sostenibilità ambientale, primo tra tutti il modo in cui avvengono gli spostamenti per raggiungere il negozio o il punto di ritiro del bene acquistato. È emerso che i magazzini automatizzati che compongono la filiera degli acquisti online riescono a essere generalmente più efficienti in termini di energia per unità di prodotto. Sono sempre di più, infatti, le aziende di logistica che investono in flotte di consegna elettriche e magazzini a basse emissioni.
L’indagine Altroconsumo mette in evidenza che anche i consumatori hanno un ruolo attivo nel ridurre il proprio impatto, ad esempio evitando resi, preferendo il ritiro in un punto fisico vicino a casa e differenziando correttamente gli imballaggi.
Per ridurre l’impatto ambientale è essenziale, infatti, che i cittadini gestiscano correttamente il packaging tramite la raccolta differenziata. Ad esempio, le buste di carta imbottite vanno di solito nell’indifferenziato, ma se le parti di carta e plastica sono facilmente separabili, è possibile differenziarle. Inoltre, per un riciclo ottimale, è consigliabile rimuovere le etichette adesive e altri elementi come nastri e graffette dalle scatole di carta prima di smaltirle.
La scheda sintetica di Altroconsumo
Altroconsumo, la più grande organizzazione indipendente di consumatori in Italia. Conta sul sostegno di 314 mila soci, che insieme ai nostri fan e simpatizzanti porta a oltre un milione di persone la comunità con cui Altroconsumo dialoga.
Da 50 anni è il punto di riferimento per i cittadini. Con 240 professionisti al servizio delle persone offre strumenti innovativi per scelte sicure e convenienti. Informa con autorevolezza e indipendenza attraverso le proprie pubblicazioni. Si impegna per difendere i diritti collettivi attraverso l’istituto della class action e per migliorare il quadro normativo e la rappresentanza delle istanze nelle sedi istituzionali, anche in Europa.
Interviene nelle dinamiche di mercato, condizionandole a favore dello sviluppo e dell’innovazione, come con i Gruppi d’acquisto sull’energia, sui carburanti, con oltre 500mila adesioni.
La tendenza del caffè con il cipollotto arriva dalla Cina e conquista sin da subito l’attenzione e la curiosità del popolo di TikTok. L’idea dietro questa strana combinazione è semplice, ma decisamente azzardata: si prende un cipollotto, si taglia a piccoli pezzi, lo si pesta in una tazza, e poi si aggiunge il caffè appena fatto e il latte. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su Italia Fruit News.
Il caffè con il cipollotto
MILANO – TikTok non smette mai di sorprendere con le sue tendenze stravaganti, e l’ultima in arrivo dalla Cina ne è l’ennesima dimostrazione: il caffè “corretto” con cipolla, scalogno o cipollotto. A dare la notizia il New York Post, sottolineando che questo bizzarro abbinamento ha rapidamente conquistato l’attenzione degli utenti della piattaforma, portando molti a sperimentare la bevanda tanto curiosa quanto, a detta di chi l’ha provata, del tutto imbevibile.
Il caffè, universalmente apprezzato e consumato in tutto il mondo, è da sempre al centro di rivisitazioni creative. Dal caffè aromatizzato con spezie, al cold brew, passando per le versioni “gourmet” arricchite con aromi esotici, sono tantissime le ricette che negli anni hanno giocato con l’equilibrio tra tradizione e innovazione. Tuttavia, questa volta, sembra che si siano oltrepassati i limiti con questa ultima trovata.
L’idea dietro questa strana combinazione è semplice, ma decisamente azzardata: si prende un cipollotto, si taglia a piccoli pezzi, lo si pesta in una tazza, e poi si aggiunge il caffè appena fatto e il latte. Una volta mischiati insieme, il sapore che ne deriva è descritto dai più come assolutamente sgradevole, con un retrogusto pungente e amaro che rende la bevanda praticamente imbevibile.
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Nel cuore del Pigneto a Roma una famiglia di imprenditori acquisisce nel 2020 la proprietà di un antico bar ed eredita un ipogeo di epoca romana rimasto nell’ombra per molti anni. A cento anni dell’apertura il proprietario Massimo Innocenti racconta la storia e i progetti futuri del bar Necci. Leggiamo di seguito la sua intervista a cura di Donatella Giordano per Arttribune.
La storia del bar Necci di Roma
ROMA – Originariamente un’antica masseria, il Necci dal 1924 incarna il fascino di un’epoca passata. Diventato negli Anni Venti un piccolo bar di quartiere, il locale è noto anche per aver fornito gli arredi a Pier Paolo Pasolini per girare il suo film Accattone nel 1961. Oggi questo bistrot (aperto a tutte le ore del giorno) si prepara per una nuova avventura. Infatti, in occasione del centenario della sua fondazione, abbiamo parlato con Massimo Innocenti, imprenditore romano che, insieme alla sua compagna Agathe Jaubourg e ad altri membri della famiglia, gestisce a Roma una rete di strutture ricettive e diversi locali.
Nato a Londra nel 1972, sei cresciuto a Roma in una famiglia di imprenditori le cui carriere sono nate nel mondo dell’hôtellerie inglese degli Anni Sessanta. Dopo aver studiato Lingue e Letterature Straniere alla Sapienza, hai proseguito con studi di cinema al Birkbeck College di Londra. Cosa ti ha spinto a tornare a Roma dopo gli studi?
“Sentivo che in Italia c’erano molte opportunità e avevo voglia di fare l’imprenditore, sarà forse il dna di famiglia”.
Da quanto tempo tu e Agathe lavorate insieme?
“Ci siamo conosciuti alla fine degli anni Novanta e abbiamo aperto diversi locali, incluso il Necci”.
Raccontaci le origini del Necci…
“Negli Anni Venti il signor Enrico Necci, bracciante di campagna, si innamorò di una fatiscente masseria appartenuta alla Tenuta Roncaglia. Necci, originario di Acuto, acquistò l’edificio e nel 1924 lo ristrutturò, trasformandolo prima in una latteria, poi in un bar e successivamente nella “Gelateria Impero”.
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BOLOGNA – Si è svolta la presentazione ufficiale dei due nuovi acquisti italiani della VirtusSegafredo, Riccardo Visconti e Nicola Akele. I giovani talenti bianconeri sono stati accolti al Roxy Bar, storico cliente di Segafredo Zanetti e simbolo della convivialità bolognese sotto le Due Torri. La scelta di questo luogo iconico, punto di riferimento per generazioni di bolognesi, ha sottolineato il forte senso di appartenenza che lega la Virtus e Segafredo Zanetti alla città di Bologna.
La presenza di due giovani promesse come Visconti e Akele è stata particolarmente apprezzata, in quanto rispecchia pienamente i valori di Segafredo Zanetti, incarnando la ricchezza che le nuove generazioni possono trasmettere e alimentare.
Riccardo Visconti: “Energia, positività, voglia di fare, devono essere queste le mie prerogative, partire dalle piccole cose sapendo che sarà durissima, sapendo che i minuti probabilmente saranno pochi e che dovrò giocarmeli bene. Il mio arrivo in Virtus rappresenta un momento importante, perché è bello ridere e scherzare sul fatto che ho la faccia da giovanotto, il fatto è che tra una settimana ne faccio 26, che non sono tantissimi, ma comunque per un atleta è metà carriera e quindi è un momento importante, è un momento in cui si presenta un’occasione che come ho detto prima non capita a tutti, ad alcuni non capita proprio e quindi a prescindere da tutto credo che si debba giocare senza avere paura di niente”.
Visconti continua: “Un vecchio allenatore, che è stato molto importante per me, mi ha detto che se non sei fuori dalla comfort zone non è possibile un miglioramento e direi che in questo momento ovviamente, non in senso negativo, ma sono completamente fuori dalla comfort, non ho mai visto un’organizzazione del genere in termini di allenamenti, di preparazione delle partite, di velocità e fisicità durante gli allenamenti, dovrò essere bravo io a fare in modo che sia una crescita continua per me.”
Nicola Akele: “Finalmente si entra nel vivo della stagione, si comincia. Ho sempre voluto questa opportunità e ci arrivo nel pieno della maturità, penso che sia il momento giusto per me per affrontare questa sfida, che sarà molto intensa, sono molto felice e darò il massimo per aiutare la squadra a vincere, questa è la cosa più importante. Sono un’ala molto versatile che può giocare più ruoli, gioco principalmente nel 3 e nel 4, l’anno scorso per emergenza ho giocato anche da 5 con buoni risultati e ovviamente questo mi dà l’opportunità sia in attacco che in difesa. Sono un giocatore che predilige più la difesa, che dà più energia, faccio un po’ il lavoro sporco che qualcuno deve farlo e questo sono io.”
La scheda sintetica di Segafredo Zanetti
Fondato nel 1973, Segafredo Zanetti è il marchio globale di Massimo Zanetti Beverage Group, tra i leader del caffè a livello mondiale con una forte presenza locale. Il Gruppo ha un posizionamento unico “dalla piantina alla tazzina”, gestisce una Value Chain completamente integrata e opera su 20 stabilimenti attivi in 4 continenti, vendendo i suoi prodotti in oltre 110 Paesi.
Ogni giorno più di 50 milioni di tazze di caffè vengono servite attraverso la sua rete composta da oltre 100.000 clienti e circa 400 negozi di caffè in franchising.
La Gelateria Wally in Piazza Lavater ospiterà un evento con 20 dei migliori maestri gelatieri italiani che si riuniranno per presentare le loro creazioni originali. Organizzato dal maestro gelatiere Andrea Zingrillo, titolare della Gelateria Wally, questa giornata non sarà solo un’occasione per assaporare gusti unici, ma anche per esplorare le radici territoriali e culturali di ogni creazione. Leggiamo di seguito parte dell’articolo di Luca Talotta per il portale d’informazione Time Magazine.
La celebrazione del dolce alla Gelateria Wally
MILANO – Il prossimo 12 ottobre 2024, Milano si trasformerà nella capitale del gelato artigianale, grazie all’evento speciale organizzato presso la Gelateria Wally in Piazza Lavater. In questa occasione, 20 dei migliori maestri gelatieri italiani si riuniranno per presentare le loro creazioni uniche e originali, offrendo al pubblico un’esperienza sensoriale e culinaria senza precedenti.
Dalle 14.00 alle 22.00, l’evento accoglierà grandi e piccoli, con attività divertenti, degustazioni e un forte impegno verso la solidarietà.
L’evento, intitolato “Come Prima Più di Prima”, giunto alla sua quarta edizione, ha l’obiettivo di far incontrare il pubblico con la maestria e la creatività dei migliori gelatieri del Paese.
Organizzato dal maestro gelatiere Andrea Zingrillo, titolare della Gelateria Wally, questa giornata non sarà solo un’occasione per assaporare gusti unici, ma anche per esplorare le radici territoriali e culturali di ogni creazione.
Ogni maestro gelatiere presenterà un gusto esclusivo, frutto di anni di esperienza e passione per l’artigianalità. Da Casalmaggiore a Reggio Calabria, passando per Reggio Emilia, ogni regione d’Italia sarà rappresentata con una creazione che riflette le tradizioni e i sapori locali. Tra le proposte più interessanti ci saranno:
Fondente Arancia Fermentata e Miso di Nocciole della Tuscia di Valerio Esposito (Aprilia),
Rugginosa del Bernini, un sorbetto alla mela di Ilaria Guerrieri (Pisa),
Mustacciolo Ubriaco, ispirato ai dolci tipici salentini di Chiara Spalluto (Casalabate).
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PARMA – E Parma diventa punto di congiunzione tra Paesi produttori e consumatore finale. L’occasione è la presentazione del caffè Njuki, frutto della collaborazione tra l’aziendaNzatu Food Group e la torrefazione Artcafé. Ed è così che, per la prima volta in Europa questa realtà in costante evoluzione ha organizzato una conferenza insieme a Michele Sofisti co-founder e ceo di Nzatu con Andrea Chiesi, Phritwi Naik (climate economist dall’India di Restor), Kwadwo Boachie-Adjei founder di Urban Afrique e Luca Montagna, amministratore delegato di Artcafé.
E ora, qualche informazione per completare il contesto.
Nzatu (in lingua locale, “nostro”) è una startup nata dall’idea di due sorelle zambiane, Gwen Jones e Denise Jones Madiro
Le quali hanno voluto applicare – o forse sarebbe più corretto dire ritornare – all’agricoltura rigenerativa per produrre miele e caffè: obiettivo, appunto, sostenere le comunità locali, nel rispetto dell’ecosistema e degli equilibri socio-economici.
Per farlo, Nzatu si avvale di partner strategici che si appoggiano alla tecnologia blockchain, come ad esempio Restor, per garantire una massima tracciabilità, una misurazione digitale, la rendicontazione e verifica delle emissioni di carbonio nel rispetto degli impegni sul clima e in termini di sostenibilità.
Sono invece 15 al momento i partner dell’Africa subsahariana, che collegano i farmer di piccole dimensioni del luogo con il resto del mercato, distribuendo oltre al caffè anche il miele (proveniente per il momento da Zambia), cera di api, cacao (dal Ghana, Camerun, Costa d’Avorio e Nigeria) e cereali. Così come spiega Michele Sofisti: “Questo è un modo per diversificare la produzione, per avere sempre avere una soluzione da poter proporre sul mercato”.
Occuparsi anche di apicoltura infatti – pratica che Nzatu promuove sul piano della formazione degli stessi coltivatori – permette di ottimizzare i periodi destinati alla ripresa vegetativa della pianta da caffè, senza rinunciare però ad una fonte di reddito.
Natzu: persone che hanno deciso di sposare una causa.
Ed è proprio da questa filosofia condivisa, che nasce la collaborazione con il marchio storico di Parma, Artcafé e con il maestro torrefattore Luca Montagna, presente all’evento di lancio della miscela Njuki (che in lingua locale significa “miele”) composta da Arabica ugandese (Bugisu AA, Monte Elgon) e da un Kenya e un Etiopia.
Un equilibrio trovato dopo diversi test dallo stesso Luca Montagna con una tostatura medio chiara: “Volevo far emergere soprattutto la caratteristica cioccolatosa”. Un blend che prossimamente potrà essere accompagnato da altre origini africane, come Tanzania, Angola, Repubblica democratica del Congo, Etiopia. Artcafé sarà responsabile della distribuzione della miscela in Europa.
Mentre per quanto riguarda il mercato nord americano, il ruolo è ricoperto da Urban Afrique, per l’Asia dalla stessa Nzatu.
Luca Montagna spiega il suo coinvolgimento in Nzatu:
“Questo è un progetto che mi ha visto coinvolto dall’inizio. La mia formazione caffeicola e l’attività che porto avanti si basa sugli stessi principi di Nzatu: fare ricerca, arrivare ai produttori nel rispetto della filiera dietro la tazzina di caffè, selezionando la materia prima di alta qualità. nessuno si chiede cosa si nasconda dietro l’espresso: dall’agricoltore che raccoglie la drupa, sino ai torrefattori che lo trasformano per arrivare ai bar.
Lavorare con Nzatu e creare Njuki, mi ha dato grande soddisfazione, proprio in questo momento particolare poi, che il caffè sta vivendo: mai come adesso nelle quotazioni e nella Borsa di New York e Londra c’è difficoltà a reperire il prodotto, con fenomeni di speculazione e la scarsità di materia prima con i prezzi alle stelle.
Eppure, a chi produce ogni giorno in piantagione, parliamo di intere famiglie, non arriva neppure un decimo di quello che sono le quotazioni date in Borsa.
Questo progetto stimola al contrario la creazione consapevole di un indotto economico per queste persone. Lavorare il caffè, senza fare cultura, senza farlo conoscere e raccontarlo, non ha senso.
Nessuno sa cosa sta comprando al supermercato: nelle confezioni manca la descrizione dell’origine, della lavorazione o di altri elementi importanti. Noi vogliamo far comprendere cosa c’è dentro la lattina per creare un’economia più giusta. Poter dire che un caffè è giusto significa portare avanti un discorso di biodiversità, di qualità, che racchiude tutto ciò che vogliamo trasmettere.
E in questo viaggio, abbiamo assaggiato dei caffè straordinari: ho ancora in mente uno dal Congo, veramente incredibile.”
250 grammi in grani e in macinato per un caffè tracciato, anche seguendo le nuove disposizioni europee che entreranno in vigore, l’EUDR contro la deforestazione.
La sostenibilità ambientale ma anche sociale
Njuki aiuta a dare un’opportunità lavorativa alle piccole imprese locali, costituendo una forma di sostentamento alle comunità coinvolte in Uganda.
Michele Sofisti: “L’idea è di trattare vari temi per poi finire con il caffè. Herman Hesse ha dato una definizione che spiega bene quanto sia difficile il cambiamento, distinguendo tra ecologia profonda – interconnessione a livello naturale – e quella superficiale – che ci ha portato all’era dell’antropocene in cui si vivono gli impatti dell’agricoltura intensiva e delle pratiche estrattive -.
Ecco che Nzatu nasce con la mission di promuovere l’agricoltura rigenerativa, che non utilizza chimica, ma crea prodotti più sani attraverso delle pratiche in vigore già da tempo. Con conseguenze diverse: protezione della wild life, diminuzione del fenomeno di deforestazione in Africa. Con l’apicoltura, vendendo miele e derivati, diamo inoltre un’alternativa al taglio degli alberi come legna da ardere.”
Riuscire a portare un prodotto realizzato con tecniche naturali dall’Africa sino all’Italia: da cui la necessità di un tramite come Nzatu.
Andrea Chiesi, racconta la sua esperienza diretta: “Abbiamo pensato che poter contribuire a creare una collaborazione nelle zone in cui c’è conflitto tra uomo-natura, rappresentasse la luce guida di Nzatu. Volevamo incidere sul destino del mondo.
Siamo partiti da un anno e ancora dobbiamo lavorare, ma lo spirito è questo: dimostrare che si può agire in altro modo, che sia sostenibile sia per l’ambiente che per l’economia. Senza fare beneficenza, che non garantisce una visione di lungo termine per dei progetti che coinvolgono persone.
Ci siamo chiesti: possiamo allora fare qualcosa che sia sostenibile anche dal punto di vista economico e che possa impattare sul clima, gli ecosistemi, la vita dei locali?
E Nzatu ci ha permesso di unire tutti questi aspetti. Per farlo, bisogna coinvolgere le popolazioni locali. Un approccio sistemico, che cerca di uscire dalle dinamiche del qui e ad adesso, proiettandosi su un impatto di lungo periodo.”
Coltivare e fare rete
Si parte dal caffè, ma in modo che ci sia un ritorno per i farmers.
Michele Sofisti riprende la parola: “Siamo un collegamento tra tanti piccoli produttori e i mercati, con i training, gli esperti, con la logistica. Dobbiamo ora trovare sempre più aziende disposte ad acquistare queste materie prime e prodotti. Uscendo dalle logiche dei grandi trader che muovono milioni di tonnellate di commodity e entrare in una mentalità di impatto diverso sulle comunità.
Sarebbe necessario un maggiore supporto per creare un valore aggiunto ora necessario.”
Kwadwo Boachie-Adjei, Urban Afrique: “I traders prendono il margine maggiore. Urban afrique al contrario vuole connettere direttamente i farmers con i consumatori di cacao. Un prodotto che viene pagato appena 2 centesimi per una tavoletta da un dollaro al supermercato.
Ci concentriamo sulla sostenibilità umana, per raggiungere equità economica per i farmers. Così da rendere più attrattivo per le nuove generazioni il lavoro del coltivatore, fermando il fenomeno di immigrazione verso altri settori, lasciando le piantagioni al lavoro delle miniere spesso illegali. Da questo punto di vista, Nzatu e Artcafé rappresentano una speranza verso un reale cambiamento.”
Nzatu è fatta di stakeholders che riconoscono l’importanza del lavoro dei coltivatori. Una Social equity che passa da prezzi equi, perché non esiste alcuna giustizia climatica senza quella sociale.
E ovviamente si parla anche di EUDR
C’è bisogno quindi di leggi che tutelino un caffè che sia giusto?
Luca Montagna prova a dare una risposta: “Purtroppo i Paesi più in difficoltà a fornire la la documentazione relativa all’importazione di prodotti che non causano deforestazione, sono proprio quelli più poveri. Teoricamente così restano fuori da un mercato che ancora oggi li richiede, creando perdite significative a queste comunità. Quindi sì, servono leggi e regolamentazioni che però tutelino chi lavora veramente la terra e produce.
Perché se alla fine questi non vengono remunerati correttamente, credo che gli effetti potrebbero essere negativi su delle economie basate principalmente sulla produzione di queste materie prime.
Proviamo ad immaginare il percorso di un chicco di caffè dall’Uganda, che viene coltivato, lavorato, caricato su delle navi e fare un giro ancora più lungo nell’ultimo periodo, fare il giro delle dogane, poi trasformato dai torrefattori: ecco, diventa chiaro che non può costare poco. Dev’esserci un’equa distribuzione, che crei un’economia corretta.”
Pritvit Naike si inserisce nella discussione e segue la parte tecnologica del progetto Nzatu e rappresenta Restor spin off politecnico di Zurigo per la tracciabilità, open source mapping che assicura la possibilità per chiunque di cliccare su una mappa geolocalizzata e osservare vari parametri come biodiversità, clima, su terreni selezionati, garantendo una totale tracciabilità del prodotto semplicemente applicando un QRcode sulla lattina di caffè.
Ora il primo step per Nzatu è il caffè dell’Uganda, che rappresenta un po’ il progetto pilota per controllare che tutto funzioni.
L’idea di coinvolgere il consumatore finale, anche con l’aspetto grafico certo, ma anche fornendo tutti gli elementi per valutare il prodotto venduto nella lattina. Sulla quale i tanti loghi che compaiono, raccontano ancora una volta l’approccio sistemico di Nzatu, che si propone come un’Impact company: società for profit, perché senza la sostenibilità economica non si ha una vita lunga.
Perché in Africa?
Innanzitutto per la passione che i co-fondatori hanno in comune per questo continente. Poi perché è risultato presto evidente che la popolazione di questo continente è ancora in crescita, responsabile del 3-4% delle emissioni globali: il futuro del mondo si giocherà qui, dove ci sono ancora margini di sviluppo. Ed è importante farlo nel modo giusto.
Njuki rientra in una fascia alta di prezzo, e negli Usa sarà venduto all’incirca a 42 dollari al chilo.
E siccome si parla di caffè e dell’arte della tostatura, l’incontro non poteva che concludersi naturalmente all’interno dello stabile produttivo di ArtCaffè, sotto la guida esperta di Luca Montagna, Cicerone d’eccezione soprattutto per tutti coloro che di questa materia prima e bevanda devono ancora conoscere la storia, i processi, le origini, le estrazioni.
A contatto con il verde, specialty e non, e di fronte a macchine importanti come la tostatrice IMF da 60 chili in azione, con alle spalle diversi silos da 500-600 chili di capienza.
A tal proposito, importante l’incontro diretto con il barista esperto Vito Schiavo, che ha accompagnato nel mondo delle erogazioni alternative all’espresso – pur sempre includendolo in questo viaggio conoscitivo – i visitatori, armandosi di Chemex e poi, anche, della cara vecchia moka ma fatta a regola d’arte, senza montagnette, senza far sentire il borbottio finale.
Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, si espone sull’importanza del tema dell’agricoltura e la sua pratiche nelle miscele specialty differenziando tradizione e innovazione. Leggiamo di seguito la sua opinione.
L’agricoltura del caffè tra tradizione e innovazione
di Mauro Cipolla
MILANO – “L’agricoltura ha di certo un grande impatto sull’ambiente e sugli aspetti sociali ed economici dell’uomo. Facciamo però un passo indietro: molti affermano che la tradizione è solo una storiella atta a nascondere i prodotti fatti male, con processi e materie prime derivanti da lavorazioni agricole non adeguate. In molti casi ciò può essere vero, ma non è necessariamente sempre così: ci sono tradizioni nobili, ed altre che lo sono invece molto meno. È un mondo molto confuso e poco coerente, quello del caffè.
La medesima situazione si verifica però anche con gli specialty, i quali, al contrario dei caffè che non ci tengono affatto all’aspetto agricolo, puntano sulla tracciabilità dell’agricoltura, sui processi e sulla sostenibilità ambientale, sociale ed economica.
Eppure, anche le grandi industrie producono caffè specialty con processi e sistemi molto diversi da quelli messi in atto dai piccoli torrefattori.
L’incoerenza esiste, inoltre, anche perché da una parte si parla di filiera e di sostenibilità per i produttori, al contempo dall’altra parte si producono invece caffè sempre colmi di novità e con gusti esotici, risultanti da continue sperimentazioni i cui gusti finali non necessariamente rispecchiano la sostenibilità dell’ambiente o dei produttori, e nemmeno quella dei mercati locali.
Ebbene, anche qui la sostenibilità delle piantagioni va in conflitto con un discorso di innovazione: è una storiella anche questa?
Sarebbe bene non far passare l’idea che genericamente tutte le tradizioni sono una copertura per prodotti mal fatti, o al contrario che si necessita solo dell’innovazione e del diverso poiché questi sarebbero entrambi gravi errori.
L’importanza dei processi agricoli non è, a mio avviso, solo socio-economica ma soprattutto etica, se teniamo presente l’impatto topologico, climatico e culturale.
È quindi estremamente importante capire il senso della tracciabilità in un rapporto tra agricoltura, ambiente, il sociale, e la parte economica in rapporto ai mercati.
Certo è che la riduzione dei difetti e il miglioramento delle pratiche e dei processi agriculturali mirati a creare caffè eccelsi sono molto importanti. La riduzione dei pesticidi e dei fertilizzanti chimici, la protezione degli ambienti rurali e forestali, sono una priorità per noi.
Alla fine però , nella realtà dei mercati, questi nobili obiettivi richiedono immensi risorse di know how e finanziarie.
In tutto questo, se siamo veri verso noi stessi come produttori e nei riguardi dei mercati, si dovrebbe mantenere un livello di competitività e di posizionamento di mercato anche differenziando le materie prime, le procedure, e i sistemi di lavorazione tra quelli delle micro torrefazioni e quelle delle grandi industrie.
Di fatto, la maggior parte delle grandi industrie, visti i loro volumi di affari, non potranno mai vendere, nella percentuale delle loro vendite, più prodotti di prima scelta o Specialty quando a confronto con prodotti più “lavorati/commerciali”.
Il rischio, mentre si pensa all’ambiente, alla tracciabilità, alle certificazioni, ai corsi e alle procedure delle associazioni, è quello di creare prodotti belli da raccontare e da leggere, ma di fatto si crea una confusione tra i prodotti dei grandi industriali e quelli dei piccoli torrefattori artigiani. Il punto è, inoltre, che i piccoli torrefattori artigiani non riescono a rimanere competitivi con le strutture finanziarie e con le strategie di comunicazione, di leverage, di net work e di branding congiunto offerti dai grandi industriali e dalle aziende multinazionali.
Ed è così che si cannibalizza il mercato dei prodotti finiti che erano stati creati per essere speciali in mano ai piccoli torrefattori artigiani. La confusione nel posizionamento di caffè speciali o specialty, proprio come nei caffè tradizionali, è oggi una realtà sia nell’offerta sia nella reale differenza esperienziale dei clienti finali.
Il pericolo è che si alzino le aspettative dell’esperienza tramite la comunicazione e le offerte, e che invece nella realtà i consumatori spesso non trovino queste loro esperienze all’altezza dell’aspettativa creata. Ed è così che il valore di ciò che ci si aspetta dalla natura al piatto, o in questo caso dalla natura alla tazza, arriva confuso e non coerente con le promesse fatte.
Alla fine dei conti le tradizioni, la comunicazione e la tracciabilità possono certamente coinvolgere. Le imprese agricole e alimentari sono coinvolte in processi che si intrecciano con il vissuto reale delle persone.
Sono sempre più convinto che il problema nel nostro lavoro da piccoli torrefattori artigiani è che con la non coerenza della comunicazione, oramai utilizzata in modo trasversale su alcune diciture e ideologie, stiamo aiutando le grandi industrie multinazionali e nazionali a fare uno shift di mercato nel loro posizionamento per appropriarsi del valore aggiunto dell’immagine di essere anch’esse aziende artigianali.
Non si tratta quindi solo di produrre beni di qualità con un buon livello di differenziazione sui diversi mercati, ma anche di fornire beni, o meglio nel caso del caffè nutrienti che facciano stare davvero bene le persone durane il consumo.
La cosa fondamentale diventa capire che il ruolo multifunzionale del settore primario deve certamente contribuire a migliorare gli equilibri sociali e ambientali, ma diversamente per ogni persona, e non dimenticarsi dei diversi obiettivi economici delle persone ai fini di creare prodotti di altissima qualità ma democratici e non elitari.
Se poniamo attenzione alle differenze e al piacere personale in ciò che chiamo “l’economia della felicità”, forse aiutiamo tutta la filiera. La qualità la metto quindi in discussione, non solo come la consideriamo abitualmente (marchi, origine, tracciabbilita’, difetti, ecc…), ma anche come un concetto ben più ampio basato sulla salute sia personale sia intesa come salute del pianeta e del mondo vegetale; da decenni mi riferisco a questo concetto con l’espressione “Caffè-gusto-salute”.
Credo sia fondamentale capire che l’integrazione del concetto di sostenibilità nella produzione e nel consumo di alimenti salubri e piacevoli che al contempo rispettano le culture antropologiche, possa andare a vantaggio di tutti gli attori della catena alimentare, in particolare degli agricoltori.
Questi non possono avere un ruolo passivo, in balia del mercato, dei clienti, della competizione confusa tra gli artigiani micro torrefattori e le grandi industrie, e neanche delle mutevoli scelte dei consumatori basate in gran parte sulla comunicazione vincente.
Un consumo consapevole e personale si fonda pur sempre su scelte autonome e indipendenti, e dunque il tutto andrebbe basato in primo luogo sul piacere del gusto e della digeribilità.
Probabilmente, non dovremmo dunque generalizzare, ma dovremmo piuttosto basare il tutto sull’esperienza che il cliente consapevole fa nei mercati, per creare una felicità del consumo consapevole dove la crescita avviene in modo verticale tra tutti i componenti dei mercati che lavorano bene nel micro artigianato”.
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