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mercoledì 27 Novembre 2024
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Fipe: “Sorprendono i dati della commissione su lavoro nero. Sballati tutti i dati resi pubblici”

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Fipe -Confcommercio buoni pasto inflazione donne ristorazione
Il logo Fipe

ROMA – “È sconcertante leggere il dato emerso dalla commissione che sta lavorando sulla riforma fiscale. Se è vero che nel settore di pubblici esercizi e alberghi il lavoro nero tocca il 56,8% allora significa che sono sballati tutti i dati finora resi pubblici, a cominciare dal Pil per finire alla contabilità nazionale”.

È il commento del direttore generale della Federazione Fipe, Edi Sommariva, alla notizia secondo cui il nero nel settore dei pubblici esercizi sarebbe quello più alto in assoluto.

Fipe sui dati emersi dalla commissione sul lavoro nero

“La commissione deve spiegare agli italiani e alle imprese – ha detto ancora Sommariva – il significato di questi numeri che non ci convincono per niente. Perché dai dati ufficiali Inps risulta che il nostro comparto dà lavoro a 700mila dipendenti e a 300mila indipendenti.”

Sommariva continua: “Sono cifre che ci sembrano fotografare la situazione reale. Dai dati della commissione emerge, invece, una forza lavoro di circa un milione e seicentomila persone, cioè quanto la manodopera del canale horeca (hotel, ristoranti e caffè) di Francia e Spagna messe assieme. Davvero poco credibile”.

Camerun, crescono le vendite di cacao: previste le 400mila tonnellate nei prossimi 10 anni

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camerun
La bandiera del Camerun

YAOUNDÉ, Camerun – Ottimo momento per le esportazioni e le vendite di cacao del Camerun. Oltre ai volumi cresce anche il prezzo che, al porto d’imbarco di Douala, è passato da circa 1 euro a 1,3 euro per chilogrammo e sui mercati internazionali a circa 2,1, quasi il doppio del prezzo praticato negli ultimi tre anni.

La crescita del mercato del cacao del Camerun

La crescita delle vendite camerunensi, in buona parte, è imputabile alla crisi politico-istituzionale che sta investendo la Costa d’Avorio, che rappresenta in tempi di stabilità del 40% della produzione mondiale di cacao.

Con un milione e 400mila tonnellate di cacao prodotto per anno, la Costa d’Avorio ha sempre influenzato i mercati.

Il Camerun ha raggiunto la quinta posizione in termini di produzione annuale con 200mila tonnellate e in prospettiva, nei prossimi dieci anni, potrebbe raggiungere le 400mila.

La Regina Elisabetta II alla ricerca dell’assistente che si occupi della colazione a Buckingham Palace

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Buckingham Palace regina elisabetta chocolate perfection pie
La Regina Elisabetta II d'Inghilterra

La regina Elisabetta II ha richiesto un nuovo general assistant per la coffee room. La figura professionale deve essere in grado di occuparsi dell’organizzazione dei vassoi per il caffè e per il tè. Lo stipendio è di 14.000 sterline. Leggiamo di seguito la notizia completa dal quotidiano La Repubblica.

L’uomo del tè della regina Elisabetta II

LONDRA – La regina Elisabetta dopo aver trovato il nuovo giardiniere (eco) mettendo un’inserzione online, ora è alla ricerca di quello che oltremanica chiamano general assistant per la coffee room.

Il profilo professionale richiesto è quello di una persona che sia in grado di occuparsi dell’organizzazione dei vassoi per tè e caffè, nei momenti delle colazioni rispettando i più alti standard qualitativi nella preparazione e presentazione di bevande e cibi.

Saper scegliere i bicchieri più giusti e i servizi di porcellana più idonei è uno dei requisiti fondamentali per la Regina Elisabetta, più dell’esperienza pregressa in fatto di catering che pure è richiesta così come la disponibilità a lavorare 3 mesi all’anno lontani da Londra.

Lo stipendio per l’uomo del tè è di 14.000 sterline annue, pari a 16.700 euro l’anno circa per 45 ore di lavoro mensili.

Per chi volesse candidarsi la procedura di selezione è abbastanza trasparente e semplice: basta inviare la propria domanda entro il 27 febbraio collegandosi direttamente sul sito web della Famiglia reale.

Il Tapiro d’oro di Striscia la Notizia è stato consegnato al figlio del titolare del bar Nodari di Via Statale a Merate

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striscia la notizia inps
Il logo di Striscia la Notizia

Valerio Staffelli ha consegnato il Tapiro d’oro di Striscia la Notizia al figlio del titolare del bar Nodari di Via Statale a Merate dopo che all’interno del locale era stato venduto uno dei tagliandi da grattare ad un minorenne appositamente ingaggiato dalla troupe televisiva del celebre telegiornale satirico. Leggiamo di seguito la notizia pubblicata su Merate Online.

Valerio Staffelli riceve il Tapiro d’oro di Striscia la Notizia

MERATE (Lecco) – Il Tapiro d’oro di Striscia la Notizia è stato consegnato da Valerio Staffelli al figlio del titolare del bar Nodari di Via Statale a Merate, e da ieri campeggia sopra la macchina del caffè a ricordo di un incontro decisamente inaspettato. Per l’occasione non si tratta di un tapiro qualsiasi, ma di un esemplare appositamente “tappezzato” di pezzi di “gratta e vinci”, i celebri biglietti con cui decine di giocatori ogni giorno sfidano la fortuna alla ricerca di ricchi premi in denaro.

E non a caso. L’originale animale è stato consegnato intorno a mezzogiorno di mercoledì 16 febbraio, dopo che all’interno del bar era stato venduto uno dei tagliandi da grattare ad un minorenne appositamente ingaggiato dalla troupe televisiva del celebre telegiornale satirico.

“Mio figlio ha venduto il tagliando al ragazzo. Nemmeno il tempo di uscire dalla porta ed è rientrato insieme a Staffelli, con tanto di telecamera al seguito” ha spiegato il responsabile del locale.

“Sul momento mio figlio è sbiancato, di certo la sua è stata una leggerezza, la legge in merito ha subito variazioni recenti. Ha ammesso il fatto ma non ha avuto il tempo nemmeno di ribattere, nel giro di un minuto se ne erano già andati”.

Il fatto di portare con sé il giovane, infatti, fa presupporre che quella di Merate non sia l’unica ricevitoria visitata dalla troupe, che con ogni probabilità realizzerà un servizio sul tema che potrebbe andare in onda nel corso delle prossime settimane.

 

Nespresso lancia Pixie, la mini macchina a capsule per il caffè espresso

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La macchina Pixie (immagine: Nespresso)

LOSANNA (Svizzera) – Si chiama Pixie l’ultima novità Nespresso, con uno stile minimalista. Per il ramo Nestlè specialista di caffè porzionato è un avvio d’anno con una prima mondiale. Una macchina che è la più piccola della gamma eppure veloce come tutte le altre. Da notare che Pixie garantisce il risparmio energetico, adattandosi così alle richieste di gran parte degli utenti Nespresso.

Nespresso presenta Pixie

Pixie si distingue per una certa originalità, accentuata dai pannelli laterali in alluminio disponibili in sei colori: sarà disponibile dal mese di aprile. Il prezzo? Per ora c’è quello indicato per la Svizzera: 229 franchi, pari a 175 euro.

Nell’occasione Nespresso si è affidato ad un collaudato stilista elvetico. Si tratta di Antoine Cahen, il designer industriale dei Les Ateliers du Nord di Losanna. La costruzione è invece della ditta svizzera Helbling Technik, che collabora strettamente con il reparto di ricerca e sviluppo di Nespresso Svizzera.

E in Italia si consuma il 10 per cento delle capsule di caffè consumate nel mondo

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Capsule di caffè (immagine: Pixabay)

MILANO – L’argomento delle capsule di caffè, ma non più dal punto di vista del servizio offerto e della comodità d’uso, bensì da quello, più problematico dello smaltimento spuntano su molti giornali. Ecco come il tema è stato affrontato da Famiglia Cristiana, settimanale tra i più diffusi in Italia.

La sostenibilità delle capsule in Italia

Cara vecchia moka, il modo più ecocompatibile di fare il caffè. Ogni anno in Italia si consuma un miliardo di capsule da caffè usa e getta, il 10 per cento di quante ne vengono consumate nel mondo.

Per realizzare un chilogrammo di capsule di caffè (che sono di plastica o alluminio) occorrono 4 litri di acqua, 2 chili di petrolio e 22 chilowattora di energia elettrica. Ne avevamo parlato in un articolo sulla rubrica Scienza e Tecnologia di Famiglia Cristiana.

Il passaggio al caffè in capsule produce un ingiustificato aumento dei rifiuti e il Centro di Ricerca Rifiuti Zero del Comune di Capannori (Lucca), dopo aver installato un impianto di compostaggio presso la mensa comunale, stava studiando una possibile soluzione.

La lettera aperta che alcune settimane fa il Centro di Ricerca ha inviato alla Lavazza con la richiesta di avviare un confronto per la riprogettazione delle capsule di caffè “usa e getta”, che attualmente non sono riciclabili, sembra stia dando i primi risultati.

Presto i rappresentanti del Centro, che ha compiuto lo studio sulle capsule, dovrebbero incontrarsi con l’Associazione Italiana Industrie Prodotti Alimentari (Aiipa) di cui fa parte anche la Lavazza, nella sede dell’Innovation Center di Torino realizzato dalla Lavazza come centro nevralgico di tutte le sue attività di ricerca.

Il riciclo

L’Aiipa infatti, che rappresenta il gruppo di industrie chiamato in causa da Capannori, ha creato un gruppo di lavoro su questi temi da tempo impegnato sul fronte della ricerca di innovazioni tecnologiche che riducano sensibilmente l’impatto ambientale di tutti i materiali di imballaggi e quindi anche delle capsule in questione.

In Germania hanno già previsto un’apposita normativa per il riciclo delle capsule. (E Nespresso in alcune nazioni ritira le capsule usate al momento della consegna di quelle nuove; n.d.r.). E noi, intanto, potremmo rispolverare la caffettiera moka, che ha un impatto ambientale bassissimo: la macchinetta è fatta di alluminio, un materiale riciclabile al 100%, mentre i fondi di caffè sono perfettamente compostabili e si possono anche mettere direttamente nei vasi dei fiori.

L’esplosione dei costi delle materie prime arriva al bar: in Veneto la tazzina raggiunge 1 euro

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Una tazzina di caffè espresso (immagine: Pixabay)

MILANO – Dieci centesimi in più. “In Veneto, da 90 centesimi a un euro: una tazzina al costo di un quotidiano”. Perché, secondo il conte Giorgio Caballini di Sassoferrato, presidente del “Gruppo triveneto torrefattori di caffè” (270 soci) e amministratore della Dersut Caffè Spa di Conegliano Veneto (Treviso, 14 milioni di fatturato, 3% del prodotto destinato all’estero e 30 dipendenti): “La situazione delle 49 torrefazioni venete è in linea con quella generale.”

L’aumento dei costi del caffè in Veneto

Caballini continua: “Dall’esame dei bilanci 2009 delle prime 400 aziende italiane (su 703, per 7mila addetti, 3 miliardi di euro di produzione di cui 600 destinati all’estero) risulta che, senza adeguati provvedimenti, il 90% delle ditte chiuderà il 2011 in perdita. Variazioni dei listini sono inevitabili, ed è opportuno che i clienti (bar, caffè, ristoranti) provvedano al rincaro”.

Tutta colpa del mercato speculativo

“Il 19 febbraio dell’anno scorso – continua il presidente Caballini – a New York (Csce, Coffe, sugar and cocoa Exchange, divisione indipendente del Nybot, New York board of trade) una libbra (453,6 grammi) di caffè era quotata 134 centesimi di dollaro; il 28 giugno 166; il 19 novembre 209; e ora il prezzo ha superato la soglia dei 230. Insomma, considerato il cambio euro-dollaro, una partita di 320 sacchi (60 kg ad unità) di Santos, a New York sarebbe costata 42.323 euro il 19 febbraio, 56.951 il 28 giugno e 64.871 il 19 novembre 2010.”

“Da sei mesi, cioè, è in atto un movimento speculativo inarrestabile; la tensione sul caffè non scende, con prezzi vicini ai record di 13 anni fa. Anche perché dipendono, in larga parte, da future e option, scommesse che passano sopra la testa dei torrefattori”. Una situazione critica, secondo Caballini.

Un maggior costo in sei mesi – puntualizza – di 23.027 euro per una partita di Santos e cioè di 1,2 euro al chilo sul caffè crudo e di 1,5 sul tostato. Per una partita di 320 sacchi di Robusta, considerato lo stesso periodo, la differenza è pari a 8.705 euro, quindi a 0,55 euro al chilo sul tostato”.

Settore, costi e clientela

“Un’azienda media – continua Caballini – che tratti 5mila sacchi di crudo all’anno, per due terzi Arabica e per un terzo Robusta, ha subito da febbraio 278mila euro di maggiori costi. Da qualche parte vanno ammortizzati. E bar e caffè non se la passano meglio: anche perché la tazzina di espresso, che negli anni scorsi in Veneto costava quanto un quotidiano, ora è ferma a 90 centesimi.”

Caballini continua: “Per fare due conti, un bar medio, due dipendenti e 210mila euro di incasso annuo (circa 700 al giorno), deve fare i conti con 60mila euro di costi fissi per il personale, 24mila per l’affitto, 9mila per l’energia, 5mila tra altre utenze, rifiuti e riscaldamento, 3mila per la contabilità e 5mila per le manutenzioni. Con un costo-merci di 73.500, ne restano 30.500 di margine lordo; un netto di 1.150 euro al mese, lo stipendio di un dipendente per uno o più titolari. Insomma, nuove spese finiranno per rimbalzare sull’avventore”.

Inevitabile, anche per il vicepresidente Vincenzo Sandalj. “D’altra parte – afferma Sandalj – grazie alla concorrenza spietata tra torrefazioni venete e all’inflazione di bar (11mila in Veneto, su 157mila in Italia; fonte Fipe, federazione italiana pubblici esercizi) il prezzo al consumo della tazzina è fra i più bassi d’Europa; ma se non copre le spese di gestione, il barista dovrà adeguarsi”.

La colpa non è solo dei mercati

“I fondi di investimento – commenta Sandalj -, ora long su contratti di settore, enfatizzano squilibri tra domanda e offerta di materie prime; si pensi alla débâcle degli Arabica lavati colombiani, dovuta ad avverse condizioni climatiche, e al calo produttivo in certi paesi centroamericani. Alla fine, si salvano aziende di nicchia, e in Veneto non mancano; i grandi esportatori, perché l’estero ha un potenziale enorme; e chi produce porzionato, cialde e capsule: un mercato che cresce del 20% all’anno”.

Ma c’è chi ha qualche dubbio sugli aumenti. “E’ l’intera filiera – chiosa Federico Pellini, ammistratore delegato di Pellini Caffè Spa di Bussolengo (Verona), 51 milioni di fatturato, 160 occupati, 7% la quota estero – dal produttore al consumatore, che deve accollarsi oneri straordinari, perché si mantengano elevati standard qualitativi. Ma con la crisi e il calo dei consumi, sarà difficile maggiorare i listini”.

Ecco come cambia il mercato delle materie prime: tendenze nel settore del caffè

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speculazione mercato caffè
Chicchi di caffè torrefatto

MILANO – I drastici rialzi dei prezzi del caffè intervenuti a partire dalla scorsa primavera sono stati al centro di una riunione a invito svoltasi a fine gennaio all’Hotel Westin Palace di Milano, organizzata dalla sede italiana della Olam, con Corrado Russomando, specialista mondiale della catena di approvvigionamento del caffè.

Torniamo su questo incontro, di cui abbiamo riferito nei numeri del mese scorso, con una sintesi delle considerazioni più significative da esso emerse, sulla base di un report riepilogativo che Olam ci ha fornito in esclusiva.

Dopo alcune considerazioni introduttive relative all’andamento generale delle materie prime, le disamine degli specialisti sono passate a focalizzare l’argomento caffè.

I prezzi del caffè: numeri alla mano

Prima considerazione emersa dalle analisi: il livello bassissimo delle scorte, ai minimi storici quelle dei paesi produttori (vedi anche le dichiarazioni del direttore esecutivo Ico José Sette riportate nel numero di ieri, ndr.), anche per il forte incremento dei consumi interni, specie del Brasile, che si avvia a diventare anche il primo paese consumatore mondiale.

I mercati tradizionali presentano una sostanziale maturità cui fa riscontro la vivacità dei nuovi mercati. Anche gli stock dei paesi importatori si stanno assottigliando complicando ulteriormente l’equazione dell’approvvigionamento globale.

In un simile contesto, il mercato diventa particolarmente vulnerabile ai rischi climatici, in particolare quelli riconducibili all’attuale fenomeno La Niña, che non dovrebbe esaurirsi prima di giugno. La fase negativa dell’Enso (El Niño/La Niña-Southern Oscillation) potrebbe produrre ancora instabilità climatica in Brasile (anomalie nella distribuzione delle precipitazioni) e incidere sulla stagione degli uragani tropicali nei Caraibi e America centrale, regione chiave per quanto riguarda la produzione di arabica di alta qualità.

Il produttore più pesantemente penalizzato negli ultimi anni dall’andamento climatico è certamente la Colombia. Nel 2008/09 ha subito un calo di raccolto del 30% causato dall’eccesso di precipitazioni. Nel 2009/10 è subentrato un periodo di siccità che ha inibito la ripresa produttiva.

Nell’ultima parte del 2010, La Niña ha portato piogge diluviali senza precedenti nella storia recente del paese, che hanno provocato inondazioni, smottamenti e interruzioni delle comunicazioni.

Il raccolto principale

La situazione appare migliorata nelle ultime settimane e la federazione nazionale dei produttori di caffè si è dichiarata un po’ più ottimista per quanto riguarda il possibili esito del raccolto principale. Rimane comunque un forte scetticismo quanto alla possibilità che la Colombia possa tornare in tempi brevi a una produzione media attorno agli 11-12 milioni di sacchi.

In realtà, i forti cali produttivi degli ultimi anni non sono imputabili soltanto al clima, ma anche ai problemi finanziari e strutturali del comparto (minori contributi pubblici, costi in crescita, invecchiamento della popolazione agricola), nonché alla mancanza di misure efficaci di controllo e prevenzione delle avversità (in particolare della ruggine del caffè).

Domanda e offerta

La produzione mondiale di caffè ha registrato un trend di crescita negli ultimi 15 anni, ma in modo non uniforme sul piano geografico. Gli incrementi più sensibili si sono avuti, a partire dagli anni duemila, in Brasile, dove si sono registrati massimi storici sia nelle fasi positive che in quelle negative del ciclo biennale.

Quali i fattori hanno che contribuito maggiormente a una simile ascesa? Innanzitutto la morfologia relativamente pianeggiante delle regioni di produzione, che ha favorito una crescente meccanizzazione, unita all’applicazione intensiva di fertilizzanti e altri prodotti agro-chimici.

Tale evoluzione ha ridotto l’impatto della maggiore onerosità della manodopera consentendo al comparto brasiliano di mantenere una struttura di costo più competitiva rispetto a molti altri paesi produttori.

Il fattore climatico

Nel corso degli anni, il clima è stato perlopiù favorevole: praticamente assente il rischio gelate (anche perché le zone maggiormente esposte sono state da tempo abbandonate, ndr.), mentre il regime delle precipitazioni, anche quando è stato sfavorevole (ritardato inizio della stagione delle piogge, precipitazioni durante il periodo di raccolta, ecc.), non ha avuto un impatto significativo sulle rese.

Grazie a una produzione abbondante a prezzi competitivi, il Brasile ha consolidato la propria leadership diventando determinante per gli equilibri del mercato globale, soprattutto per gli arabica. È andata di pari passa la forte crescita dei consumi interni, che secondo l’Abic potrebbero superare i 20 milioni di sacchi nel 2010, favorita dal miglioramento del tenore di vita.

L’industria brasiliana assorbe volumi sempre maggiori di materia prima e rosicchia all’export quote crescenti anche delle produzioni di migliore qualità. Allo stesso modo in cui il mercato degli arabica è diventato sempre più dipendente dal Brasile, quello dei robusta ha accresciuto la sua dipendenza nei confronti del Vietnam.

Il paese indocinese è emerso dalla metà degli anni novanta assumendo un ruolo dominante a partire dalla prima metà degli anni zero. Come il Brasile, anche il Vietnam ha potuto contare nell’arco di questo periodo su condizioni ambientali favorevoli e su una struttura dei costi particolarmente competitiva.

Fatta eccezione per il 2002/03, anch’esso non ha risentito di andamenti climatici negativi. A differenza del Brasile, però, ha registrato negli ultimi anni una sostanziale stagnazione dei livelli produttivi (ancorché su livelli elevati) e gli investimenti attuali sono rivolti più all’elevamento della qualità o (dove le condizioni pedoclimatiche lo consentono) allo sviluppo degli arabica.

Il mercato del caffè

L’industria vietnamita del caffè si è professionalizzato e poggia oggi su basi solide, che dovrebbero consentirle anche in futuro di continuare a rifornire con regolarità e costanza il mercato mondiale.

Gli altri produttori asiatici di robusta hanno beneficiato inizialmente del traino del Vietnam, ma a partire dal 2001/02 è subentrato un declino che ha caratterizzato quasi tutto il decennio, invertitosi parzialmente soltanto negli ultimi anni (complice la già citata stagnazione produttiva del Vietnam).

La concorrenza del Vietnam si è fatta sentire ancora di più in Africa, dove la produzione di robusta è scesa drasticamente a causa dei disordini in Costa d’Avorio, ma anche dei problemi strutturali e dell’instabilità politica che hanno interessato molti altri paesi mettendo in dubbio la possibilità di una reale ripresa produttiva.

Sostenibilità

I problemi di sostenibilità sono ancora maggiori nei paesi produttori di arabica lavati. I vantaggi competitivi dal Brasile negli arabica e la crescente accettazione dei caffè brasiliani nei paesi consumatori hanno portato a una forte flessione nella produzione di caffè lavati.

Le difficoltà strutturali descritte per quanto riguarda la Colombia sono simili, per molti versi, a quelle già attraversate dagli altri produttori latinoamericani di caffè lavati, in complessivo declino dopo aver raggiunto il loro massimo potenziale produttivo nei tardi anni novanta.

Messico e America centrale, in particolare, hanno risentito del maggior costo del lavoro, della minore disponibilità di manodopera e dell’invecchiamento della popolazione nelle campagne, causato dall’esodo rurale, mentre l’espansione urbana e la pressione antropica hanno ridotto l’estensione delle aree coltivabili.

Le difficoltà di mercato unite, ancora una volta, all’instabilità politica hanno indotto una flessione anche tra i produttori di arabica lavati dell’Africa, la cui produzione è comunque prevista in ripresa quest’anno, principalmente per merito dell’Etiopia.

L’unica area in decisa controtendenza è quella asiatica, dove l’interesse per i caffè arabica si è tradotto in un forte incremento della produzione, principalmente in Indonesia e Vietnam. In conclusione A fronte di una domanda mondiale in crescita e di una produzione stagnante o in declino in molti paesi, il Brasile si è accollato quote crescenti del mercato globale, specie in tempi recenti.

Ciò ha portato a un progressivo assottigliarsi delle scorte dei paesi produttori, ampiamente sotto i livelli di guardia.

Le stime dei consumi interni

Le stime (non sempre agevoli e per forza di cose approssimate) dei consumi interni nei paesi produttori attestano una crescita complessiva nell’ordine dei 10 milioni di sacchi nell’arco del decennio appena trascorso, da poco meno di 25 milioni nel 1999/00 a un po’ più di 35 milioni di sacchi nel 2009/10, pari a una crescita annua del 3-4%.

Il trend potrebbe subire quest’anno un parziale indebolimento per effetto degli aumenti di prezzo. Le stime sui consumi apparenti nei paesi importatori rivelano come trend di fondo una forte crescita della share degli arabica naturali a scapito dei caffè lavati.

È interessante osservare come la quota dei Robusta sia rimasta relativamente costante a fronte della variabilità dei prezzi degli Arabica rispetto a quelli dei Robusta. Clmbn Mild Other Mild Total Mild Natural Arabica Robusta 1999/00 13.0% 30.0% 42.9% 21.2% 35.8% 2000/01 12.7% 27.5% 40.2% 22.3% 37.5% 2001/02 13.4% 25.9% 39.4% 25.3% 35.3% 2002/03 13.4% 22.9% 36.3% 28.1% 35.6% 2003/04 13.1% 24.4% 37.5% 27.7% 34.8% 2004/05 13.3% 23.2% 36.5% 28.9% 34.5% 2005/06 13.5% 25.4% 38.9% 26.7% 34.4% 2006/07 12.8% 22.7% 35.6% 27.2% 37.2% 2007/08 14.3% 24.9% 39.2% 27.2% 33.6% 2008/09 11.8% 25.4% 37.2% 30.4% 32.4% 2009/10 8.6% 25.6% 34.1% 29.8% 36.1% 2010/11 9.5% 24.5% 34.0% 31.8% 34.2%

Affinando le statistiche sui consumi apparenti è possibile giungere alla stima sui consumi effettivi dei paesi consumatori sotto rappresentata. I consumi effettivi sarebbero cresciuti da poco meno di 82 milioni di sacchi nel 1999/00 a poco più di 97 milioni nel 2009/10, pari a un tasso medio di incremento annuo dell’1,75%.

Incentivi e crescita della domanda

Rimane da vedere se tale trend risentirà o meno delle attuali condizioni di mercato. La storia insegna comunque che il caffè è un prodotto a domanda sostanzialmente anelastica, per cui il ritmo di crescita non dovrebbe subire rallentamenti significativi.

In conclusione dipendere esclusivamente dal Brasile per far fronte alla crescita della domanda sarà più difficile (e rischioso) e il mercato dovrà continuare a fornire incentivi agli altri paesi esportatori, affinché intensifichino gli investimenti nella produzione di caffè. A breve, con il Brasile in anno negativo, le scorte rimarranno probabilmente vicine ai minimi storici e appare dunque improbabile che i prezzi possano registrare cali prolungati.

Nel comparto delle comparto delle commodity si riversa un flusso di denaro sempre più consistente: dai 90 miliardi di dollari del 2002, a 230 miliardi nel 2007 sino ai 340 del 2010 (di cui oltre 200 in index fund). Quanto viene investito nel caffè? Il Commitment of Traders report dell’Ice Future US del 4 gennaio 2011 dava i non-commercial long di 34.954 e gli Index traders di 55.023, per un totale di 89.977 lotti da 37.500 libbre, pari a oltre 25 milioni e mezzo di sacchi. Più difficili i calcoli a Londra mancando uno strumento come il Cot.

È stimabile una posizione massima di 70.000 lotti, pari a 700.000 tonnellate. Tra gli indici delle commodity, il S&P Gsci ha guadagnato il 13,5% nel 2009 e perso il 2,6% circa nel 2010.

Il Dow Jones-Ubs Commodity Index è salito del 18,9% nel 2009 e del 4,9% nel 2010. Il Reuters/Jefferies del 23,6% nel 2009 e del 6% nel 2010. Quali le prospettive per il prossimo futuro? Decisamente costruttive.

I temi di investimento

Tra i temi di investimento proposti: la diversificazione dei portafogli tradizionali, l’industrializzazione rampante dei Bric (Brasile, Russia, India, Cina), la ripresa economica globale, la crescita della popolazione, l’urbanizzazione e la crescita del ceto medio, la carenza di terre agricole, i timori inflazionistici e la svalutazione delle valute in termini reali legata alle misure di agevolazione quantitativa. Tutti fattori che inducono a scommettere un andamento bullish per l’assieme delle materie prime.

Gianfranco Brumen sulle capsule additivate: “Sbagliato dire siano biodegradabili”

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Capsule di caffè (immagine: Pixabay)

MILANO – Gianfranco Brumen ci ha mandato questa sua ulteriore precisazione dopo aver letto la risposta del tecnico di Tazza d’Oro sull’argomento della sostenibilità delle capsule additivate. Chi volesse intervenire sull’argomento può inviare le proprie opinioni a info@comunicaffe.com.

La risposta di Gianfranco Brumen

“Ho apprezzato l’approfondita spiegazione tecnico-giuridica del signor Broglio, adatta per gli specialisti del settore, e con cui concordo, ma rimane sempre il problema sollevato dal comune di Capannori: la diversità dei tempi di biodegradabilità delle capsule in plastica additivata e del rifiuto umido.

Infatti per le capsule in plastica additivata ci vogliono dei tempi di circa 3-5 anni (cfr. nota tecnica Caffè Meseta), mentre l’umido deve essere biodegradabile al 90% in 180 giorni per soddisfare il protocollo UNI EN 13432:2002.

Precisamente le plastiche additivate non sono ancora considerate compostabili in quanto la normativa italiana attualmente in vigore (DLgs 03/04/2006 n.153 e DM del 02/05/2006) impedisce lo smaltimento nell’organico destinato al compostaggio di qualsivoglia rifiuto che non superi il protocollo sopra citato.

Il mio intervento era volto a far comprendere a tutti che la capsula biodegradabile non è smaltibile nell’umido, e purtroppo, in carenza di normativa, deve essere smaltita nell’indifferenziato, anche se poi in discarica o in eventuali impianti di compostaggio particolari, comporterà dei vantaggi per l’ambiente biodegradandosi in circa 3-5 anni contro la persistenza delle plastiche normali non additivate che in alcuni casi è calcolata fino a un migliaio di anni.”

Chi è Gianfranco Brumen, Coffee technology senior consultant

Gianfranco Brumen, laureato in chimica, con ultratrentennale esperienza aziendale, è stato dirigente responsabile qualità in illycaffè, sviluppando il Sistema Qualità aziendale e coordinando e mantenendo le certificazioni di prodotto, di qualità ed ambientale.

Oltre che profondo conoscitore della materia prima e dei relativi processi, ha curato anche la parte tecnico-normativa. Attualmente opera come consulente nel settore del caffè ed è perito iscritto alla Camera di Commercio di Trieste sempre per il medesimo settore. Ha operato anche come consulente tecnico sia per il tribunale che come perito di parte.

In Costa d’Avorio un San Valentino senza cacao: il divieto di Alassane Ouattara

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costa avorio cacao abidjan
La bandiera della Costa d'Avorio

Alassane Ouattara, il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale della Costa d’Avorio, ha vietato l’esportazione di cacao per costringere il suo rivale Laurent Gbagbo a lasciare il potere creando gravi disagi. Leggiamo di seguito l’articolo pubblicato sul portale d’informazione Rinascita.

Il divieto di esportazione di cacao in Costa d’Avorio

MILANO – È da poco passato San Valentino, per alcuni la festa dell’amore, per molti quella del cioccolato. E chi dice cioccolato dice Costa d’Avorio, il primo produttore di cacao al mondo. Ma non è stato un dolce San Valentino per il Paese africano chiuso nella morsa di una crisi politica che sta soffocando l’economia ivoriana.

Il divieto di esportazione di cacao, imposto da Alassane Ouattara, il presidente riconosciuto dalla comunità internazionale, per costringere il suo rivale Laurent Gbagbo a lasciare il potere, ha creato gravi disagi: le riserve di fave, ferme nei porti, sta facendo salire il prezzo di vendita sui mercati mondiali.

E se si pensa che le produzioni di cacao e caffè contribuiscono al 40% delle entrate derivanti dalle esportazioni e al 20% del prodotto interno lordo, si comprende bene che il divieto, in vigore fino al 23 febbraio, ha paralizzato l’economia del Paese.

Un veto che potrebbe essere prorogato. In un’intervista concessa al Financial Times, Ouattara ha affermato di voler continuare a far leva sulle sanzioni economiche per costringere Gbagbo a rinunciare alla presidenza.

È stato un San Valentino amaro anche per il presidente uscente che dopo il furto di 12 milioni di euro alla Banca centrale dei Paesi dell’Africa Occidentale (Bceao), si ritrova al verde, non potendo più contare sulle esportazioni di caffè e cacao e soprattutto sulle banche, che nei giorni scorsi hanno sospeso tutte le attività. Ma Gbagbo non demorde e spara gli ultimi proiettili di una cartucciera ormai scarica.

I suoi avvocati hanno querelato la Corte di giustizia della Comunità economica dell’Africa occidentale (Cedeao) per aver proclamato Ouattara vincitore delle elezioni presidenziali del novembre scorso. Secondo i legali del presidente, la Cedeao “ha valicato i limiti che hanno portato alla sua costituzione, che ha per unico scopo la gestione e l’integrazione economica dei paesi della regione”.

Lo scontro

L’accusa sostiene inoltre che “ogni paese africano è sottomesso agli impegni dell’Onu e dell’Unione Africana che prevede e specifica la sovranità di ciascun Paese entro le sue frontiere”. Immediata la reazione di Ouattara che ha ricordato come “il mandato di Gabbo è scaduto nell’ottobre del 2005 ed è solo grazie ad accordi internazionali e alla Cedeao che è rimasto al potere fino al ad ora”.

Insomma, il braccio di ferro tra Ouattara e Gbagbo continua con scambi di accuse e di misure restrittive, che tirano in ballo anche Paesi esterni alla questione ivoriana. In un comunicato letto all’emittente televisiva alla Rti, il presidente uscente ha denunciato “l’ingerenza grave e inammissibile” dell’ambasciatore Usa ad Abidjan, Philipp Carter, negli affari interni ivoriani.

Di recente, il diplomatico ha dichiarato che a breve l’esercito interromperà il suo sostegno a favore di Gbagbo, prevedendo “un’uscita di scena pacifica e onorevole” per il capo di Stato. Intanto, prosegue nel silenzio più totale la missione dei cinque presidenti di Burkina Faso, Ciad, Sudafrica, Tanzania e Mauritania, scelti dell’Unione Africana per trovare una soluzione alla crisi, che il 20 febbraio si riuniranno a Nouakchott per prendere decisioni “vincolanti”. Non tace invece la Comunità economica dei paesi dell’Africa occidentale che ha duramente criticato le “soluzioni di compromesso” proposte da alcuni Paesi africani, come il Sudafrica, al presidente Gbagbo.

“Nel caso in cui Gbgabo dovesse rifiutare di lasciare il potere, allora la Cedeao farà ricorso ad altre misure, compreso l’uso legittimo della forza” ha sostenuto il presidente della Commissione Cedeao, James Victor Gbeho, chiedendo “posizioni coerenti” da parte di tutti i Paesi africani.