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Tribunale civile conferma lo stop alla vendita delle capsule Nespresso-compatibili di Ethical Coffee Company

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MILANO – Nuovo stop alla vendita delle capsule Nespresso-compatibili di Ethical Coffee Company (Ecc) sul mercato svizzero. La corte civile del tribunale del cantone di Vaud (Losanna) ha infatti rinnovato l’ordinanza provvisoria, emessa a fine settembre su richiesta di Nespresso, che dispone il divieto di vendita delle capsule di Ecc nei punti vendita dei magazzini di elettronica Media Markt e Saturn.

Confermato lo stop per Ethical Coffee Company

Ciò ha impedito a Ecc di reintrodurre le capsule sin da inizio gennaio, come originariamente in programma. Per ottenere il provvedimento, la multinazionale svizzera ha dovuto depositare la bellezza di 2 milioni di franchi svizzeri (circa 1,65 milioni di euro) quale garanzia a copertura dell’eventuale pagamento a Ecc di danni e interessi risultanti dalla misura provvisoria: una somma “nella norma per questo tipo di casi” hanno tenuto a precisare in casa Nespresso.

Ora la filiale di Nestlé ha tempo sino al 26 febbraio per depositare una domanda sul merito, come il suo team legale si accinge effettivamente a fare utilizzando tutti gli strumenti giudiziari disponibili allo scopo di “tutelare i diritti di proprietà intellettuale”.

Ecc ha dichiarato in un comunicato di prendere “atto della decisione del tribunale cantonale del Vaud di mantenere in vigore la misura superprovvisionale e proibire la commercializzazione in Svizzera delle capsule Ecc in tutti i punti vendita di Media Markt”. L’azienda eccepisce tuttavia sul provvedimento definendolo “a dir poco sorprendente”.

“Eravamo persuasi che l’instaurazione di una libera concorrenza sul mercato delle capsule di caffè in Svizzera necessitasse di un impegno permanente allo scopo di spezzare il monopolio di fatto di Nestlé e Nespresso” afferma ancora Ecc, che annuncia di voler proseguire la propria battaglia “ricorrendo contro la decisione presso il tribunale federale”, la più alta autorità giudiziaria elvetica.

La decisione della corte di Losanna diverge da quella adottata dal tribunale commerciale di San Gallo che, nell’agosto 2011, dopo una lunga diatriba giudiziaria, ha riammesso provvisoriamente la vendita delle capsule compatibili prodotte dalla Alice Allison di Grono (GR), distribuite dalla catena di discount Denner, del gruppo Migros. Anche in questa vertenza è pendente un giudizio sul merito.

La commercializzazione delle capsule

Le vicende giudiziarie in terra elvetica non rallentano i progetti di Ecc, il cui stabilimento – sito a Ville-la-Grand, nel dipartimento francese dell’Alta Savoia, non lontano dal confine svizzero – si sta avviando alla piena produzione, tanto che si pensa sin d’ora alla costruzione di una nuova fabbrica, due volte più grande, che sorgerebbe in un sito, non lontano dal primo, già individuato dalla società.

“Vorrei realizzare un progetto in Svizzera – ha dichiarato il patron Jean-Paul Gaillard – ma il rischio chiusura in ragione della battaglia legale in atto con Nestlé/Nespresso è troppo grande”. Intanto, le cifre fornite da Ecc parlano di una produzione di 300 milioni di capsule l’anno trascorso: “il nostro cash-flow è positivo” dichiara Gaillard, che può contare sul sostegno finanziario di importanti gruppi di Private Equity internazionali.

Oltre che in Francia, Ecc ha già avviato la commercializzazione delle sue capsule biodegradabili in Germania, Austria e Olanda e sta pianificando lo sbarco in Italia, Spagna e Portogallo. A fine anno Ecc ha annunciato intanto il lancio di una gamma con cinque nuove miscele per il mercato francese, dove Ecc commercializza i suoi prodotti sotto le varie insegne del gruppo Casino (Casino, Monoprix, Franprix, Leader Price, Spar, Sherpa, Cdiscount, ecc.).

Il tutto ha fatto l’oggetto di un comunicato stampa, nel quale la società franco-svizzera annuncia anche di avere apportato delle migliorie alle capsule e alla loro forma, frutto di un lavoro di ricerca e sviluppo, che consentono di “eludere” gli “ostacoli” che, secondo Ecc, Nestlé/Nespresso avrebbe frapposto nelle macchine di nuova fabbricazione per complicare l’utilizzo di capsule non originali. Anche le nuove capsule sono biodegradabili e certificate secondo la norma europea EN13432.

Caffè Propaganda: aperto il bistrot nella capitale

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città nostra roma caffè propaganda
Il Colosseo di Roma

ROMA – È aperto nella capitale, all’ombra del Colosseo, il nuovo Caffè Propaganda è la versione glamour del classico bistrot. Mescola influenze parigine e tradizione culinaria romana per offrire un intrattenimento a 360°, dalla tarda colazione alla cena passando per il tè e l’aperitivo goloso. Accuratamente studiato l’allestimento dei locali, che si presentano con alti soffitti a volta e pareti ricoperte da piastrelle bianche firmate Etruria Design, azienda nota per aver riportato in vita il rivestimento novecentesco delle stazioni della metropolitana di Parigi.

Caffè Propaganda: facciamo una visita virtuale

Il lungo bancone bar in zinco e rovere collocato all’ingresso e gli antichi lampadari chandelier recuperati da un vecchio hotel del sud della Francia completano l’atmosfera, piacevolmente accogliente LA SCHEDA Roma – Via Claudia, 15/19 (Colosseo) – Tel. 06.94534255 Aperto tutti giorni dalle 12,00 alle 01,00 Domenica: dalle ore 12,00 family brunch – chiuso la sera Per vedere le immagini del nuovo locale: http://blog.atcasa.corriere.it/tendenze/2012/01/10/caffe-propaganda-roma-via-claudia-bistrot/

Ravenna: Giorgio Napolitano si dimentica di pagare il caffè

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Bar caffetteria caffè macinato mercato cinese Cina caffetterie a marchio
Caffè macinato prima dell'uso in una caffetteria (Foto di Elias Shariff Falla Mardini da Pixabay)

RAVENNA – Il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha deciso di prendere un caffè a Ravenna in un bar di piazza del Popolo durante la visita in città avvenuta un anno fa. Il presidente era stato accompagnato dalla scorta e dagli agenti di polizia, eppure nessuno di loro si è ricordato di pagare il caffè dopo il consumo. Riportiamo di seguito l’articolo pubblicato sul portale Ravenna e Dintorni.

Il caffè del presidente a Ravenna

RAVENNA – “Prendiamoci un caffè”. Disse così il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano in uno degli spostamenti a piedi durante la visita in città un anno fa (8 gennaio 2011). E andarono tutti in un bar di piazza del Popolo per il caffè presidenziale. Napolitano, la scorta, gli agenti della polizia. Tutti.

Non dopo aver controllato che il locale fosse a posto (un tizio che lamentava la mancata visita del presidente a Cesena venne educatamente accompagnato all’esterno). Un buon caffè ci stava. Ma si sa quanta fretta abbiano i capi di Stato. Ed è successo: nessuno si è ricordato di pagare il caffè.

E il proprietario del bar c’è rimasto male. Perché avrebbe aspettato che qualcuno si fosse avvicinato alla cassa e avrebbe detto: “No, il caffè del presidente lo offro io ci mancherebbe”.

Invece nessuno è andato a pagare. Ecco presidente, non è che potrebbe passare a pagare quel caffè? Così, giusto per farselo offrire dal proprietario del bar.

Carlo Caldi, fondatore di Girmi si è spento a 94 anni a Omegna

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Carlo Caldi fondatore Girmi
Carlo Caldi fondatore Girmi

LUTTI – Si è spento Carlo Caldi, fondatore di Girmi A lui si devono i primi frullatori costruiti in Italia dal 1950 MILANO – È morto ieri a Omegna (Verbania), suo paese di origine, Carlo Caldi, il fondatore di Girmi. L’imprenditore aveva 94 anni.

Girmi
Uno dei primi macinini per il caffè della Girmi

A lui si deve la produzione e la commercializzazione in Italia dei primi frullatori e macinacaffè elettrici e la nascita del marchio Girmi (acronimo di Girare e Miscelare), che oggi fa parte del gruppo Bialetti. Caldi, proprietario di una piccola fabbrica specializzata nella costruzione di strumenti per parrucchieri ereditata dal padre nel dopoguerra, aveva visto i primi miscelatori in occasione del viaggio di nozze negli Stati Uniti, dedicando poi la sua azienda, a partire dal 1950, alla produzione di piccoli elettrodomestici.

Girmi
Logo Girmi

Hospitality world con FieraMilano a Mumbai

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MILANO – Hospitality World. India, paese dai mille volti e sfaccettature, affascinante e misterioso, dalla millenaria cultura e dalle radicate tradizioni. Ma non solo. In questo ultimo decennio, l’India si è rivelato come un mercato in rapida evoluzione con ampie prospettive di sviluppo. Un mercato emergente che offre per diversi settori ed in particolare per il settore alimentare e dell’ospitalità concrete opportunità.

Hospitality world, alcuni dati sull’India

Solo alcune cifre per delineare il profilo di questa evoluzione: • 80 milioni di persone hanno un elevatissimo potere d’acquisto • La popolazione indiana spende in media il 57% del reddito familiare in acquisti legati al food e all’ospitalità ed è oggi sempre più propensa al consumo di prodotti alimentari stranieri • Nel settore alimentare la crescita delle vendite in India nei primi sette mesi dell’anno è risultata superiore rispetto a quelle dirette verso il resto del Mondo (+24,5% contro +10%). • Il settore delle forniture per hotel e ristoranti in India ha un valore di 11 miliardi di dollari e avrà una crescita pari al 48% nei prossimi due anni • Il Ministero del turismo ha approvato 781 nuovi progetti alberghieri in tutta l’India Tutte queste cifre ci confermano che oggi l’India rappresenta un ottimo investimento per il futuro, un’opportunità che le nostre realtà produttive devono cercare di cogliere a pieno. Affrontare questo mercato è però un processo complesso.

La strategia vincente per fare affari su questo attraente mercato non può mancare di un’attenta ricerca di partner commerciali con cui iniziare ad intessere rapporti. Avere dei corretti punti di riferimento rappresenta un elemento cruciale per il successo ed è determinante per non perdersi nei meandri della burocrazia e nelle complesse prassi indiane riguardanti il commercio e le importazioni.

In questo fertile contesto, Fiera Milano, leader mondiale nel settore fieristico

Grazie alla sua consolidata esperienza e ai suoi capillari contatti internazionali specializzati nei vari comparti, ha messo a punto un importante progetto fieristico Food Hospitality world in programma dal 19 al 21 gennaio 2012 a Mumbai e che successivamente farà tappa anche a Bangalore dal 21 al 23 giugno, 2012. Una grande opportunità per le aziende che avranno la possibilità di incontrare selezionati operatori locali ed internazionali e, al tempo stesso, un’occasione unica per poter consolidare la propria presenza su questo mercato emergente. Due marchi dal successo internazionalmente riconosciuto, Tuttofood e Host, che si pongono a garanzia dell’iniziativa.

E con essi, l’expertise di Fiera Milano che si unisce all’esperienza e alla professionalità dei partner locali. Il punto di forza di questo progetto è infatti, grazie alla collaborazione con prestigiosi e specializzati partner locali, l’articolato piano visitatori che prevede l’identificazione e l’accurata selezione degli operatori indiani che offrirà alle aziende italiane ed internazionali un programma di incontri personalizzato per cogliere tutte le opportunità offerte da questo mercato ed incontrare i partner più qualificati. Le iscrizioni sono quasi completate ed il settore del caffè sarà rappresentato da un gruppo di qualificate aziende italiane.

Hospitality world: parteciperanno

Caffè Carraro S.p.A., Caffè Gloria S.pA., Caffè l’Antico, Cosmai Coffee Group S.r.l. Anche per l’industria del caffè, l’India rappresenta sicuramente un mercato molto promettente ed i dati seguenti lo testimoniano: • In India ci sono più di 1.500 coffee cafes: di questi circa 1.000 hanno aperto negli ultimi 5 anni (secondo quanto dichiarato dalla società di ricerca e consulenza Technopak Advisors) • Il mercato organizzato del caffè è valutato 185 milioni di dollari e si stima che potrà crescere del 25% l’anno. • I marchi nazionali quali Café Coffee Day e Barista hanno avuto un successo fenomenale e la loro esperienza è stata seguita da altre società quali: Coffee Bean & Tea Leaf, The Chocolate Room, Qwiky’s e Café Nescafe Hindustan Unilever, la società indiana di Unilever, ha aperto come test 4 punti vendita Bru World Cafè a Mumbai. • Brand internazionali del settore come Costa Coffee (Regno Unito) e Gloria Jean (Australia) stanno entrando nel mercato indiano • Starbucks è in trattativa con Tata Coffee, il principale produttore indiano di caffè. Tata Coffee diventerà uno dei fornitori di Starbucks e apriranno punti vendita in partnership. • La Coffee Board of India, ente dipendente dal Ministero del Commercio e dell’Industria, è stata istituita con lo scopo di focalizzarsi sulla ricerca, lo sviluppo, la qualità e il mercato del caffè e la promozione del prodotto sia in India che all’estero. La Coffee Board of India gestisce inoltre 12 società del caffè. Per avere maggiori informazioni sul progetto di Fiera Milano FHW India, contattare Claudia Veneziani. Tel. 02 4997 6793 E-mail: claudia.veneziani@fieramilano.it

Eric Favre, primo amministratore delegato di Nespresso, punta al tè con Tpresso

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nespresso Eric Favre capsule
Logo Nespresso

MILANO – Il prodotto porzionato, mo siano ad ora soltanto caffè, è al centro delle cronache sia sul fronte commerciale sia su quello della ricerca. E di certo è il progresso ogni anno a due cifre e senza interruzione che ha convinto Eric Favre a puntare sul tè. Favre è uno specialista del settore capsule dato che fu il primo amministratore delegato di Nespresso e tra gli inventori delle capsule con lo stesso nome.

La scommessa di Eric Favre

Oggi Favre lo troviamo titolare della Monodor, la società che ha annunciato nelle ultime ore di essere pronta a passare al té. Per la prossima presentazione è stata scelta Pechino, capitale del Paese maggiore produttore e consumatore di tè.

Le nuove monodosi hanno perciò già un nome: Tpresso. Favre prima di fondare nel 1991 la Monodor è stato, dal 1986 il primo amministratore delegato della Nespresso, la società fondata dalla Nestlé per lanciare le sue capsule in alluminio e le omonime cialde in polistratificato per l’uso professionale.

Oggi Monodor ha più di 400 dipendenti e commercializza più di 500 milioni di capsule in tutto il mondo, in Italia attraverso la Lavazza e in Svizzera attraverso la catena di supermercati Migros. Infine è da notare che nel maggio scorso la stessa Nestlè ha presentato un nuovo sistema di macchine da the per le cialde.

Ghana: gli svizzeri aprono nuove vie per il cacao e il commercio equo

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filiera del cacao Perù ghana ue
Fave di cacao

MILANO – Il Ghana è il più importante fornitore dell’industria svizzera del cioccolato. Il futuro però è incerto: tra i coltivatori mancano i giovani e molte piante andrebbero sostituite. Un progetto svizzero Ghanese apre nuove prospettive. «Il commercio equo», afferma Yayra Glover col sorriso, «comincia nella bilancia». Ci troviamo ad Ateibu, un villaggio discosto situato nel Ghana orientale, una delle principali zone di produzione di cacao al mondo. Incontriamo Glover in un capannone con il tetto in lamiera. Qui la sua ditta acquista il raccolto dei contadini dei dintorni.

Ghana e cacao: un connubio che interessa la Svizzera

Nell’aria si sente l’odore acidulo dei frutti di cacao fermentati. Lungo le pareti sono ammassati dei sacchi e al centro della scena c’è lei, una bilancia industriale blu. Grazie a delle pietre tarate, i contadini possono appurare che la bilancia non è stata manipolata, come invece spesso accade nel commercio del cacao. Yayra Glover ha un’idea precisa del tipo d’imprenditore che vuole essere. Ha vissuto più di 20 anni in Svizzera, dove ha studiato diritto e politologia. Quattro anni fa è ritornato nel suo paese per impegnarsi a favore di una coltivazione del cacao sostenibile.

Guadagni «Mostriamo ai contadini in che modo possono trasformare la coltivazione del cacao in un’attività redditizia», afferma il 46enne Glover

«Ma prima di tutto spieghiamo loro che possono essere fieri del loro cacao». In fin dei conti, proprio per questo cacao in Svizzera ci sono acquirenti disposti a pagare prezzi ben superiori a quelli praticati sul mercato mondiale. «La condizione è che non si sfrutti il lavoro dei bambini nelle piantagioni e che non vengano impiegati pesticidi chimici». Già oggi, la Yayra Glover Ldt. collabora con 2500 contadini che producono in modo biologico e certificato. Il loro numero continua ad aumentare.

I compratori per il cacao biologico e socialmente sostenibile non mancano

«Veniamo contattati in continuazione da commercianti che cercano fave di cacao di questo tipo», racconta Balz Strasser, direttore della Pakka, partner svizzero di Glover. Il giovane imprenditore zurighese è specializzato nello sviluppo di progetti bio e fairtrade nel sud del mondo. Tratta prodotti come le noci, la frutta secca e – appunto – le fave di cacao. «Per i produttori dei paesi del sud è molto difficile riuscire a prendere piede da soli nei mercati europei. Noi li aiutiamo e creiamo le necessarie reti di distribuzione», spiega Strasser.

Fave con certificato d’origine dal Ghana

Il progetto svizzero ghanese per la coltivazione di cacao biologico sarà esteso prossimamente nelle regioni sudoccidentali del paese africano. L’espansione geografica è possibile grazie al sostegno della Segreteria di stato dell’economia (Seco). Una delle chiavi del successo della Glover è la totale rintracciabilità del cacao. Il sistema funziona così: dapprima i collaboratori di Yayra Glover misurano le parcelle dei contadini con l’aiuto di un apparecchio GPS.

Grazie a questi dati è possibile stimare l’entità del raccolto ed evitare che del cacao proveniente da altre piantagioni venga venduto sotto falso nome. In seguito, si registrano tutti i carichi di cacao portati dai contadini. Su ogni sacco che lascia un punto di raccolta della Glover viene scritto un codice con del colore nero. Semplice, ma efficace. «In Ghana non c’è nessun altro in grado di certificare con altrettanta precisione la provenienza del cacao», racconta Balz Strasser.

Per i produttori di cioccolato è sempre più importante sapere da dove viene e in che condizioni è stata prodotta la materia prima che acquistano

Negli ultimi anni sono stati criticati da diverse organizzazioni non governative, in particolare per quanto riguarda lo sfruttamento dei bambini nelle piantagioni. E molti consumatori vogliono essere sicuri di non portare alla bocca un cioccolato dal retrogusto amaro. Vecchi contadini, vecchie piante I produttori di cioccolato sono inoltre preoccupati per il futuro della coltivazione del cacao.

A livello mondiale, la domanda cresce, ma la produzione non poggia su buone basi.

In molte regioni – non solo nel Ghana orientale – le piante di cacao sono ormai molto vecchie e i raccolti sempre meno abbondanti

C’è poi un problema di ricambio generazionale. L’età media dei coltivatori ghanesi di cacao è 55 anni, in un paese in cui l’aspettativa di vita è di appena tre anni superiore. In queste condizioni, non stupisce che l’industria del cioccolato cerchi sempre più spesso un contatto diretto con i produttori di materia prima. Contro il lavoro minorile Ad Ateibu, il villaggio dei coltivatori di cacao biologico, la scuola elementare si trova poco distante dal capannone in cui i contadini vendono il prodotto del loro lavoro. Lydia Baffour Awuah, una collaboratrice della Glover, visita spesso la scuola e tematizza il lavoro minorile.

In Ghana – racconta la giovane agronoma – non esistono le peggiori forme di sfruttamento, non c’è una tratta di piccoli schiavi. Bisogna però spiegare che è proibita qualsiasi attività lavorativa che ostacola lo sviluppo dei minori. I bambini devono andare a scuola regolarmente e non possono svolgere lavori gravosi.

«Ci vuole molta sensibilità quando si affronta il tema del lavoro minorile», racconta Lydia Baffour Awuah. «Non si tratta di impedire ai bambini di aiutare i loro genitori. È necessario che lo facciano, perché in questo modo imparano l’abc della coltivazione del cacao». Se questo sapere va perso, il futuro delle piantagioni è in pericolo. Dal canto suo, Lydia Baffour Awuah è convinta che il cacao abbia un futuro.

E non è la sola. Come molti altri collaboratori della Glover, viene dalla capitale Accra. Ha fatto quindi il percorso inverso rispetto a molti giovani in fuga dalle campagne. «Appena sarà possibile acquisterò un pezzo di terra e metterò a dimora delle giovani piante. Il mio futuro è qui, nella coltivazione del cacao, e non in città». Kaspar Meuli, swissinfo.ch Traduzione di Doris Lucini

The Branding Villa: il bar per cani in Gran Bretagna

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regno unito The Branding Villa

NEWCASTLE – In Gran Bretagna ora c’è il bar per cani: The Branding Villa. I migliori amici dell’uomo, da alcuni giorni, vengono accolti come dei re in un frequentatissimo pub britannico di Newcastle. Gli inglesi che vivono con un amico a quattro zampe non dovranno rinunciare a portarlo con sé durante la classica tappa al pub dopo il lavoro. In un pub della città di South Gosforth (Newcastle) è previsto un menù speciale per i cani, che comprende un’ottima birra, accanto a pietanze appositamente dedicate a loro.

The Branding Villa: si tratta di un passo in avanti rispetto agli standard che, anche in Italia, prevedono il più delle volte il divieto per i cani di fare il proprio ingresso in bar, ristoranti ed esercizi commerciali di vario genere

Insomma, spesso si è costretti a dover lasciare Fido fuori dal supermercato o nella nostra automobile, con tutti i rischi del caso, o a doverlo lasciare a casa da solo mentre svolgiamo le nostre commissioni. Come riporta il Daily Mail, l’iniziativa del pub britannico “The Brandling Villa” sembra essere molto apprezzata sia dagli ospiti che dai loro amici a quattrozampe. Nel menù dog-friendly sono presenti pietanze studiate appositamente per i cani, birra compresa, in modo che possano fare compagnia in tutto e per tutto ai loro padroni. La birra è a base di ingredienti tradizionali, come il malto, ma è completamente analcolica.

La bevanda è contenuta all’interno di bottiglie con una speciale etichetta di riconoscimento

Che vengono conservate nel frigorifero insieme a quelle destinate agli ospiti più abituali, destando la curiosità della maggior parte degli avventori del pub. Per gli ospiti del pub, ordinare una birra per sé ed una per il proprio cane sembra essere diventata in poco tempo un’abitudine molto gradita e i cani stessi sembrano apprezzare. La loro birra può essere accompagnata da tipiche pietanze inglesi appositamente rivisitate per l’occasione, in modo che possano essere loro maggiormente gradite. Il menù per i cani prevede anche dei dessert speciali e biscotti dedicati a loro. L’idea della birra per cani non è però inglese ma americana.

Questa birra davvero particolare ed inaspettata si chiama Bowser Beer ed è stata ideata negli Stati Uniti, precisamente a Phoenix, in Arizona a partire dal brodo di carne. E’ priva di anidride carbonica, ma anche di luppolo, che può essere tossico per gli animali. Può essere servita come bevanda vera e propria o essere aggiunta alle pietanze, direttamente dalla bottiglia, per arricchirle di sapore. Al di là di questa novità davvero curiosa, a rivestire maggiore importanza è il diffondersi via via nel mondo di una maggiore attenzione verso i migliori amici dell’uomo, che deve necessariamente riuscire ad andare al di là delle mode. Dunque diamo il nostro benvenuto alla birra per cani, nella speranza che la sua diffusione rappresenti un input in tutto il mondo per una migliore accoglienza dei cani e degli altri animali da compagnia nei locali pubblici. Marta Albè Per vedere le immagini del nuovo locale inglese http://www.greenme.it/informarsi/animali/6649-pub-pet-friendly-birra-cani

Expo Milano 2015: in un saggio, l’epopea delle fiere

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expo 2015

MILANO – L’Expo Milano 2015 ha avuto un avo illustre e un po’ dimenticato: l’Esposizione Universale che nel 1906 si tenne nel parco del Castello Sforzesco per celebrare l’apertura del traforo del Sempione fra Italia e Svizzera. Da quella maestosa operazione imprenditoriale, non priva di articolati risvolti geopolitici, nacque l’idea di dotare la città ambrosiana di un ente fieristico di portata europea. Però ci vollero ancora quattordici anni e un sanguinoso conflitto mondiale, perché un gruppo di avventurosi investitori organizzasse la prima Fiera Campionaria di Milano.

Expo Milano 2015: che cosa c’è stato prima

Era l’aprile del 1920, i padiglioni espositivi si concentravano nella zona dei bastioni di Porta Venezia, l’allestimento era in linea con il clima postbellico, cioè sobrio e rigoroso. Da allora e fino al 1990 le Campionarie si tennero ogni anno in un’area appositamente attrezzata, non distante da quella in cui si era svolta l’Esposizione Universale del 1906. Per i Milanesi visitarle significava inoltrarsi in un ambito che Salvatore Carrubba – in un saggio contenuto in La Fiera di Milano.

Lavoro e società nei manifesti storici 1920-1990, il volume appena edito da Silvana Editoriale per Fondazione Fiera Milano – definisce “una vera e propria città-mondo: la gita imprescindibile tra i suoi padiglioni, le visite ai macchinari più astrusi, l’incontro con i Paesi più remoti dava il senso che il pianeta si miniaturizzasse nel quadrilatero sempre più congestionato della fiera”. Ovviamente il senso di complessità e di meraviglia andava comunicato ai futuri visitatori attraverso un’avveduta campagna pubblicitaria: di qui l’idea di puntare sui splendidi e innovativi manifesti, ora raccolti nel bel libro-strenna di quasi 400 pagine. Sfogliandolo ci si può fare un’idea della storia di un ente espositivo che ha influito non solo sullo sviluppo economico e culturale di Milano, ma anche su quello dell’intera nazione.

E si può inoltre verificare che, come da manuale, la grafica pubblicitaria ha sempre guardato alla coeve tendenze artistiche

Perciò nei manifesti degli anni Venti e Trenta cogliamo echi della figurazione monumentale del gruppo di Novecento e qualche accenno alle linee dinamiche del secondo Futurismo, mentre in quelli degli anni Quaranta e Cinquanta assistiamo all’irruzione della fotografia e constatiamo il fascino che esercita l’espressionismo di marca informale. Un po’ di Pop, ma soprattutto molta Op Art caratterizza i cartelloni dei Sessanta, mentre già nel decennio successivo la grafica risente di una certa severità geometrica e concettuale.

Infine nei manifesti degli Ottanta – il decennio del trionfo delle grandi firme, sia nella moda che nell’arte -ecco raffinate elaborazioni sul logo della fiera, con qualche richiamo alla Poesia Visiva o alla pittura neoespressionista. La “morale” di questa cavalcata in sette decenni di storia d’Italia però va declinata al futuro ed è ben sintetizzata da Giampiero Cantoni, presidente della Fondazione Fiera Milano, che nell’introduzione al volume parla di “un sogno italiano ben visibile nei manifesti, chiari flash di una crescita sia individuale sia del paese, che oggi rimanda anche alle istituzioni l’arduo compito di riformulare quella fiducia nel mestiere, quella spinta creativa che nel presente molti giovani posseggono ma non riescono a incanalare”.

Da Starbucks si paga con iPhone: l’esperimento continua in Uk

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Starbucks
Starbucks

FUTURO – I micropagamenti si fanno sempre più frequenti via iDevice e, in attesa che Apple implementi una soluzione ufficiale, sono le singole aziende a organizzarsi con applicazioni proprietarie. Così, pagare un caffè diventa semplice quanto estrarre un iPhone 4S dalla tasca. Cupertino, dove ha sede la Apple, da tempo ha sperimentato in alcuni propri Store i pagamenti via iPhone, iPod Touch e iPad, grazie anche all’ausilio di apposita strumentazione gestita dagli addetti dai negozi. Ma, nonostante si vociferasse un pieno supporto all’architettura Near Field Camp (NFC) già in iPhone 4S, bisognerà ancora attendere del tempo per trasformare il melafonino in un vero e proprio strumento di pagamento autorizzato. Nel frattempo, però, continua l’esperimento di successo della catena Starbucks sul suolo britannico.

Starbucks sempre più smart

Nel 2010 il noto leader delle caffetterie mondiali, mai approdato in Italia data la concorrenza merceologica, ha lanciato un servizio di pagamento via App Store e, proprio nelle scorse ore, ha presentato la propria applicazione totalmente rinnovata. Il funzionamento è decisamente semplice: basta scaricare l’app, scegliere il taglio prepagato preferito associando la propria carta di credito e, senza altri setup, sfiorare lo schermo ogni volta che si vorrà procedere al pagamento di un caffè, di un frappuccino o di qualsiasi altra delizia offerta dalla catena. L’app, inoltre, presenta una comoda mappa di tutti gli Starbucks in zona, un elenco completo con le informazioni nutrizionali per quanto acquistato e un comodo conta-calorie per non perdere mai di vista la linea. Chissà che, sul successo della catena statunitense originaria di Seattle, non siano in molte le società a convertirsi al micropagamento virtuale. Il tutto a vantaggio del cliente e, cosa non da poco, delle code alle casse. Fonte: apple.digital.it