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L’Arte del cappuccino con Francesco Sanapo

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ristorazione sanapo
Francesco Sanapo

SORBOLO (PARMA) – Domenica per tutta la mattinata, dalle 9 alle 12, il campione Francesco Sanapo sarà impegnato dietro al bancone della pasticceria “Lady Anna” in via XXV aprile, in occasione della prima edizione del “Caffè cappuccino day”, per offrire a tutti i clienti un cappuccino a regola d’arte. Ecco il commento di Francesco Sanapo vincitore del Cibc, campionato italiano barristi caffetteria 2010 e 2011:

“Questo evento mi entusiasma in modo particolare, per il semplice fatto che ho l’opportunità di portare la qualità direttamente al consumatore, avrò la possibilità di parlare ed esprimere i miei pensieri e cercherò con tutte le mie forze di trasmettere ai clienti tutta la mia passione per il caffè e tutta la mia conoscenza. Se a fine giornata riuscirò a far capire anche solo a una persona che dietro la magica tazza dell’espresso c’è un mondo complesso e da scoprire sicuramente io sarò più ricco.

Mi piace l’idea di “scendere in piazza”, amo mettere in pratica tutte le cose che insegno durante i miei corsi; è come un modo per dimostrare ai miei colleghi o studenti che lavorare rispettando le regole non è poi così difficile.

Mi piace l’idea di “scendere in piazza” perché è proprio da lì che bisogna passare per alzare il livello di qualità, perché se il consumatore è informato pretenderà di più, diventerà più curioso e interessato al prodotto e magari dedicherà alla pausa caffè dieci secondi in più.

Mi piace “scendere in piazza” perché spero che eventi del genere continuino a crescere sempre di più in tutte le città d’Italia. Subito dopo l’evento di Parma, partirò per El Salvador (giovedì 23) dove ci rimarrò fino al 1° marzo, sarò ospite della finale del campionato baristi salvadoregno e visiterò una ventina di micro produttori e alcuni consorzi.

Successivamente mi sposterò in Costa Rica (dall’uno al cinque marzo): anche qui avrò la fortuna di essere ospite della finale nazionale baristi e parteciperò a un cupping di alcuni dei migliori caffè del nuovo raccolto, visitando poi i produttori dei caffè che più mi hanno entusiasmato.

Obiettivo di questi miei viaggi è quello di portare a casa solo caffè speciali e magari perché no, riproporli nelle nostre piazze. Grazie e vi aspetto domenica.”

Francesco Sanapo

 

La Cassazione: i tavolini del bar nell’area condominiale non rappresentano un utilizzo improprio del bene comune

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Tavolini da bar
Tavolini da bar

MILANO – Una decisione che aprirà sicuramente tante opportunità per gli esercizi pubblici. Perché adesso si possono collocare in un area condominiale i tavolini di un bar. Lo ha stabilito la Cassazione. A patto però che quel tipo di utilizzo non si trasformi un appropriazione in via esclusiva dell’area condominiale.

È quanto emerge dalla sentenza (869, depositata il 23 gennaio 2012) con cui la Corte di Cassazione ha stabilito che se non c’è una vera e propria appropriazione dell’area, la revoca dell’autorizzazione concessa al titolare di un bar ad occupare una parte del cortile del condominio, con i tavolini, è illegittima se basata su generici motivi, come il presunto abuso del condominio.

Se non viene alterata la destinazione dell’area condominiale, l’apposizione dei tavolini nella stessa è legittima.

“Nella sentenza impugnata – scrive la Corte – sono stati esposti i numerosi elementi che hanno indotto il Tribunale ad escludere che la collocazione dei tavolini in questione, per la limitatezza dello spazio e del tempo dell’occupazione, costituisca un uso improprio della cosa comune, tale da alterarne la destinazione o da menomarne la possibilità di fruizione da parte degli altri condomini; il che del resto – ha osservato ancora il Tribunale – neppure era stato dedotto dal condominio, il quale anche in giudizio non aveva spiegato le ragioni dell’adozione della deliberazione in questione.

A questi argomenti il ricorrente null’altro ha opposto, se non la generica affermazione secondo cui si era trattato nella specie della “autonoma decisione di un condomino di accorpare in via esclusiva un’area comune per finalità esclusiva”, né ha mosso contestazioni di sorta circa l’esattezza di quanto sul punto si legge nella sentenza impugnata, sicché la doglianza in esame difetta del tutto del requisito della specificità. Il ricorso viene pertanto rigettato”.

Con la stessa sentenza la Corte ha avuto poi modo di precisare che, (in riferimento al motivo di ricorso proposto dal condominio che aveva eccepito il difetto di legittimazione attiva del proprietario del locale, in quanto il locale era stato dato in locazione ad un terzo), “il potere di impugnare le deliberazioni condominiali compete, per il disposto dell’articolo 1137 Cc, ai titolari di diritti reali sulle singole unità immobiliari, salvo che nella particolare materia dei servizio di riscaldamento e di condizionamento dell’aria, per la quale la decisione e conseguentemente la facoltà di ricorrere al giudice sono attribuite ai conduttori.

Ne consegue che deve essere riconosciuta la legittimazione in capo al proprietario dei locali a impugnare la delibera che ordina la rimozione dei tavolini da bar dal cortile condominiale, dovendosi confermare la competenza in materia del giudice di pace in base all’articolo 7, terzo comma, n. 2 Cpc”.

ONU: “Un caffè con…” è l’iniziativa all’italiana su moda e sviluppo

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sviluppo moda e caffè
Tazzine di caffè

NEW YORK – Gli stilisti italiani si stringono sotto l’immagine del caffè all’italiana per lanciare i loro piani benefici nell’ambito della moda. Perché dopo “il caffè gusto Nazioni Unite” con Renzo Rosso e l’economista Jeffrey Sachs promuovono l’iniziativa del patron di Diesel per combattere la povertà in Mali.

A questo è seguita ‘Fashion 4 Development’ (La moda per lo sviluppo), con il direttore di Vogue Italia, Franca Sozzani. La sede della diplomazia italiana presso il Palazzo di vetro continua a essere il salotto d’eccezione per ospitare iniziative umanitarie promosse dall’industria della moda, grazie all’iniziativa «Un caffè con…», che in passato ha ospitato anche il direttore generale di Bankitalia Fabrizio Saccomanni e il comandante della missione Unifil in Libano, generale Paolo Serra.

‘Fashion 4 Development’ è il progetto sostenuto da Franca Sozzani, ora anche ambasciatore di ‘Buona Valontà ‘, che ha lo scopo di aiutare i giovani stilisti africani ad esportare il loro prodotto e creare quindi opportunità di sviluppo.

«Il binomio Nazioni Unite-moda italiana – ha detto l’ambasciatore alle Nazioni Unite Cesare Maria Ragaglini – si è rivelato un potente mezzo per mettere l’Italia in prima linea nel raggiungere gli obiettivi all’interno del Millennium Development. La moda è una delle risorse industriali italiane più qualificanti».

‘Fashion 4 Development’ (F4D) è una piattaforma globale che opera per mandare avanti le iniziative dello United Nations Millennium Development Goals. È di ieri l’annuncio che si impegnerà a portare allo stesso tavolo la comunità della moda ed i governi, la società civile, la stampa e le organizzazioni internazionali per lavorare di concerto e spingere l’industria della moda nel terzo mondo come via d’uscita dalla povertà.

«Stabilendo un legame tra moda e sviluppo – ha detto la Sozzani – possiamo creare opportunità lavorative nella comunità e quindi generare benessere e restituire a queste persone la dignità che meritano».

Nestlé: il fatturato del 2011 ha chiuso a 69,2 miliardi di euro con una crescita del 7,5% sul 2010

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VEVEY (Svizzera) – Il gigante alimentare Nestlé ha archiviato l’esercizio 2011 con un giro d’affari in espansione in tutti i settori operativi e in tutte le categorie di prodotti. Al termine del periodo in rassegna, i ricavi si sono attestati a quasi 70 miliardi di euro, 83,6 miliardi di franchi svizzeri, segnando una crescita del 7,5% su un anno.

Come molte altre società, Nestlé ha subito l’impatto negativo dei cambi, pari al 13,4%. L’utile netto ha toccato i 7,86 miliardi di euro, 9,5 miliardi di franchi (+8,1% non tenendo conto di Alcon) ha precisato una nota alla stampa del gruppo elvetico. I risultati globali del gruppo sono stati giudicati positivamente dagli analisti. Nel 2010, la società con sede a Vevey aveva moltiplicato per tre il suo utile netto a 28,3 miliardi €, 34,2 miliardi di franchi. Un balzo dovuto alla vendita della partecipazione rimanente – 20,3 miliardi €, 24,5 miliardi di franchi – nel leader mondiale dei prodotti oftalmici Alcon al gigante farmaceutico basilese Novartis.

Le vendite di capsule per il caffè Nespresso, oggetto di una vertenza giuridica che ha già fatto scorrere molto inchiostro e sta dando da lavorare a schiere di avvocati, sono salite del 20% per superare i 2,9 miliardi di €, 3,5 miliardi di franchi introiti. I risultati del 2011 confermano il trend del porzionato Nestlè dell’anno prima (+20% ricavi a 2,9 miliardi di €, 3,2 miliardi franchi a fine 2010). Il tasso di crescita più importante è stato tuttavia messo a segno dalle bevande sia liquide che in polvere, le cui vendite sono progredite da un anno all’altro del 13% a 15 miliardi di €, 18,2 miliardi di franchi.

Arriva l’app che calcola il momento migliore per la pausa caffè

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Pausa caffè

MILANO – Siamo arrivati al caffè digitale: è il computer, in questo caso un’app per gli smartphone, che vi segnala la pausa caffè in più da evitare, in alcuni momenti della giornata, per non andare incontro, per esempio, all’insonnia.

Alcuni scienziati della Penn State University negli Stati Uniti hanno realizzato un’app per smartphone che calcola il momento migliore in cui consumare caffè e bevande a base di caffeina. Caffeine Zone software, questo il nome dell’applicazione, aiuta a capire quando la caffeina può rendere più reattivi mentalmente e quando invece può creare problemi al sonno, producendo un grafico di come questa sostanza influisca sulla salute della persona nel corso del tempo.

“Sono in molti che non capiscono come i livelli di caffeina nel flusso sanguigno vadano su e giù” – ha detto in una nota Frank Ritter, uno dei programmatori dell’applicazione, aggiungendo: “È importante comprendere gli effetti della caffeina ai vari livelli.”

Vediamo alcuni degli esempi portanti dai ricercatori. Tenendo conto che lo studio è stato effettuato negli Stati Uniti e il riferimento è sempre al caffè preparato all’americana che contiene in media 90-125 milligrammi di caffeina ogni 100 millilitri, contro i 60-120 milligrammi – a seconda della quantità di robusta nella miscela – di una classica tazza da 25 millilitri di espresso italiano.

Ad esempio, se si beve una tazza di caffè rapidamente, si proverà un’impennata nella prontezza mentale, ma se consumata abbastanza può rimanere nel flusso sanguigno e causare problemi di sonno nelle ore successive. I ricercatori hanno visto che i consumatori di caffeina con 200-400 milligrammi di caffeina totale nel sangue hanno uno stato di brillantezza e lucidità mentale ottimale. Per dormire bene, invece, la soglia è a 100 milligrammi. Ciò significa che la caffeina non soltanto può dare problemi ad addormentarsi, ma può indurre in un sonno di scarsa qualità.

Quindi chi assume troppa caffeina può avere dei problemi. Superare i livelli ottimali può causare nausea e nervosismo. Per tracciare gli effetti della caffeina con l’app, la persona deve digitare le informazioni su quanta ne assume o pensa di consumarne. In questo modo l’app aiuta anche a modificare le abitudini permettendo di condurre una vita più sana.

Ecco come le sale da tè hanno supportato il suffragio femminile

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MILANO– Jane Pettigrew*, un’esperta del mondo del tè, ha raccontato alla BBC come le tearooms e i tea shops hanno supportato il suffragio femminile. Una bella novità è scoprire che un luogo caldo e accogliente, come solo una sala da tè sa essere, è stato anche un luogo rivoluzionario. Tuttavia, se si conosce il valore e il significato della presenza di una stanza del tè nel nostro mondo occidentale, non si resta poi tanto sorpresi.

Ma tornando al suffragio femminile, alla fine del 19esimo secolo, le tearooms in Inghilterra erano l’unico luogo di ritrovo delle donne: per questo motivo, tali ambienti divennero anche il luogo dove parlare, discutere e portare avanti il movimento per i diritti delle donne. In molte zone della Gran Bretagna si organizzavano veri e propri tea parties di grandi dimensioni dove era previsto un discorso per l’occasione, ci si rilassava di fronte a una calda tazza di tè, invitando gli uomini e le donne ha godere di questa bevanda, rinunciando all’alcol. Prima di quegli anni, la condizione femminile era drammatica: facendo degli esempi, le donne non erano accettate in luoghi di ristoro ed era considerato immorale poter usufruire dei servizi igienici pubblici.

Per provvedere ai bisogni delle donne, iniziarono così a nascere alcuni clubs esclusivamente femminili e le tearooms divennero sempre più popolari, poiché riconosciute come luoghi di tutto rispetto in cui le donne potevano godere di una tazza di tè lontano dal frastuono delle strade di città e dal mondo. E così, all’insaputa dei gentiluomini, nacquero dei veri e propri luoghi al femminile dove poter conversare, anche di politica, e dove furono pianificate campagne e manifestazioni a supporto del suffragio femminile. Le sale da tè hanno così avuto un ruolo centrale nella campagna per il movimento delle donne: i Bloods Young Hot si riunivano in un negozio di tè dello Strand; la Tea Room di Alan al 263 di Oxford Street pubblicizzava l’uso gratuito della sua ampia sala ai comitati di donne.

Si racconta che, nel 1913, dopo il pellegrinaggio a Londra del National Union of Women Suffrage alcune donne del corteo andarono da Alan per la cena e senza dubbio per diverse tazze di tè. Roger Fulford ha scritto nel suo libro In Votes for Women (1956) che l’indipendenza delle donne cresceva contemporaneamente allo sviluppo delle tearooms. Esistevano alcuni ristoranti dove le donne erano ammesse, ma le tearooms restarono il luogo ideale che dava un vero senso di libertà anche rispetto ai tea time in famiglia, diventando così nel tempo parte integrante del movimento di liberazione delle donne.

*Jane Pettigrew, autrice della Guida al tè di tutto il mondo ha scritto ben 13 libri sulla sua amata bevanda. Insegna l’arte del tè e organizza periodicamente classi e corsi di degustazione.

 

L’iniziativa: i baristi di questa settimana su ViviMilano

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Il logo ViviMilano
Il logo ViviMilano

MILANO – ViviMilano, il supplemento del mercoledì con il Corriere della Sera nel capoluogo lombardo, prosegue la raccolta di voti e segnalazioni per individuare il barista del 2012. Questo format è dedicato ai baristi che ci fanno compagnia al mattino, per la prima colazione, fra caffè e cappuccini. Noi ne approfittiamo ancora per riprendere le simpatiche schede di valutazione.

Lia, prepara il caffè con il gelato

«Come mi fa lei la cioccolata non la fa nessuno: diciamo che se sono obeso è colpa sua! Per il resto ottimo servizio, molto solare e simpatica! Ti migliora le giornate»: Alberto Meroni, 21 anni, commesso, sembra davvero entusiasta di Lia, giovanissima barista di 21 anni che da due e mezzo lavora in questa locale: la sua specialità? Il caffè con il gelato, ovviamente».

Lia Petrarca, 21 anni, Il Gelatiere, Corso Lodi 2

Giovanni, un playboy al bancone

«Andate a bere il caffè da lui perché è efficiente e simpatico ma non portateci le vostre ragazze, è pericoloso…” (Gianni, 52 anni, impiegato). Giovanni ha una memoria infallibile, ricorda i nomi ed i gusti dei clienti e si muove con maestria dietro al bancone. E con ironia il lettore che l’ha segnalato ricorda la sua proverbiale galanteria…

Giovanni di Arienzo, 31 anni, Bar Tabacchi Blois, Viale Regina Giovanna 24

Alfredo, decorazioni artistiche

Un elefante, un cigno, un fiore, il più classico cuore ma anche il Duomo di Milano: «Il miglior cappuccio eseguito con perizia di ingredienti e… con simpatiche decorazioni», così Donata Ferri, 50 anni, commerciante, presenta Alfredo, 36 anni di Milano, un barista molto creativo che ama personalizzare i suoi cappucci con simpatici disegni.

Alfredo Amendolare, 36 anni, Creativo Bar, Viale Corsica 59

Elena, ama i rapporti umani

«È una grande intrattenitrice, ha sempre qualcosa da raccontare e poi entri per un caffè e ti ritrovi a bere almeno un cappuccio, un marocchino e uno shakerato!», così ci scrive Antonella Cultrera (29 anni, impiegata). Elena, dopo il diploma linguistico decide di dedicarsi al bar dei suoi genitori. «Siamo in periferia e con i clienti abituali ho un rapporto di amicizia sincera».

Elena Battaglia, 30 anni, Bar da Candido, Via Murat 72

Alessandro, tazzine personalizzate

«Sempre gentile e sorridente. Si ricorda dei tuoi gusti senza che tu debba chiedere. E’ interista e mi serve il caffè nella tazzina dell’Inter», questa la motivazione di voto di Gualtiero Pezzoni (36 anni, impiegato). Alessandro, originario di Nocera Inferiore, è qui da 4 anni e gli piace tutto della sua giornata, ma soprattutto stare tra la gente. Quando non lavora ama fare shopping e cucinare.

Alessandro Lamberti, 29 anni, Shot Cafè, Via Pirelli 19

Manuel, specialista nella cioccolata

Il suo vero nome è Emanuele, ma tutti lo chiamano Manuel: anche Chiara Lomuscio, diciottenne studentessa, che lo descrive così: «È un barista giovane e simpatico, mette a proprio agio i clienti con il suo buon umore». Le sue specialità, ovviamente, sono le cioccolate che qui si possono trovare di tutti i tipi.

Manuel Muciaccia, 32 anni, Caffecioccolata, Via Bergognone all’angolo con Via Bazzi 2

Giada, una carica di simpatia

Nata a Cuba 25 anni fa, Giada vive a Milano da 7 anni e da 5 lavora in questo bar in zona Statale frequentato da studenti ma anche impiegati e professionisti, come Stefano Moretti, 29 anni, bancario che la descrive così: «Brava, di bell’aspetto, simpatica e discreta: che altro si può volere dalla propria barista, la prima persona con cui si ha a che fare ogni mattina?»

Giada Diaz, 25 anni, Caffetteria Santo Stefano, Piazza Santo Stefano 8/10

Glauber, stile brasiliano

Glauber è brasiliano, di San Paolo, e otto anni fa è arrivato in Italia. Da sei anni fa il barista, prima era commesso in un panificio. La sua passione è il calcio ed è tifoso del Milan. L’ha scelto Lella (48 anni, impiegata) che ci racconta: «È molto simpatico, cortese, educato e disponibile allo scherzo ma mai fuori misura. È molto attento alle richieste e ai gusti dei clienti».

Glauber Moraes 27 anni, Bar Meda, Corso di Porta Romana 54

Giorgio, appassionato del suo lavoro

L’ha votato Laura Ghisellini (36 anni, guida archeologa) per la cortesia e la puntualità del servizio. Giorgio, dopo la scuola alberghiera e diverse esperienze in Spagna e Danimarca e poi a Milano, è da Panzera dal 2006, prima in quello storico e ora qui. Ama il suo lavoro ed è lusingato da questo riconoscimento di stima dei suoi clienti. È papà di ben quattro bimbi.

Giorgio Terranova, 37 anni, Panzera 2010, Piazza Luigi di Savoia 1/9

Daniele, rapido e gentilissimo

Rapido ed efficientissimo, è un vero portento dietro al bancone del bar. Giovanissimo, lavora come barista già da dieci anni e completa la sua professionalità con una grande carica di simpatia. «E’ un vero artista del cappuccino, sorprende vederlo mentre li prepara alla perfezione» così lo racconta Valerio, 24 anni, informatico.

Daniele Caliri, 24 anni, New Cafè Italiano, Via Vittorio Veneto 21

Acqua nascosta: ben 200 litri per un caffè e latte macchiato

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acqua
L'acqua consumata per il caffè

MILANO – Quanta acqua consumiamo (e inquiniamo) in un solo anno? Tanta, troppa. In media 1.385 metri cubi a testa, ovvero 8.650 vasche da bagno. Le differenze a livello nazionale sono enormi. I più spreconi? Americani e cinesi. Sul tema ci siamo soffermati in passato. Lo affrontiamo di nuovo con nuovi dati sull’argomento. L’acqua dolce è un bene prezioso. Oggi più che mai.

In molte parti del mondo le risorse scarseggiano. E questa non è la notizia. Sulla rivista scientifica Proceedings of the National Academy of Sciences (Pnas) è uscita ora un’ampia ricerca sull’impronta idrica dell’umanità.

Arjen Hoekstra e Mesfin Mekonnen dell’università di Twente, nei Paesi Bassi, hanno calcolato l’impronta idrica in volume per i diversi Paesi, suddividendo l’acqua incorporata nei prodotti consumati in piovana, da falde o di superficie e inquinata. Lo studio si basa su dati attuali, raccolti nel periodo 1996-2005.

Le cifre

Non a caso i ricercatori parlano di impronta idrica, vale a dire la traccia lasciata dall’uomo con la produzione agricola, quella industriale, quella domestica. È un indicatore che consente di calcolare l’uso di acqua, prendendo in considerazione sia l’utilizzo diretto che quello indiretto, del consumatore o del produttore.

Alcuni numeri? Ogni americano utilizza in media 2.842 metri cubi d’acqua all’anno, in Cina sono 1.071, circa 750 in Bangladesh. Nelle due decadi prese in considerazione l’impronta idrica dell’umanità è stata di 9.087 miliardi di metri cubi all’anno.

Nel frattempo la popolazione mondiale è però cresciuta e di conseguenza sono drasticamente aumentati anche i consumi.

La parte del leone

La produzione agricola contribuisce per il 92% dei consumi, scrivono gli scienziati. La produzione industriale per 4,4 per cento e quella casalinga per il 3,6 per cento Cina, India e Usa utilizzano particolarmente tanta acqua. Rispettivamente 1.207, 1.182 e 1.053 miliardi di metri cubi ogni anno.

Questi tre Paesi sono responsabili per il 38% dell’impronta idrica globale. Segue il Brasile (482 miliardi di metri cubi). La Cina è anche il Paese con la maggiore quantità di acque reflue: 360 miliardi di metri cubi, equivalenti a poco più di un quarto del volume globale (26%).

Si capisce che Paesi come il Messico, l’Algeria e il Medio Oriente siano importatori netti d’acqua. Ma il Vecchio continente ne ha in abbondanza e malgrado ciò la importa; l’Australia no, eppure la esporta.

Tra i principali importatori ci sono gli Stati Uniti (234 miliardi di metri cubi); il Giappone (127); la Germania (125); la Cina (121) e l’Italia (101).

Latte macchiato

L’impronta idrica di ciascuno di noi può essere riassunta anche con il classico esempio della tazza di caffè. Partiamo dall’agricoltore che ha bisogno di carburante e macchinari, la cui produzione necessita di grandi quantità di acqua. Per cucinare e lavare e per pulire il caffè i lavoratori sulle piantagioni si servono di acqua.

Acqua è indispensabile anche per il processo di raffinazione, per il trasporto e per il commercio di transito. Infine, l’acqua potabile per riempire la macchina da caffè. Ma non basta.

Bisogna aggiungere l’acqua del lavello; l’acqua per la produzione di latte e di zucchero. Insieme ai suoi colleghi, lo studioso Hoekstra è giunto alla conclusione che per un solo latte macchiato sono necessari almeno 200 litri di acqua – più di una vasca da bagno riempita fino all’orlo.

 di Elmar Burchia

Perché Starbucks non ha ancora aperto in Italia? Una riflessione di Stephan Faris

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MILANO – “Perché Howard Schultz non ha ancora portato il suo colosso del caffè nel paese che lo ha ispirato?” È la domanda da un milione, anzi, da un miliardo di dollari, che si pone Stephan Faris, in una recente inchiesta scritta per Bloomberg Businessweek.

Com’è noto, fu infatti un viaggio in Italia, compiuto nel lontano 1983, a dare al re Mida americano delle caffetterie l’idea sulla quale ha costruito il suo impero globale. Una vera rivelazione, che Faris evoca con le stesse parole di Schultz, tratte dal libro Pour Your Heart Into It: How Starbucks Built a Company One Cup at a Time (Metteteci dentro il cuore: come Starbucks ha costruito una compagnia tazza dopo tazza).

Così Schultz descrive Piazza del Duomo nelle sue pagine: “L’ampia piazza pullulava di locali. L’aria era riempita dalle melodie dell’opera e dal profumo delle caldarroste. Riecheggiavano i discorsi scherzosi sul dibattito politico e il chiacchiericcio dei bambini nelle loro divise scolastiche. Pensionati e casalinghe con i figli discorrevano del più e del meno con i baristi dietro al banco”. Fu a quel punto – osserva Faris ironicamente – che Schultz, senza dubbio pesantemente in preda alla caffeina, fu colto da ispirazione.

Per gli italiani, il caffè (inteso come il locale) era parte integrante della comunità e del vivere sociale. O meglio: il caffè non doveva essere soltanto una bevanda, ma anche un’esperienza da vivere. L’opportunità era enorme e Starbucks, limitandosi a fare il torrefattore, rischiava di lasciarsela sfuggire. “Fu quasi un’epifania – racconta enfaticamente Schultz nel suo libro – così fisica e immediata che mi cominciai a tremare per l’emozione”. A distanza di quasi trent’anni, Starbucks conta oltre 17 mila locali in decine di paesi di tutto il mondo, ma non è ancora presente in Italia e tantomeno all’ombra delle guglie meneghine, dove Schultz venne folgorato sulla via di Damasco.

“In un’epoca in cui Starbucks considera l’espansione globale come la chiave per il suo sviluppo futuro – ed è pressoché impossibile passeggiare per una grande metropoli europea senza imbattersi in una delle sue caffetterie – essa non ha alcun tipo di presenza nel paese che ne ha ispirato la fondazione” è la constatazione di Faris. Eppure l’Italia è da tempo nel mirino della multinazionale di Seattle. Sin dal 2002, quando la globalizzazione del brand della sirenetta era appena agli albori, Schultz dichiarò pubblicamente la sua intenzione di sbarcare nel nostro paese. Un interesse che riaffermò nel 2006, in un’intervista al popolare programma radiofonico Marketplace. Ma oggi, nel 2012, l’Italia rimane ancora per Starbucks una montagna tutta da scalare. Cosa fa sì che l’appuntamento con la penisola continui a essere rinviato sine die?

Innanzitutto – osserva Faris – il doversi misurare con il paese che incarna lo standard aureo, la summa della cultura dell’espresso, presenta un rischio reputazionale. Senza contare la saturazione e la frammentazione di un mercato complesso e articolato come quello di casa nostra. Ma cosa teme maggiormente Starbucks? Per cercare di capirlo, Faris ha deciso di tornare in Italia, nei luoghi dell’illuminazione schultziana, trent’anni più tardi. Scoprendo così che Orlando Chiari, contitolare del prestigioso Camparino di Galleria Vittorio Emanuele II – un “ex agente di borsa che ha i numeri di cellulare dei più grandi top manager italiani ed è sufficientemente in confidenza con loro per poterli chiamare nel bel mezzo di un intervista” – non ha mai sentito parlare di Starbucks e tantomeno ha varcato la soglia di uno dei suoi innumerevoli locali in giro per il mondo. E constatando che la cultura del caffè si è sviluppata in Italia attorno alla macchina espresso. Ergo: il caffè viene sorseggiato con la stessa rapidità con la quale viene preparato, per non perderne aroma e sapore, molto spesso in piedi (improponibile il bicchierone da passeggio).

La bevanda è concentrata e viene consumata perlopiù in purezza, anziché affogata nel latte o negli sciroppi. E come se non bastasse, i gusti e le tostature variano sensibilmente da zona a zona del paese. Può un marchio internazionale come Starbucks – si chiede a questo punto Faris – riconfezionare e vendere un prodotto come il caffè espresso al popolo stesso che lo ha inventato? Sorprendentemente, “c’è motivo di ritenere che la risposta possa essere un sì” afferma l’autore. “Per molti dei suoi frequentatori – spiega ancora Faris – Starbucks non è una caffetteria, bensì un luogo di ritrovo e d’incontro dove si può anche degustare un caffè”. E in Italia c’è sicuramente un mercato per un format che interpreti il concetto della “casa fuori di casa, dell’ufficio lontano dal capoufficio: un luogo in cui sedersi, chiacchierare o leggere un libro lasciando trascorrere il tempo”.

La prova? Il McDonald’s che si trova all’altro capo di Piazza del Duomo, che da 4 anni circa accoglie anche un McCafé. E il fatto stesso che i McCafé siano diventati il business di McDonald’s a maggior tasso di crescita in Italia (vedi in merito l’intervista all’Ad di McDonald’s Italia Roberto Masi, pubblicata venerdì scorso da Comunicaffè, ndr.). Ulteriore riprova: secondo un’indagine del 2010, citata nell’articolo, un nuovo cliente su cinque dei McCafé italiani non aveva mai frequentato prima i fast food di McDonald’s. Altrimenti detto: il cappuccino può avere più appeal di un Big Mac.

Attenzione però, avverte Faris: più Starbucks rimanda il suo appuntamento con l’Italia, più aumenterà la concorrenza dei suoi potenziali imitatori. Nell’articolo viene citata, ad esempio, Arnold Coffee, una piccola catena fondata 3 anni fa da Alfio Bardolla e Andrea Comelli, che si propone di ricreare in terra italiana l’esperienza del coffee shop all’americana strizzando l’occhio a un pubblico giovane, colto e cosmopolita (2 dei suoi 6 locali sono stati aperti rispettivamente alla Statale e alla Cattolica di Milano), che ha imparato ad apprezzare all’estero l’atmosfera cosy e rilassata delle caffetterie stile Seattle. Il caffè? Tipicamente all’americana, servito in bicchieroni di carta pieni sino all’orlo, anche se non manca l’espresso tradizionale, magari rivisitato e personalizzato.

Messaggio finale di Stephan Faris a Howard Schultz: “Quando sei pronto, l’Italia è già pronta!”. Sarà vero quanto afferma Faris? Ai posteri l’ardua sentenza. Per quanto ci riguarda – senza tornare su riflessioni e considerazioni già trattate già tante volte, anche in queste colonne (vedi, ad esempio, i saggi del Prof. Jonathan Morris) – ci permettiamo di rivendicare il primato della tradizione conviviale dei caffè italiani, alcuni dei quali sono entrati nella storia del nostro paese. Dal Pedrocchi di Padova al Gambrinus di Napoli, dal Giubbe Rosse di Firenze al San Marco di Trieste, rifugio preferito dello scrittore Claudio Magris, che lo ha reso celebre in tutto il mondo, ai cui tavoli generazioni di studenti universitari hanno preparato gli esami più impegnativi o scritto la loro tesi di laurea. E questo, molto tempo prima della comparsa dei laptop e del wi-fi.

Salute, dieta: torta al cioccolato per dimagrire

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Torta al cioccolato
Torta al cioccolato

MILANO – Chi ha detto che le torte fanno ingrassare? Una ricerca della Tel Aviv University, in Israele, scardina tutte le certezze in fatto di dieta e dichiara le torte al cioccolato alleate della linea. Secondo gli studiosi, consumare quotidianamente una fetta di torta al cioccolato aiuterebbe a perdere peso.

A patto che il peccato di gola sia consumato all’ora della colazione. Questo, perché una ricco primo pasto della giornata – che, quindi, includa anche proteine e carboidrati – aiuterebbe a fare correre più velocemente il metabolismo, dando nuova energia e riattivando anche le funzioni cerebrali.

Non solo. Mangiare al mattino la propria porzione quotidiana di torta al cioccolato – o altri dolci, purché al cioccolato – aiuterebbe a non sentirne più il bisogno sia nel corso della giornata, sia a lungo termine. I

n questo modo, si stabilizzerebbe l’apporto calorico giornaliero complessivo e, di conseguenza, il peso. Per giungere a questo risultato, gli esperti hanno coinvolto nella ricerca 193 obesi clinici, non diabetici, i quali sono stati suddivisi in due gruppi.

Per 32 settimane, i soggetti hanno fatto colazioni diverse: il primo gruppo ne ha consumata una da 300 calorie a basso contenuto di carboidrati, mentre al secondo ne è stata imposta una più ricca – da 600 calorie -, che comprensiva di una fetta di torta al cioccolato.

Dai dati raccolti, è emerso come i volontari sottoposti al secondo tipo di regime alimentare mattiniero abbiano perso, in totale, circa sette chili in più. Fonte: cittaoggiweb.it