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venerdì 29 Novembre 2024
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WWF: il rapporto sulla filiera del caffè è allarmante sulla sostenibilità

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Alle origini della filiera

MILANO – “Una tazzina di caffè distruggerà il mondo La filiera deve seguire le regole di rispetto dell’ambiente” Sostenibilità e mercati delle risorse primarie” del WWF stiamo consumando troppe risorse naturali mettendo a rischio la sopravvivenza del pianeta. Sul banco degli imputati ci sono caffè, carta, cotone e olio di palma. Forse è davvero venuto il momento di tirare il freno – I consumi dei 7 miliardi di abitanti della Terra – soprattutto della metà più ricca – sono assolutamente insostenibili e stanno mettendo a repentaglio la salute stessa del nostro pianeta. Tutti i prodotti, alimentari e non, che consumiamo quotidianamente hanno un impatto ecologico che, se diventa eccessivo, rischia di causare danni irreparabili.

WWF una riflessione sulla filiera

L’allarme lo lancia il WWF tramite il suo rapporto “Market Transformation – Sostenibilità e mercati delle risorse primarie” che mette in luce quali sono le filiere più critiche: caffè, carta e pasta di carta, cotone e olio di palma. Tutte materie prime di cui l’Italia è grande importatrice. Vediamo che cosa indica il WWF per il caffè Il caffè con le sue 470 mila tonnellate importate ogni anno nel nostro paese , è uno dei prodotti che caratterizzano l’Italia nel mondo. Eppure le coltivazioni intensive di caffè, e il trasporto dei chicchi tostati nelle torrefazioni italiane, possono costituire un problema se tutta la filiera industriale non segue regole di rispetto dell’ambiente.

Che fare?

Dovremmo quindi smettere di consumare buona parte di quello che compriamo ogni giorno? No, non per forza. Ma come spiega il WWF potremmo pretendere maggiore impegno e trasparenza dalle grandi multinazionali di caffè, carta, cotone e olio di palma affinché dichiarino sull’etichetta che i loro prodotti provengono da coltivazioni certificate che non danneggiano l’ambiente. E dobbiamo iniziare ad accettare il fatto che i prodotti che rispettano l’ambiente costino di più. Fonte: Wwf

Uno studio sulla correlazione tra il consumo di caffè e le malattie croniche

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Isic danno renale caffè pressione stress consumo cognitivo
I benefici del caffè

MILANO – Studio NFI– Consumo di caffè e rischio di malattie croniche Floegel A, Pischon T, Bergmann MM, Teucher B, Kaaks R, Boeing H. Am J Clin Nutr. 2012 Feb 15. [Epub ahead of print] Secondo NFI (http://www.nutrition-foundation.it ) gli studi che hanno valutato la relazione tra consumo di caffè e rischio di malattie croniche sono numerosi, ma i loro risultati sono contrastanti. In questo lavoro è stata pertanto valutata prospetticamente l’associazione tra il consumo di caffè (rilevato mediante la compilazione di appositi questionari di frequenza di consumo) ed il rischio di diabete di tipo 2, infarto al miocardio, ictus e tumore in un campione di 42.569 soggetti facenti parte della corte tedesca dello studio EPIC.

Malattie croniche: lo studio sul consumo di caffè

I soggetti sono stati seguiti per un periodo di 8,9 anni, durante i quali sono stati registrati 1.432 casi di diabete di tipo 2, 394 casi di infarto al miocardio, 310 casi di ictus e 1.801 casi di tumore. In contrasto con alcuni dati pubblicati, non è emersa alcuna associazione tra il consumo di caffè ed il rischio di malattie croniche totali comparando i soggetti che dichiaravano di consumare 4 o più caffè al giorno con coloro che ne consumavano <1/giorno, (Hazard Ratio, o HR, pari a 0,94 e 1,05 per caffè con caffeina o decaffeinato rispettivamente).

Analogamente non significativo è risultato l’effetto sulle malattie cardiovascolari (HR=1,10 e 1,36) e sui tumori (HR=0,97 e 1,27)

Per entrambe le tipologie di caffè è invece emersa un’associazione inversa con il rischio di diabete di tipo 2 (HR 0,77 per il caffè normale e 0,70 per il caffè decaffeinato). I risultati di questo studio confermano pertanto che il consumo di caffè può ridurre il rischio di sviluppare il diabete di tipo 2. Fonte: NFI – Centro Studi dell’alimentazione

Confida: l’associazione presenta l’interrogazione al governo Pili

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confida direttiva sup distribuzione automatica
L'allarme lanciato da Confida

MILANO – L’interrogazione al governo dell’onorevole Pili dopo la segnalazione della Confida, l’associazione di settore “Le banche chiedono commissioni per il deposito delle monete” Ecco il testo dell’interrogazione parlamentare dell’onorevole Pili al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell’economia e delle finanze Per sapere – premesso che: la Confida, Associazione italiana distribuzione automatica, aderente a Confcommercio, Imprese per l’Italia, ha segnalato all’interrogante la seguente situazione: la transazione per l’acquisto di prodotti dai distributori automatici avviene diffusamente per contante che – gestito direttamente dall’azienda e/o per il tramite di società di service – ha necessità di essere successivamente depositato presso le banche oppure divenire strumento di transazione con terzi (ad esempio supermercati o altri soggetti commerciali che hanno carenza e necessità di poter disporre – a loro volta – di un ammontare consistente di monete).

Confida si espone al governo

Nella pratica quotidiana le imprese si trovano ad affrontare aspetti di problematicità nei rapporti con le banche. Queste ultime, infatti, non accettano moneta contante, se non, in alcuni casi, applicando una cospicua «commissione» per accettarne il versamento. Da un lato il Governo impone alle imprese e ai cittadini, in genere, di limitare significativamente l’uso del contante e, dall’altro, le banche chiedono il pagamento di una commissione per ricevere il versamento del contante stesso. Il fenomeno, peraltro, presenta anche un rilievo sotto il profilo della sicurezza e dell’ordine pubblico. Infatti, la permanenza di quantità significative di denaro contante presso le aziende per effetto dei ritardi e/o impossibilità di deposito presso banche e/o transazioni con fornitori e terzi, costituisce un pericoloso «richiamo» per la criminalità.

Numerosi, in tutta Italia, sono i fatti di cronaca caratterizzati da furti e rapine, anche con pregiudizio per l’incolumità delle persone, presso aziende del settore

Per effetto dell’articolo 12, comma 1, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, recante «Riduzione del limite per la tracciabilità del pagamento a 1.000,00 euro e contrasto all’uso del contante», convertito – con modificazioni – dalla legge 22 dicembre 2011 n. 214, è vietato il trasferimento di denaro in contanti di importo pari o superiore a 1.000,00 euro tra soggetti diversi. L’operazione può avvenire solo per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste italiane spa; la recente disposizione legislativa aggrava ulteriormente la situazione richiamata in premessa, arrecando particolare pregiudizio, sotto il profilo finanziario, alle imprese che gestiscono i distributori automatici dal momento che viene meno la sola possibilità residuale che era rappresentata – come sopra accennato – da forme dirette di transazione con fornitori e soggetti terzi.

Si realizza – di fatto – uno stallo nella gestione del contante, di una gravità tale da generare in tempi molto rapidi il paradosso per il quale l’impresa si trova nell’impossibilità di depositare in banca e/o trasferire a soggetti diverse importanti somme di denaro in moneta.

Confida: tutto questo, in ultima analisi, si traduce nell’impossibilità di provvedere alle normali operazioni amministrative e finanziarie necessarie per l’attività d’impresa

Con conseguenze devastanti ed, in alcuni casi, letali per l’azienda stessa -: se non ritenga il Governo di porre in essere con urgenza tutte le autorevoli ed urgenti iniziative, anche normative, volte a rendere obbligatorio per le banche il ritiro, il deposito e l’accreditamento del contante in moneta senza l’applicazione di commissioni che rappresentano un costo aggiuntivo per le imprese non tollerabile, anche alle luce delle recenti disposizioni normative promosse dal Governo; se, in subordine, non ritengano i Ministri interrogati di attivare urgentemente un tavolo di confronto con l’associazione Confida – che rappresenta la quasi totalità delle imprese del settore della distribuzione automatica – per elaborare iniziative normative in deroga al comma 1 dell’articolo del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214.

Ferrero: ricavi globali +9,1% a 7,2 mld grazie a Russia, Usa e Brasile

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Ferrero salmonella Wells
Il logo della Ferrero

MILANO – Il gruppo Ferrero ha registrato ricavi per 7,218 miliardi nell’ultimo esercizio che si e’ chiuso il 31 agosto scorso facendo registrare un progresso del 9,1% rispetto all’anno precedente. Lo comunica la società in una nota dopo che l’assemblea ha approvato il bilancio consolidato di Ferrero International Sa, la lussemburghese che controlla sia le attività italiane che quelle internazionali.

Ferrero: i risultati sono stati “particolarmente brillanti in Russia, Stati Uniti e Brasile”, spiega la società

L’utile prima delle imposte della società e’ sceso del 4,1% a 856 milioni a dimostrazione “di quanto il contesto economico internazionale sua estremamente difficile in presenza di una elevata volatilità finanziaria che investe tutte le aree geografiche”. A dicembre, Ferrero aveva gia’ annunciato i risultati del gruppo in Italia (Ferrero Spa) che avevano mostrato ricavi in crescita del 7% a 2,5 miliardi e un utile di 110,7 milioni.

Starbucks: ad aprile aprirà il primo locale finlandese all’interno dell’aeroporto di Helsinki

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Starbucks
Starbucks

MILANO – Tutto pronto per lo sbarco di Starbucks sul mercato finlandese, il più importante al mondo in termini di consumi pro capite. La multinazionale di Seattle aprirà la sua prima caffetteria in Finlandia, ad aprile, all’interno dell’aeroporto internazionale di Helsinki-Vantaa. Secondo il quotidiano Helsingin Sanomat, il locale sorgerà al Terminal 2, in un’area accessibile sia ai passeggeri che ai visitatori esterni.

Un ulteriore locale verrà aperto nei mesi seguenti nell’area partenze verso le destinazioni extra Schengen. La gestione è affidata a Ssp Finland, responsabile dei servizi di ristorazione all’interno dello scalo della capitale. “L’aeroporto di Vantaa si è internazionalizzato crescendo rapidamente in questi ultimi tempi – ha dichiarato al quotidiano finlandese il ceo di Kalle Ruuskanen – Mancava un brand internazionalmente riconoscibile e Starbucks potrà ovviare a questa lacuna”.

Dal successo dei primi 2 locali dipenderà il ritmo di espansione nelle ulteriori location. I piani a livello nazionale – secondo lo stesso Ruuskanen – prevedono in totale l’apertura di 15-20 caffetterie. Tra i principali competitor che Starbucks dovrà affrontare in terra finalandese, le catene Robert’s Coffee (33 locali), Coffee House (18) e gli svedesi di Wayne’s Coffee (21).

Coffee Design, il settimo workshop Lavazza al Politecnico

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Il Politecnico di Torino

TORINO – Da oggi al 2 marzo l’esperienza di Lavazza nella sperimentazione sono al servizio dell’eccellenza formativa del Politecnico di Torino. Si tratta del workshop “Coffee Design” che si pone come obiettivo quello di trasmettere agli studenti del corso di Laurea in Design e Comunicazione del Politecnico l’esperienza di Lavazza nella sperimentazione sul caffè, affinché possano da una parte indagare visioni possibili e future di questa bevanda, dall’altra individuare ambiti di ricerca innovativi sul prodotto, sul consumo e sulla comunicazione.

Gli studenti dovranno quindi lavorare su Design e Food-Design legati allo sviluppo di nuove idee e progetti sul mondo dell’espresso, ricercando concetti, modalità e oggetti innovativi connessi al momento del consumo di caffè. Il workshop è un’iniziativa inserita nel programma di partnership quinquennale per l’attività di ricerca e sviluppo siglato nel 2009 tra Lavazza e Politecnico, Polo d’eccellenza della formazione tecnica riconosciuto a livello internazionale. Il contributo fondamentale alla realizzazione del workshop è dato dal Training Center Lavazza di Torino, struttura che da oltre 30 anni si impegna nella formazione e aggiornamento dei professionisti del settore, oltre che alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti e oggetti legati al mondo del caffè.

Lavazza è stata la prima azienda a creare nel 1979 un’istituzione dedicata alla formazione, una vera e propria scuola dell’espresso che oggi è diventata un network internazionale con oltre 45 sedi sparse nei 5 continenti e finalizzate alla diffusione a livello mondiale della cultura dell’autentico espresso italiano. Il workshop, che durerà fino a venerdì si svolgerà presso l’ Innovation Center Lavazza, centro dedicato alla Ricerca e Sviluppo nel quale si trova anche il Training Center (Strada Settimo 410) e presso la nuova Cittadella del Design in corso Settembrini 178. Tutor del progetto è Marcello Arcangeli – responsabile dello sviluppo nuovi prodotti a base espresso e dei Training Center – che avrà una parte attiva nella preparazione culturale degli studenti attraverso esperienze aderenti alla loro formazione, ma atipiche in quanto legate al mondo del food and beverage.

Arcangeli metterà quindi a disposizione degli studenti l’expertise e la competenza di Lavazza in materia di caffè, di design e food design offrendo nuovi stimoli e suggerendo nuovi percorsi nell’ambito del workshop “Coffee Design”. Lavazza conferma così il suo impegno nel promuovere la cultura dell’espresso a livello internazionale, testimoniando l’attenzione che l’azienda dedica alla formazione, anche attraverso una sempre più sinergica collaborazione con il mondo accademico.

Colazione a casa: come gli italiani stanno modellando i consumi

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colazione
Mornings.com ha stilato una classifica dei 10 hotel migliori scelti in tutto il mondo (selezionati in 133 capitali) che offrono una colazione indimenticabile basandosi sui giudizi dei clienti su TripAdvisor.

MILANO – Sul quotidiano La Stampa di sabato è uscito in prima pagina un interessante commento del professor Mario Deaglio sulla crisi in Italia, dove si parla anche della tendenza della colazione in casa. Ve lo proponiamo.

di Mario Deaglio

Colazione dentro casa: una tendenza al risparmio

E’ mai possibile che a dicembre, ossia sotto le feste, nella stagione dei regali e dei cenoni, gli italiani abbiano speso, per gli acquisti nei negozi e nei supermercati meno di quel che avevano speso a novembre? Senza esitazione, l’Istat risponde di sì: rispetto al dicembre del 2010 è una vera e propria Caporetto, con il 3,7 per cento in meno per gli acquisti di beni non alimentari e l’1,7 per cento in meno per gli acquisti alimentari. La curva delle vendite del commercio al dettaglio degli ultimi due anni fa male agli occhi, con un lieve scivolamento dal dicembre 2009 al febbraio 2011 divenuto sempre più rapido a partire dal marzo dell’anno passato.

I consumi hanno reagito molto peggio nel 2011 che nel 2008-09

Quando la crisi finanziaria aveva cominciato a colpire duramente l’economia reale. In giugno siamo scesi sotto il livello di consumi del 2005 (quando i residenti in Italia erano due milioni e mezzo in meno); ora siamo scesi al livello del luglio 2004. E non si tratta certo di una «decrescita felice» auspicata da chi è contrario al consumismo ma di una contrazione che avviene in un clima di durezza e di crescente incertezza. Un’indagine del Cermes, il Centro di Ricerca su Marketing e Servizi dell’Università Bocconi, mostra chiaramente che questa caduta dei consumi si sta accompagnando a un forte mutamento qualitativo, che invece non si era verificato, per lo meno con questa ampiezza, nella contrazione dei consumi di tre anni fa.

Colazione a casa: il modello tradizionale del consumismo sembra tramontato

Il consumatore «bamboccione», stregato dalla pubblicità, ha perso il suo sorriso un po’ assente, si è fatto, duro, attento, determinato a vender cara la propria pelle, ossia a centellinare i centesimi, invece di spendere allegramente gli euro. Forse si sta realizzando ora in Italia un mutamento di comportamenti consumistici parallelo a quello che si è verificato negli Stati Uniti a partire da 4-5 anni fa.

Tale comportamento sembra articolarsi in due diverse strategie di consumo

La prima consiste nel trasferire all’interno delle pareti domestiche attività il cui prodotto veniva in precedenza acquistato all’esterno. Una buona colazione mattutina sostituisce sempre più frequentemente il «salto al bar» nella pausa caffè; si può prendere il caffè a casa, magari con le nuove macchinette a cialde, con le quali una tazzina costa più cara di quella della caffettiera normale ma assai meno di quella dei bar; e sono sempre più frequenti i casi di coloro che hanno ricominciato a fare il pane in casa invece di comprarlo.

La seconda strategia consiste nell’adeguare la spesa alle (ridotte) risorse finanziarie che si intendono dedicare ai consumi, non solo per necessità ma qualche volta anche per scelta. Gli ipermercati diventano luoghi di tentazione invece che luoghi di soddisfazione dei bisogni; meglio quindi acquisti piccoli e frequenti, adatti ai soldi effettivamente in tasca, che la «gita» ai templi del consumo dalla quale si esce con il portabagagli strapieno di prodotti, una parte dei quali senza saper veramente perché.

Le offerte «prendi tre, paghi due» non sono allettanti quando si ha necessità di un solo prodotto; le confezioni piccole sono preferite a quelle grandi anche se durano meno perché alleggeriscono meno il portafoglio. E naturalmente, bando agli sprechi: gli italiani stanno (ri)imparando a non buttar via nulla.

Gli italiani non sembrano resistere con tagli «orizzontali» che toccano ogni tipo di prodotti, ma reagiscono, modellando i consumi sul reddito. Sembra così di intravedere un comportamento «attivo», quasi un riappropriarsi di facoltà di scelta, di decisioni che per vari decenni gli italiani, come i cittadini degli altri Paesi ricchi, avevano delegato di fatto ai pubblicitari. Il termine «frugalità», reintrodotto nel vocabolario americano quattro anni fa per indicare un atteggiamento responsabile rispetto ai beni, ha forse trovato la sua strada anche in Italia.

Tale atteggiamento sembra far capolino anche nelle scelte lavorative

Con casi recenti, da seguire con attenzione, di ritorno degli italiani verso occupazioni e mestieri fino a pochissimo tempo fa «snobbati» e lasciati agli immigrati. L’Italia che uscirà dalla crisi – che ha probabilmente toccato il picco a gennaio e febbraio, anche per motivi meteorologici, con il freddo che limitava l’offerta degli alimentari freschi e teneva i consumatori lontani dai luoghi dell’acquisto – sarà probabilmente diversa, più responsabile, più reattiva dell’Italia che vi è entrata, quasi senza accorgersene e dopo averne negato a lungo l’esistenza. Potrà sembrare una piccola cosa, ma è proprio su questa diversità di atteggiamento che occorre costruire, se questo Paese vuole avere un futuro. Per saperne di più: http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplRubriche/editoriali/gEditoriali.asp?ID_blog=25&ID_articolo=9814&ID_sezione=29

Volano le vendite di Dolce Gusto e Vevey annuncia l’apertura di un nuovo stabilimento in Germania

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MILANO – In casa Nestlé caffè porzionato non fa rima soltanto con Nespresso, ma anche con Nescafé Dolce Gusto, il sistema a capsule che consente di preparare una vasta gamma di bevande a base di caffè, latte (utilizza serving di caffè solubile e latte intero in polvere), cioccolato e tè. Lanciato nel 2006 in Germania, Svizzera e Gran Bretagna, Dolce Gusto è oggi disponibile in 56 paesi di tutto il mondo (di cui 41 europei) ed è market leader (secondo dati forniti dall’azienda) in una ventina di nazioni.

A differenza di Nespresso, Dolce Gusto è commercializzato anche nella grande distribuzione, oltre che attraverso l’e-commerce. Con un tasso di crescita che supera il 50% è una delle attività in maggiore espansione del colosso alimentare elvetico, con buone prospettive di doppiare il capo del miliardo di franchi svizzeri di fatturato nel 2013. Una crescita impetuosa, che ha spinto la multinazionale di Vevey a decidere l’apertura di un terzo stabilimento produttivo, dopo quelli di Tutbury (Inghilterra) e Girona (Spagna).

La nuova fabbrica sorgerà a Schwerin, la capitale del land tedesco di Meclemburgo-Pomerania Anteriore, nell’ex Germania est. Investimento previsto: 220 milioni di euro. Lo stabilimento, che sarà operativo entro la fine del prossimo anno, verrà dedicato esclusivamente al brand Dolce Gusto, con 12 linee di produzione che daranno lavoro a 450 dipendenti. Si affiancherà ai due stabilimenti preesistenti, le cui capacità produttive, pur essendo state considerevolmente potenziate in tempi recenti, risultano ormai saturate.

Lo scorso anno, Nestlé ha varato un investimento per 64 milioni di franchi svizzeri nello stabilimento di Girona, vicino a Barcellona, con l’intento di portare la produzione a 2,5 miliardi di capsule all’anno a partire dal 2012. Ben 110 milioni di sterline sono stati destinati inoltre, sempre l’anno scorso, al sito produttivo di Tutbury allo scopo di triplicarne la produzione. La fabbrica dello Staffordshire funziona attualmente a pieno regime e sforna, secondo fonti stampa, 4 milioni di capsule al giorno.

“Abbiamo scelto Schwerin per tre ragioni – ha dichiarato venerdì Laurent Freixe, Direttore Zona Europa Nestlé S.A, durante la conferenza stampa di presentazione svoltasi nella città tedesca – La prima è che la Germania è il massimo mercato mondiale di Nescafé Dolce Gusto in termini di vendite. Inoltre, qui possiamo trovare un’eccellente forza lavoro, con ottime competenze tecniche. In terzo luogo, Schwerin gode di una posizione geografica e logistica privilegiate, a soli 100 km da Amburgo, massimo porto europeo per le importazioni di caffè”. “Quello di Schwerin è uno dei nostri maggiori investimenti in Europa – ha aggiunto Freixe – e la creazione di questo stabilimento dimostra la fiducia riposta in questo paese, dove Nestlé è presente da oltre 110 anni”.

Caratterizzeranno lo stabilimento di Scherwin avanzate soluzioni eco-friendly, in forza delle quali Nestlé punta a richiedere la certificazione Leed (leadership in energy and environmental design), rilasciata dall’United States Green Building Council. La Germania è il quarto mercato globale di Nestlé. L’anno scorso, il gruppo svizzero ha aperto a Biessenhofen (Baviera) uno stabilimento per la produzione di latte in polvere per lattanti ipoallergenico con un investimento di 117 milioni di euro. Ha investito inoltre rispettivamente 35 e 45 milioni di euro per ampliare gli stabilimenti Groß-Gerau (prodotti dolciari surgelati a marchio Erlenbacher) nel Land di Hessen, e Otzenhausen (pizza a marchio Wagner) nel Land di Saarland.

Parlando con i media Freixe si è dichiarato fiducioso quanto alla possibilità del suo gruppo di generare nel vecchio continente risultati superiori a quelli del mercato, nonostante un outlook economico in deterioramento. “Nestlé sta investendo nei mercati emergenti, ma prevediamo tassi di crescita significativi anche in quelli sviluppati, compresa l’Europa – ha affermato in un’intervista – Abbiamo accelerato i nostri investimenti nel vecchio continente nel corso degli ultimi 2-3 anni e quest’anno essi registreranno un ulteriore lieve incremento sull’esercizio precedente. Non ci sarà nessuna riduzione del Capex (spese per capitale) a causa della situazione economica”.

Tornando al ridimensionamento dell’outlook nelle più recenti previsioni intermedie della Commissione europea (presentate il 23 febbraio), che preannunciano un ristagno dell’economia dell’insieme dell’UE e una leggera recessione nell’area dell’euro, Freixe ha espresso comunque moderato ottimismo per quanto riguarda il business di Nestlé. “La maggior parte dei governi hanno imposto misure di austerità, che avranno un impatto sul reddito disponibile. Probabilmente, l’Europa nel suo complesso non registrerà crescita economica. Ma credo che l’alimentare abbia buone capacità di reazione. L’anno scorso Nestlé è cresciuta complessivamente in Europa del 5%, facendo meglio di molti suoi concorrenti e sono convinto che anche quest’anno, nonostante le numerose incertezze, potremo continuare a crescere migliorando i risultati del 2011”.

Nespresso guarda al medio oriente e prosegue nella sua strategia di espansione sui mercati globali. La società di Losanna ha annunciato recentemente il lancio delle vendite online negli Emirati Arabi Uniti a partire dal secondo trimestre 2012, che verrà accompagnato da un potenziamento della rete di boutiques. “Il medio oriente rappresenta uno dei mercati chiave per il futuro di Nespresso” ha dichiarato il ceo Richard Girardot in un’intervista a Arabian Business sottolineando il forte potenziale di questa regione. Sulla stessa lunghezza d’onda le dichiarazioni del market director per medio oriente, Africa e Caraibi Jean-Marc Dragoli, che ha confermato come gli Emirati siano, assieme all’Arabia Saudita, uno dei mercati prioritari nell’area geografica di sua competenza”.

Dietro gli spot del cacao allusioni erotiche e il richiamo dello status symbol

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MILANO – Sul sito di notizie online Lettera 43 è apparso questa interessante analisi sulla pubblicità del cioccolato di Rossana Malacart*. Ve la proponiamo.

San Valentino e il cioccolato: un binomio tradizionale, capace di evocare romanticismo e sentimenti. Dolcezza allo stato puro, melassa per gli innamorati, nel giorno a loro dedicato, e per le donne. Perché è soprattutto a loro che, nell’immaginario collettivo, è destinato l’omaggio al sapore di cacao. Eppure, a ben vedere, non sempre cioccolato e sentimento viaggiano su binari paralleli.

Perché è un dato di fatto: pubblicitari ed esperti di marketing hanno trasformato il semplice atto di mangiare una barretta o un cioccolatino in un’esperienza al limite della decenza. Spettacolarizzando la comunicazione dei prodotti a base di cacao, sia in televisione sia sulle pagine dei giornali, utilizzando come testimonial attrici belle e famose o con foto patinate e molto sensuali.

UN MOMENTO DI PIACERE. In diversi spot pubblicitari, infatti, la protagonista – una giovane di solito piuttosto attraente che addenta la tavoletta, morde un biscotto o gusta un cucchiaino di gelato – sembra provare un piacere che rasenta quello sessuale (almeno a giudicare dalle sue espressioni). E, allora, il gelato al cioccolato si trasforma in oggetto di desiderio: basta appiccicare al nome un evocativo ed esotico temptation, mentre il biscotto al cacao diventa, nel claim pubblicitario, il tuo «appuntamento quotidiano con il piacere»: le immagini sono eleganti e sofisticate, ma con un retrogusto decisamente hot.

UNO STATUS SOCIALE. E non manca, in alcuni casi, un riferimento al limite del sociologico: consumare un certo tipo di cioccolato (quello delle marche più care, ovvio) è segno di appartenenza a una classe sociale agiata, che apprezza e può permettersi certi piaceri e certi lussi. Il risultato sono messaggi che vogliono comunicare, soprattutto alle donne, che il cioccolato – lontano dall’essere una minaccia per la cellulite e il peso – è sexy, elegante e di classe. E mangiarlo può rappresentare un momento di autogratificazione. Insomma, una tentazione alla quale cedere volentieri (e non necessariamente in compagnia, tanto meno maschile).

Allusioni sessuali e riferimenti sociologici. La pubblicistica poi, informa periodicamente – soprattutto dalle pagine dei rotocalchi femminili – sulle doti dell’alimento, via via scoperte da esperti e nutrizionisti che vanno da proprietà afrodisiache alla creazione di endorfine, sostanze che migliorano l’umore. Ti ha lasciato il fidanzato? Mangiati una tavoletta e ti sentirai meglio. Sei in crisi al lavoro? Una bella fetta di torta al cioccolato e passa tutto. E via con filmati e immagini sempre più esplicite.

LE FESTE DELL’AMBASCIATORE. Esagerazioni di marketing del terzo millennio? Forse no. Chi ha circa 40 anni non può non ricordare il famoso cioccolatino offerto alle ‘feste dell’ambasciatore’ – in un commercial che spopolava negli Anni ’80 – dove prevaleva l’argomento dello status sociale rispetto a quello sessuale. Che non mancava, però, nella strategia di comunicazione dello stesso produttore. In un altro filmato (che si può considerare un mix tra i due aspetti, quello più sociologico e quello più piccante), il coté sensuale veniva infatti evocato, anche se in modo discreto, da un’elegante signora upper class. Rivolgendosi al proprio maggiordomo, la donna sosteneva di «non aver proprio fame, ma voglia di qualcosa di buono». E a quel punto, le ipotesi su che cosa la protagonista dello spot in realtà si aspettasse dal fido domestico potevano essere le più diverse. E non tutte di classe.

«È UN PIACERE MORDERLO». Di sicuro pochissima classe, invece, aveva il famoso spot, introvabile forse per questo persino su Youtube, di un cioccolato a blocchi che in sottofondo proponeva un motivetto orecchiabile: «Quando è lungo così, quando è grosso così, è un piacere morderlo». Quello è passato agli annali: tanto da vantare più di una pagina di fan su Facebook. In quel caso, la componente sessuale era smaccata, senza alcun rimando elegante o sofisticato. E infatti lo spot ebbe vita breve, pur rimanendo nell’immaginario collettivo, ma forse non abbastanza da indurre il committente (una nota multinazionale alimentare) a proseguirne la messa in onda.

Edonismo sfrenato, disimpegno e affettività adolescenziale sempre uguale a se stessa, invece, negli anni, pur con variazioni sul tema, e giocata su una comunicazione delicata, che rimanda a un’affettività quasi adolescenziale, la promozione commerciale di un italianissimo cioccolatino, che proprio nel 2012 compie 50 anni. Qui nessuna leva su argomenti di tipo sessuale, ma un messaggio che ha puntato sul sentimento, senza cavalcare le mode e le più recenti tendenze di marketing che inseguono una donna sempre più presa tra mille impegni: la casa, il lavoro i figli e un marito distratto.

UN MARITO AL CIOCCOLATO. E in tema di compagni poco presenti l’attrice comica americana Tina Frey – famosa negli Stati Uniti per le sue parodie della paladina del Tea Party, Sarah Palin – ha preso in giro le pubblicità tutte «sesso e cacao» degli ultimi anni con un divertente filmato, dove viene pubblicizzato un marito al cioccolato «creato per donne single». Ma perché in tema di cioccolato la comunicazione pubblicitaria in epoche diverse ha fatto leva sui medesimi argomenti?

Negli Anni ’80 probabilmente era solo il piacere fine a se stesso: un po’ sfacciato ed esibito. In fondo, erano gli anni dell’edonismo sfrenato, quello che Roberto D’Agostino (futuro creatore del sito di gossip, ma non solo, Dagospia) chiamava «reganiano». Erano anche gli anni, in tivù, di Colpo grosso e delle ragazze cin-cin, dello Studio 54 di New York, della disco music e del benessere economico. Del disimpegno politico sbandierato, dopo i bui Anni ’70: quelli del terrorismo, del femminismo e delle battaglie per la liberazione sessuale. Ossessione erotica e auto gratificazione.

Ora, i motivi che stanno alla base di una comunicazione pubblicitaria spesso orientata al richiamo sessuale sembrano derivare da un’imperante ossessione estetica. In un mondo dove la magrezza femminile è assurta a valore quasi imprescindibile – una famosa modella ha candidamente rivelato, qualche tempo fa, di non mangiare cibi solidi per due settimane prima di una sfilata di intimo – mangiare cioccolato deve essere “venduto” alle donne come momento che sottintenda un piacere diverso da quello puramente gastronomico.

EROS E GRATIFICAZIONE. E l’aspetto erotico, unito a quello dell’autogratificazione, sembra centrare nel segno. Perché è un fatto: il cioccolato, soprattutto se diventa un appuntamento quotidiano, fa ingrassare. E se tante ragazze, ma anche donne più mature, inseguono canoni di bellezza che le vogliono sempre più esili, sottili e giovani (la modella di 10 anni di una campagna Versace young, figlia di una famosa top model degli Anni ’80, è notizia recente) la tavoletta, il cioccolatino o lo snack dovrebbero in teoria essere off limit.

In un caso o nell’altro, che prevalga nella comunicazione pubblicitaria il voyerismo un po’ sfacciato e pecoreccio, come negli Anni ’80, o trionfi il diktat della donna snella a tutti i costi, il risultato è lo stesso: per vendere (e non solo il cioccolato) non c’è niente di meglio del corpo delle donne.

 

Ferrero investirà 190 milioni di dollari nel centro del Messico

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I consumi di caffè sono triplicati nel Messico

MILANO – Ferrero investirà 190 milioni di dollari per la costruzione di una fabbrica a Guanajuato, nel centro del Messico. Lo ha reso noto la presidenza del Messico. L’impianto darà lavoro a 500 dipendenti, che si aggiungeranno ai 600 già impiegati nella parte commerciale che il gruppo italiano possiede nel Paese.

Il progetto, ha precisato Giuseppe D’Angelo, direttore di Ferrero per l’America, l’Australia e l’Inghilterra, è di portare il numero degli occupati in Messico a 1.500 unità nei prossimi anni.

La fabbrica di Guanajuato, che sarà operativa nel 2013, dovrebbe produrre ogni anno 35mila tonnellate di diversi prodotti del gruppo ha precisato D’ Angelo, presente sul posto assieme al presidente messicano Felipe Calderon.