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venerdì 29 Novembre 2024
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Ferrero crea una nuova area produttiva in Messico

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MESSICO – Ferrero investirà 190 milioni di dollari per la realizzazione di un nuovo stabilimento presso il parco industriale Parque Opcòn, a San Josè Iturbide nello Stato di Guanajuato in Messico.

Il nuovo stabilimento produrrà prodotti Kinder e Nutella, destinati al mercato locale ed export in Nord America (USA e Canada). L’impianto inizierà la produzione da Maggio 2013 e darà lavoro, quando sarà a regime, a 500 persone che si andranno ad aggiungere alle 600 già operative per la B.U. Ferrero de Mexico, con l’obiettivo di crescere ulteriormente nei prossimi anni.

Alla conferenza stampa sono intervenuti, tra gli altri, Giuseppe D’Angelo, responsabile Ferrero per l’area Anglo-Americas e l’Ambasciatore Roberto Spinelli, rappresentante dell’Italia in Messico.

Cerimonia del tè 4.0: a Roma, la performance live sul tetto del Macro

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cerimonia tè Kasia Vermaire tea time tuocha
Un'usanza affascinante diffusa soprattutto in Marocco

ROMA – Performance live sul tetto dell’auditorium al Macro a Roma dell’artista «neenster» giapponese Mai Ueda domani alle 16:44. Electronic Tea Ceremony è un connubio tra antico e moderno, teatralizzato dall’oscillare del corpo, all’insegna di nuove interpretazioni visionarie del tea-time. L’artista presenterà anche il suo nuovo libro Drawings From My Previous Life, una raccolta di ritratti ad acquerello di amici conosciuti negli ultimi 10 anni, quando faceva parte del movimento artistico «Neen».

Cerimonia del tè in chiave moderna

La performance apre MACROeo (electronicOrphanage), un progetto ideato dall’artista Miltos Manetas che si configura come una piattaforma di riflessione sulle nuove tecnologie e sulle prospettive aperte dai new media. Mai Ueda è nata a Osaka in Giappone nel 1978, vive e lavora a New York. È molto apprezzata a livello internazionale per il suo lavoro che da sempre si ispira al meta-mondo di Internet, la cultura pop americana, la moda francese, lo sciamanismo del Sud America, lo yoga, il tantra tibetano e la meditazione.

«Neen – ha detto l’artista – ha rappresentato per me un nuovo e diverso approccio al mondo dell’arte contemporanea. E’ sorprendente vedere come è possibile produrre poesia e bellezza con l’uso della tecnologia e dei dispositivi Internet».

Caffè degli Specchi: finalmente la riapertura del locale storico e letterario

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caffè degli specchi Trieste
Lo storico Caffè degli specchi di Trieste

TRIESTE – Davanti alle sue vetrate è passato il secolo breve Paolo Rumiz ha raccontato lunedì sul quotidiano Repubblica l’imminente riapertura del Caffè degli Specchi. Ve lo proponiamo. di Paolo Rumiz. La rivolta contro gli Alleati le sparatorie con i morti del ’53. E ancora l’arrivo dei bersaglieri in un mare di tricolori, i comizi del sindaco Bartoli (“Gianni Lacrima”) e quelli “italianissimi” di Giorgio Almirante con pretoriani in camicia nera e un giovanissimo Fini al seguito. “Quando riapre?”, si sono chiesti per mesi i triestini passando davanti alle sue porte chiuse in piazza Unità, e la domanda riguardava tacitamente gli “Specchi”, il caffè più famoso, “Tukor Kavehaz” per i magiari, “Café aux miroirs” per i francesi, il salotto buono su cui dal 1839, anno dell’apertura, sono sventolate ben 5 bandiere nazionali.

Caffè degli Specchi: ora c’è la risposta: riapre a marzo

Dopo la resa della precedente gestione agli affitti delle Assicurazioni Generali, arriva Segafredo Zanetti, e già ci si chiede come si rapporterà il nuovo inquilino con una città che ha offerto dedizione all’Austria per mezzo millennio, specie in una piazza dove ogni pietra, eccetto i pili dell’alzabandiera, parla tedesco. Luogo di specchi e di donne allo specchio, di identità che si mescolano e si contrappongono, metafora di un luogo complesso e plurale, sfondo di trame e amori, misteri e delitti.

E’ un’atmosfera viennese da film “Il terzo uomo” quella che Giuliana Morandini evoca nel libro che ha per titolo appunto Caffè Specchi, premio Viareggio 1983. E specchio, il primo caffè di Trieste lo è a tutti gli effetti: perché è lo spazio dove la comunità celebra il rito dell’appartenenza. Specchio, anche, delle metamorfosi dei tempi, simboleggiate dai ripetuti restauri (anche la nuova gestione ha voluto lasciare il segno) che rendono quasi impossibile ripescarne il volto originale.

Oggi nessuno sa com’era il caffè nel 1839, quando il greco Nicolò Priovolo lo aprì al pianoterra del sontuoso palazzo di un altro greco, l’imprenditore Nicolò Stratti. Dell’epoca resta solo, alla sommità della facciata, un’allegoria statuaria di tutto ciò che Trieste ha perduto: arti, industria, navigazione e ferrovie. Forse per queste continue trasformazioni gli “Specchi” hanno poca letteratura rispetto al “Tommaseo” o al “San Marco”. Gli “Specchi” erano troppo illuminati, troppo sotto sorveglianza per covare un’identità segreta. In un libro di Stelio Vinci, il vecchio assicuratore Fritz Morway racconta per esempio che tra le due guerre alla fine del Kippur gli ebrei che andavano a rifocillarsi al “San Marco” della contigua sinagoga erano così tanti che formavano lunghe code come in guerra ai tempi del razionamento. Spiegare a un napoletano o un milanese un posto come gli “Specchi” è come dire a un americano che la birra non va tracannata dalla bottiglia ma in bicchiere. Impresa disperata. Il caffè-bar in Italia è un posto dove si beve in piedi; nei vecchi locali di Trieste invece si sta ai tavoli tra velluti, séparé e poltroncine.

Come in Austria, chi consuma al banco è compatito o guardato con disapprovazione (“Sie sind nicht ein Pferd”, non sei un cavallo, ho sentito dire a uno straniero che si ostinava a bere in piedi a Vienna) e anche agli “Specchi” è inconcepibile la posizione eretta, inimmaginabile la consumazione frettolosa. Ai sui tavoli si assiste al tramonto sul mare, si consuma un rito sabbatico di lentezza.

Nei caffè tradizionali, i triestini ci vanno per nascondersi, stare in pace, studiare, attendere qualcuno, infrattarsi da soli o in conventicole

A fine Ottocento al “Greco” i mercati di sete fumavano il narghilè o la pipa di gelsomino, “vestiti in abiti scarlatti sfavillanti d’oro”. A pochi metri dagli “Specchi” c’era il “Garibaldi” (ex “Municipio” e prima ancora “Litke”) e lì – racconta Vinci – negli anni Venti trovavi alla stessa tavola giganti come Svevo, Joyce, Saba, Stuparich, Bazlen. Stendhal andava a scrivere al “Tommaseo” e al “San Marco” c’era Magris, che ora fugge nella buia sala interna dello “Stella Polare”. Per conquistarsi la pace, c’era persino chi affrontava esodi. Giorgio Voghera con Alma Morpurgo e Piero Kern, trio di vegliardi inimitabili, dopo infiniti traslochi finirono per approdare al periferico “Bar Giulia”, a due passi dagli alambicchi del defunto birrificio “Dreher”. “Al prezzo di un cappuccino me ne stavo in pace intere mezze giornate al caffè Milano a preparare la tesi, e nessuno si sognava di farmi fretta” racconta Elvio Guagnini, storico della letteratura. “Mi faceva compagnia il rumore dei rimbalzi del biliardo della sala attigua. Ogni caffè aveva la sua acustica”.

Ma era lo sfoglio delle pagine di giornale il sottofondo dominante. Già nel 1865 i caffè triestini avevanoa disposizione 48 testate, di cui 23 italiane, 17 in lingua tedesca, sei francesi e due inglesi, tutto con intelaiature di legno. Erano il nascondiglio, la tana. Agli “Specchi”, invece, ci si è sempre andati per mostrarsi. Nel libro “La città dei venti” Veit Heinichen ironizza sulle “triestine biondo platino” con cagnolino, anch’esse “ristrutturate” come il caffè dei mille restauri. Ma agli “Specchi” ci si va soprattutto per sapere cosa accade fuori, perché fuori c’è la piazza più bella del Mediterraneo, il municipio, il mare delle grandi navi. In 172 anni lì è passato di tutto.

La partenza di Massimiliano d’Asburgo per il Messico fatale

L’interramento del porticciolo, la demolizione della “Locanda Grande” ricettacolo di avventurieri dove dormì Casanova e venne ucciso l’archeologo Winkelmann, la prima passeggiata di Elisabetta d’Austria con cappellino e veletta sul mare che non ha mai conosciuto. “Il 20 settembre del 1902 – racconta Gianni Pistrini, specialista di caffè – un commando di irredentisti salì sulla torretta del municipio, issò sul pennone un tricolore e poi, andandosene, bloccò con piombo fuso la serratura della scala d’accesso, di modo che ci vollero ore per rimettere il vessillo austriaco”. Dagli “Specchi” si vide tutto: l’arrivo e la fuga dei patrioti, il trambusto dei gendarmi.

Si videro anche gli irredentisti fare irruzione tra i tavoli per mangiare gratis a spese degli austriacanti derisi come servi, o meglio “leccapiattini”. Gli “Specchi” erano famosi per le orchestrine all’aperto.

In una cartolina primi Novecento con réclame delle acque diuretiche di Carlsbad, si annunciano musiche di Kallmeyer, Verdi, Gounod, Mascagni, Strauss. Nel Ventennio sono i repertori del maestro Attilio Safred e, appena si spegne l’eco di “Giovinezza”, ecco sbarcare il boogie woogie degli Alleati, che requisiscono il locale per le loro feste, cui le gettonatissime “mule” triestine possono partecipare solo se accompagnate da angloamericani. E intanto, fuori, il popolino escluso si prendeva la sua rivincita, anch’esso in musica: “In piazza granda / cafè dei speci / xe quatro veci / che bevi el cafè”.

Starbucks: attenzione alla falsa campagna che ruba i dati personali

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starbucks
Il logo di Starbucks

MILANO – Gli specialisti di G-Data hanno reso nota un’altra truffa online, che dilaga attraverso il notissimo social network blu, riguardante la catena internazionale di caffè Starbucks. La pagina della campagna truffaldina è caratterizzata da un design semplice con testi in inglese (per attirare un maggior numero di utenti), dove si viene invitati a condividere un post sulla propria Bacheca cliccando ‘Mi piace’.

Starbuck coinvolto in una truffa

La truffa sta facendo il giro di tutt’Europa e grazie al social network più famoso del mondo continuerà ad espandersi virtualmente. Dopo aver seguito le indicazioni della campagna si aprirà una finestra pop-up in cui, all’utente, viene comunicato di essere il vincitore della giornata. L’ignaro malcapitato viene, in seguito, invitato a scegliere uno tra i numerosissimi premi in palio: prodotti hi-tech, buoni regalo, ecc. A questo punto, il riferimento a Starbucks scompare misteriosamente e l’utente viene incalzato, attraverso un minaccioso timer, a cliccare velocemente sul premio che desidera ricevere, prima che il tempo scada. Alla fine, ovviamente, vengono richieste informazioni personali di vario genere (nome, cognome, e-mail, indirizzo, numero di telefono, ecc.) per confermare la propria partecipazione e per ricevere il fantomatico premio.

Se l’utente fornisce i dati richiesti diventerà vittima ignara di campagne spam o alti tipi di truffe

In Germania, per esempio, all’utente è stato richiesto, talvolta, solo l’inserimento del numero di cellulare sottoscrivendo così involontariamente un abbonamento del costo di 4.99 euro a settimana. Inutile dire che nessuno ha mai ricevuto e mai riceverà i premi promessi. Difendersi dalle truffe e dai virus su Facebook non è semplice, bisogna fare molta attenzione, avere un antivirus sempre aggiornato e diffidare sempre.

McCafé: ecco il latte fresco pastorizzato di Brescia per il cappuccino

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insegna McCafé mcdonald's
Un'insegna McCafé, le caffetterie abbinate ai McDonald's

BRESCIA – Da questa settimana Recappuccio, il latte fresco pastorizzato (sul mercato dal 2008) espressamente studiato dalla Centrale del Latte di Brescia per il canale bar, sarà utilizzato all’angolo caffetteria nei McDonald’s d’Italia nei McCafé. Un’efficace possibilità di scelta incontra allora un pubblico di fruitori sempre più attento ed esigente. Ne abbiamo parlato con Andrea Bartolozzi, direttore generale e commerciale della Centrale del Latte. «Il localismo, la brescianità nel senso agroalimentare ha trovato espressione in Centrale nel mix strategico tradizione e innovazione. I baristi lamentavano l’assenza di un latte da bar loro dedicato, per un cappuccio dalla schiuma compatta, durevole e cremosa. Con Recappuccio, venduto con soddisfazione in tutto il Centro-Nord e in crescita, si fanno da ben 4 anni i campionati italiani di caffetteria. Alcuni imprenditori bresciani licenziatari dei McDonald’s – strutture dinamiche e innovative, vere e proprie aree di business – hanno segnalato ai vertici della multinazionale la valenza di questo nostro prodotto e da lì è nata la partnership».

McCafé partner del clima aziendale sereno, il segreto del successo della Centrale del Latte:

«Qui non c’è il “padrun” che fiata sul collo: la motivazione è la condivisione della strategia da un lato e quindi la serenità dall’altro. Ma si badi bene, non è come un “mulino bianco”, perché la Centrale non è un’azienda a capitale pubblico in senso ortodosso: siamo su un libero mercato, facciamo profitti attraverso i canali di vendita né più né meno di altre aziende private, magari più grandi. Al popolo bresciano va il merito di aver sempre premiato con entusiasmo le nuove proposte, cosa che ha mantenuto alto il valore del marchio. I supermercati hanno dovuto accettare una gamma di prodotti locali assai più ampia di quanto accade in altre parti d’Italia, dove da Aosta ad Agrigento si tenta di omologare l’assortimento».

In un contesto quindi ormai globalizzato, i sistemi di conservazione e di trasporto prodotti permettono ad aziende distanti di essere competitive, in aree prima non concorrenziali”.

Come ha reagito la Centrale?

«La Centrale – con dimensioni più limitate rispetto ai big di settore – si è trovata come Davide con Golia. E se il mercato bresciano era, ed è, il nostro riferimento, da solo non sarebbe stato sufficiente per mantenere quei conti in ordine, con risorse da destinare agli investimenti, che abbiamo saputo garantire grazie alla crescita fuori provincia. La leva è stata dunque la combinazione tra qualità intrinseca (e durevole) dei prodotti e capacità d’innovazione. Fuori Brescia le produzioni di via Lamarmora sono anche a marchio di altre realtà che credono in un progetto con Centrale e nei suoi prodotti tecnologicamente innovativi. Il mascarpone Ambrosi a nostro marchio è esportato nel mondo e a sua volta Ambrosi produce per noi un ottimo grana grattugiato solo con forme bresciane. Un altro esempio: la Centrale è accreditata nel mondo anglosassone dal British Retail Consortium».

Si può dire che Recappuccio stia per estendere il suo «regno» anche alla maggior catena di fast food mondiale? «Davide può vincere contro Golia lavorando sulle specializzazioni, con produzioni artigianali dal valore aggiunto, fatte con rigore industriale. Prendiamo a Brescia gli spunti e le risorse per affrontare la guerra – scherza Bartolozzi -. E le voci sulla cessione di quote azionarie non ci preoccupano. Noi non creiamo problemi, bensì utili e dividendi che possono contribuire ad alleviare le difficoltà di bilancio del Comune». Fonte: Giornale di Brescia

Il paradosso della caffeina: Perché il caffè non sempre ci dà energia

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caffeina caffè
Un effetto della caffeina

MILANO – Perché il caffè non sempre ci dà energia. Molti di noi usano il caffè per svegliarsi la mattina, tuttavia il caffè potrebbe farci sentire più stanchi per due ragioni. La prima è che quando si consuma caffè in eccesso il metabolismo subisce un’accelerazione seguito poi da un “crash”. La seconda è che la caffeina ha un effetto disidratante.

Caffeina: non sempre aiuta

Quando ci svegliamo alla mattina tendiamo già a essere disidratati perché non beviamo da ore. Se oltre il caffè non beviamo altro il livello di disidratazione aumenterà e prosciugherà le nostre energie. La soluzione è bere sempre un bicchiere d’acqua insieme al caffè. Fonte: blog.leiweb.it

Ipack-Ima rivoluzionano il packaging: ecco quello funzionale, economico smarts

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L'edizione del 2021 di Ipack-Ima, all'insegna delle innovazioni

MILANO – Prosegue fino a sabato il salone Ipack – Ima di imballaggio alimentare si parla in questi giorni delineando quale sarà il futuro del settore. Quando il packaging proteggerà e conserverò il prodotto, tutelerà la salute e l’ambiente grazie a materiali innovativi destinati a soppiantare quelli di vecchia concezione, difficilmente riciclabili e non sempre in grado di garantire lunghe durate: strati sottili di materiali polimerici che consentono un migliore effetto barriera contro ossigeno, vapore acqueo, temperatura e radiazioni Uv, impedendo quasi completamente il rilascio di sostanze dall’ambiente verso l’alimento e viceversa.

Ipack-Ima guarda al futuro dell’imballaggio

Ma c’è di più: il nuovo packaging è anche “intelligente”, cioè capace di controllare e indicare la perdita di qualità del prodotto nel tempo dovuta, tra le tante cause, alla crescita microbica. Tags posizionati sull’involucro esterno misurano l’activity water, la freschezza del prodotto, attraverso il rapporto fra la tensione di vapore dell’acqua e l’alimento stesso, su cui agiscono l’integrità dell’involucro, il tempo trascorso dalla data di confezionamento, la temperatura, le variazioni di pH, le migrazioni di nutrienti e altri importanti fattori.

A tracciare l’identikit del packaging del futuro, biodegradabile, resistente agli agenti esterni ed economico, è la ricerca

“Nuovi materiali polimerici per l’imballaggio rigido e flessibile di alimenti”, coordinata dal dipartime, una delle quattro selezionate (su oltre 100 presentate) del progetto Axìa, promosso nel 2009 dal gruppo Nestlè in Italia in collaborazione con la Conferenza dei Rettori delle Università Italiane e presentata all’Università Iulm di Milano, in occasione della giornata di lavori “Dalla sostenibilità alla sostenAbilità”.

Spagna, la crisi economica spegne la movida: 12.000 locali chiusi negli ultimi tre anni

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MADRID – La movida spagnola è una delle principali vittime della crisi che negli ultimi tre anni, in Spagna, ha colpito il settore dei locali notturni, delle discoteche, assieme a quello dei bar e della ristorazione.

Complessivamente hanno chiuso oltre 12.000 locali, passati dal record di 232.000 registrati nel 2008, ai 220.000 alla chiusura dell’esercizio 2011, secondo i dati dell’Annuario 2012 della società di consulting Nielsen, diffusi oggi. Nell’ultimo anno il settore della ristorazione ha patito anche gli effetti dell’inasprimento del divieto di fumo con la chiusura di 3.000 esercizi commerciali, che si aggiungono ai 4000 chiusi nel 2010 e ai 5.000 nel 2009.

Le chiusure maggiori hanno riguardato i locali di svago notturno (-2,3%), seguiti da hotel e ristoranti (-1,4%), e da caffetterie e bar (-0.5%). Secondo la società di consulting, le chiusure, direttamente collegate alla crisi, hanno portato il numero complessivo di locali simile a quello registrato nel 1997.

 

Il racconto del Bar di Lazzaro: dolce senza zucchero

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C’era una volta un Bar. E c’era una volta un uomo. Il bar era il Bar Pesa (c’è ancora), l’uomo si chiamava (si chiama) Lazzaro. E poi c’era una macchina per fare il caffè. Una macchina che cominciava a funzionare prima del sorgere del sole e continuava tutto il giorno fino a quando la notte si scioglieva fondendosi nell’alba del giorno dopo.

Il primo ricordo che ho del Bar Pesa è il gelato che avevano: un gelato al profumo del Crèm Caramel. Un gusto unico in città, negli anni ’70 del secolo scorso, un gelato realizzato con una ricetta segreta, con un sapore intenso come solo la memoria dell’infanzia può cucinare. Il Bar era di fianco alla Pesa pubblica, quella che certificava i commerci in tempi in cui l’agricoltura era ancora dei contadini. Contadini che venivano in città e, mentre la Pesa pesava le loro merci, potevano prendersi il meritato caffè di Lazzaro: l’uomo che guidava la sua macchina del caffè come Nuvolari la sua automobile.

Proprio di fronte alla Pesa e al Bar ci stava la via Emilia, quella via Emilia che attraversava i centri delle città prima che arrivassero le circonvallazioni e le autostrade. E in una città senza ancora autostrada, le domeniche d’estate, il Bar Pesa diventava la stazione di sosta a mezza via tra Bologna e il mare. Una pausa che ancora manteneva la memoria dell’odore, del puzzo anche, dei cavalli da poco sorpassati dalle automobili. Una sosta che presto sarebbe divenuta rapidissima in qualche autogrill anonimo dell’A14, ma che ancora in quel luogo celebrava il tempo lento della stazione di Posta che per secoli aveva ritmato i viaggi e i commerci. Ma un giorno Lazzaro si è stancato di alzarsi all’alba; si è stancato di ragionare con clienti sempre più impazienti e spazientiti, e si è messo in pensione. Lo si incontra ancora qualche volta lungo il Viale della Stazione, lì vicino al suo Bar. Chissà cosa pensa nelle sue passeggiate. Sono sicuro che gli manca l’aroma del caffè, il profumo che anticipava il gusto nero di quel caffè buono che faceva lui, quel caffè che ti versava in una tazzina infuocata da non riuscire a tenerla in mano. Un caffè denso e bollente, era il suo. L’aroma del caffè L’aroma del caffè alimenta la memoria, la nutre.

È sufficiente socchiudere appena gli occhi e la scena si apre su una mattina di qualche anno fa, non era ancora l’alba, poco prima di partire per un viaggio verso un luogo lontano, ma lontano davvero, da quel Bar e da quella Pesa. L’atmosfera era speciale: il sospiro del vapore della macchina del caffè già accesa, la giacca bianca di Lazzaro non del tutto abbottonata, il suo sguardo mezzo addormentato e il mio zaino appoggiato a terra. Il viaggio era già iniziato e io non ero ancora partito, per farlo aspettavo il caffè di Lazzaro. E intanto respiravo tutto il buono che quel posto così “vecchio”, così antimoderno continuava a emanare. Ecco. Il Bar della Pesa era uno di quei posti dove ogni giorno iniziavi un viaggio, una chiacchiera, una discussione. Oppure raccoglievi un pettegolezzo, una boiata, un’anticipazione del consiglio comunale…

L’altro giorno mi sono fermato di nuovo al Bar Pesa. Era un po’ di tempo che non ci passavo. Il bar ha cambiato gestione già da qualche anno, ma fino a poco tempo fa era rimasto “vecchio” come era una volta. Lazzaro non c’era più, ma la macchina per il caffè sì. Le pareti non intonacate di fresco erano impregnate dell’aroma delle storie di tutti quelli che erano passati da lì. Il trapasso verso la nuova gestione era stato indolore anche per i nostalgici come me. Sì, molte cose erano cambiate. Gli orari sono diventati più “umani” per chi ci lavora ora. Non si apre all’alba e non si chiude a notte fonda, ma il resto – più o meno – era rimasto come prima. Ma dall’altro giorno no. Tutto è cambiato. L’intonaco è fresco, i colori vivaci e rifatti, le sedie, quelle belle sedie “vecchie” di legno, su cui tanti culi si sono seduti, sostituite da moderne sedie di plastica. Mi sono guardato intorno un po’ stranito. Non lo riconoscevo più quel posto. Come uno che si sveglia dopo tanto tempo, dopo tanti anni, e si guarda intorno e non riconosce più il mondo come è diventato. Sì lo spazio è più o meno quello, le persone anche, ma è cambiato tutto.

Il colpo al cuore, però, è arrivato quando ho alzato lo sguardo: sopra la macchina del caffè di Lazzaro, al posto della mensola coi liquori, ora c’è un orologio enorme, tutto grigio e tutto digitale, di quelli che ti dicono le ore con i numeri quadrati e non con le lancette; quegli orologi che ti fanno anche le previsioni del tempo. E ci prendono. Ai tempi di Lazzaro e della sua macchina per del caffè a fare le previsioni del tempo c’era solo Bernacca alla televisione, e spesso si sbagliava. Ma il mondo tirava avanti uguale. Forse non meglio, di sicuro non peggio. Un colpo. È stato un colpo. L’aroma del caffè è incompatibile con il mondo digitale. Con i circuiti elettronici, con i computer e le altre diavolerie che regolano tutto il nostro mondo.

La differenza tra un caffè “come si deve” e un caffè anonimo la fa la sensibilità del macchinista e, soprattutto, di come dialoga con la sua macchina. Prendere il caffè da Lazzaro era come assistere a una gara di Nuvolari: un’esperienza unica in cui l’uomo e la macchina erano avviluppati insieme come un tutt’uno. Il rapporto tra l’uomo e la macchina portato a livelli che solo certi progettisti, e tecnici, delle aziende meccaniche che si trovavano sulla via Emilia possono raggiungere. Quelli che hanno fatto grandi quelle aziende che danno ancora filo da torcere ai tedeschi, che a loro ancora gli prude. E forse è anche per questo che adesso i teutoni fanno i primi della classe con ‘sta storia del debito pubblico. Non è la prima volta che gliel’abbiamo dovuta spiegare ai tedeschi di non darsi troppe arie…

Mi ricordo ancora certi racconti di mio nonno, ma quella è un’altra storia. L’arte di Lazzaro Questa, invece, é la storia di un bar, di un uomo e della sua macchina per fare il caffè. Tutti sono capaci di fare del buon caffè con una buona macchina, e tutti sono capaci di fare dei bei progetti con un bel computer e un po’ di nozioni imparate all’università. Ma l’arte? L’arte, quella no. L’arte è quella roba che te rimani a bocca aperta perché il tecnico con la sua macchina fa qualcosa di imprevedibile, oppure tira su un monumento che sta in piedi anche se la matematica dice che non è possibile. Ecco. Il caffè di Lazzaro era un’opera d’arte.

Ora invece il caffè è buono, le persone al banco sono gentili, il luogo è accogliente, ma l’esperienza non è più quella. E non potrebbe essere altrimenti. Sono io che m’invecchio e cerco di addolcire i ricordi. Come fanno quelli che del caffè non capiscono niente e lo riempiono di zucchero. Io il caffè lo prendo nudo. E continuo a prenderlo anche se il dottore dice che mi fa male. E c’è un motivo: in ogni tazzina cerco ancora quel retrogusto dolce e nutriente che aveva il caffè di Lazzaro quando lo prendevi senza zucchero.

PS La città dove si svolge questa storia non è importante: purché sia in Romagna.

 

Presidio Slow Food: ecco come funziona questa etichetta per i torrefattori

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MILANO – Ecco i Presìdi del caffè. In arrivo c’è un marchio per queste origini Gli italiani sono grandi esperti di caffè. Un’affermazione che sembra indiscutibile ma che dice una mezza verità. Certo, in termini di quantità siamo i terzi consumatori nell’Unione Europea e l’atto di bere un caffè, da soli o in compagnia, è parte integrante della vita di molti di noi. Ma quanti consumatori sanno come è fatta una pianta di caffè o conoscono il luogo di origine di ciò che stanno bevendo? Quanti sanno come e dove vive chi lo coltiva, lo raccoglie e lo trasforma? Il progetto del marchio “Presidio Slow Food” sul caffè è nato proprio per colmare questa lacuna, questo vuoto di comunicazione e conoscenza tra produttori e consumatori, includendo una figura chiave della filiera: i torrefattori.

Presidio Slow Food: si tratta di un progetto culturale e sociale

Che mira a creare una consapevolezza nuova attorno al caffè, con il fine ultimo di accorciare la filiera e di migliorare la qualità della vita dei produttori dei Presìdi. Il primo passo di Slow Food nel settore del caffè è stato al fianco dei produttori. Nel 2002 abbiamo avviato un Presidio con un gruppo di caficultori nelle regioni più alte di Huehuetenango, in Guatemala, dando il via a una serie di attività che hanno poi coinvolto altri gruppi di produttori: in America Latina, Africa e India.

I risultati di queste attività sono importanti e incoraggianti

In questi anni si è affermato un nuovo paradigma di produzione del caffè, basato sulla valorizzazione del territorio e su un consumo responsabile. Paradigma che è diventato un modello da seguire e replicare per diverse realtà. La seconda fase di lavoro ha incluso anche i torrefattori – e quindi il prodotto finito – consentendoci di raggiungere i consumatori e di promuovere in modo più incisivo una nuova cultura del caffè.

L’idea è semplice: i torrefattori che aderiscono al progetto – rispettando una serie di regole che garantiscono qualità e trasparenza della filiera – possono apporre il marchio “Presidio Slow Food” sulle proprie confezioni, offrendo ai consumatori la possibilità di riconoscere e acquistare i caffè buoni, puliti e giusti. Il progetto, coordinato dalla Fondazione Slow Food per la Biodiversità, ha mosso i primi passi nel 2009 con la nascita di una Commissione composta dai docenti Master of Food del caffè e da alcuni torrefattori amici e collaboratori di Slow Food.

La Commissione ha definito un regolamento in base al quale può fregiarsi del marchio soltanto il caffè tostato (in grani, macinato, in cialde o capsule biodegradabili) composto al 100% da un solo Presidio Slow Food (monorigine) o da più Presìdi (in miscela), mentre non sono consentite miscele con altri caffè (che non sarebbero tracciabili). I caffè che rispondono a questo primo requisito di base sono inviati ai membri della Commissione, che si riuniscono, degustano, compilano una scheda di valutazione organolettica e forniscono a Slow Food e ai torrefattori una serie di indicazioni su pregi e difetti dei prodotti testati.

Soltanto i caffè che ottengono una valutazione positiva possono essere commercializzati con il marchio del Presidio Slow Food

Infine, il regolamento stabilisce norme di trasparenza e di lealtà verso produttori e consumatori: i torrefattori devono indicare sulla confezione l’area di produzione e il nome del produttore (individuale o organizzazione) di caffè. In questo modo i coltivatori hanno la giusta visibilità sul mercato – elemento che dà loro un grande orgoglio – e i consumatori sono informati su ciò che bevono e su tutto il mondo, affascinante e complesso, che sta dietro la loro tazzina di caffè. Info Andrea Amato, Responsabile del progetto in America Latina tel. +39 0172 419723 – a.amato@slowfood.it Francesco Impallomeni, Responsabile del progetto in Africa tel. +39 0172 419712 – f.impallomeni@slowfood.it