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Whitbread (Costa Coffee) creerà 10.000 nuovi posti di lavoro nei prossimi 3 anni

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Il logo Whitbread
Il logo Whitbread

MILANO – Positivi i risultati parziali registrati da Whitbread nelle 50 settimane terminate a metà febbraio. Le vendite del gruppo segnano un +11% e i risultati sin qui ottenuti – si legge in un comunicato diramato la scorsa settimana – sono in linea con le aspettative definite dall’outlook, anche se si è osservato un rallentamento del ritmo di crescita delle vendite a parità di perimetro nel corso delle ultime 11 settimane e addirittura un calo del dato like-for-like per quanto riguarda Premier Inn.

Costa Coffee continua a essere il fiore all’occhiello del gigante britannico del leisure. La catena di caffetterie fondata nel 1971 dai fratelli italiani Sergio e Bruno Costa, nell’orbita di Whitbread dal 1995, ha totalizzato vendite per 786 milioni di sterline, con un incremento del 24,6% sul pari periodo precedente. Le vendite a parità di perimetro in Regno Unito registrano un +5,8%, con transazioni in crescita del 6,1%.

Whitbread: ben 359 i locali di nuova apertura, equamente divisi tra mercato Uk (177) ed estero (182)

I locali sul suolo britannico sono 1.375 (816 di proprietà e i rimanenti in franchising), cui vanno aggiunti 919 distributori Costa Express e ulteriori 253 distributori Coffee Nation non ancora indicati con il nuovo marchio. Costa è inoltre presente in una trentina di Paesi, per un totale di 802 locali, di cui 523 in franchising, 103 a insegna Coffeeheaven, nonché, in joint-venture, 163 locali in Cina (di cui 71 di nuova apertura) e 13 locali in Russia.

“Abbiamo ottenuto risultati positivi in condizioni economiche difficili, mentre continuiamo a investire nei nostri marchi forti – recita ancora il comunicato – e prevediamo di chiudere l’esercizio ad aprile con risultati ancora una volta a doppia cifra”. Ambiziosi anche gli obiettivi a medio termine. Il ceo Andy Harrison ha annunciato infatti l’intenzione di aprire, di qui al 2016, oltre 600 nuovi locali in Uk portando il totale degli esercizi in patria a 2.000 unità. Per l’ammiraglia del gruppo, la catena di alberghi Premier Inn, il traguardo è quello invece di passare dalle attuali 48.000 stanze (su 620 hotel) a 65.000 entro la stessa scadenza temporale.

Il tutto mentre, il rivale di sempre, Travelodge, si trova in acque finanziarie agitate

Attraverso l’espansione dei suoi business (da ricordare tra gli altri brand la catena di ristoranti grill Beefeater e i pub Fayre) Whitbread punta a creare nei prossimi 3 anni 10.000 nuovi posti di lavoro, tra impieghi a tempo pieno e a tempo parziale. Il gruppo ha già generato 2.500 posti di lavoro nell’esercizio in corso. Starbucks, intanto, non sta a guardare. In un meeting che ha portato ad Amsterdam, la scorsa settimana, 350 senior manager dell’area Emea, Michelle Gass, presidente di Starbucks Europe, ha annunciato un “piano di rinascita”, che punta ad accrescere la presenza nel vecchio continente.

Le location saranno tra le più svariate

Aree di servizio stradali e autostradali, stazioni ferroviarie, aeroporti, drive-through e grandi alberghi. In questo modo la multinazionale di Seattle prevede di creare, nel solo Regno Unito, 5.000 nuovi posti di lavoro. Sempre in Uk, la compagnia si è rivolta a designer e fornitori di tessuti locali per rinnovare gli allestimenti delle caffetterie. Secondo Thom Breslin, design director per Starbucks UK, il nuovo look manterrà l’identità Starbucks aggiungendo un tocco di spirito British. Ma la vera rivoluzione culturale riguarderà le bevande.

La catena americana Whitbread ha infatti investito milioni di sterlina per mettere a punto il cosiddetto “British Latte”

Variante in salsa britannica dell’iconico beveraggio made in Usa. A distinguerlo dalla formula diventata famosa in tutto il mondo, un caffè “doppio” molto più forte e aromatico e un latte schiumato dalla consistenza vellutata ottenuto attraverso un lancia vapore di concezione innovativa, disegnata dall’ingegnere di Starbucks John Brockman, dopo un anno di ricerca e sperimentazione, passando attraverso lo sviluppo di ben 14 prototipi. A dettare questa scelta peculiare, la constatazione (suffragata da studi accademici), che le bevande servite con grande successo dal rivale Costa Coffee hanno un tenore di caffeina sino a tre volte maggiore rispetto a quelle di casa Starbucks.

Secondo Jeffrey Young, direttore esecutivo dell’autorevole analista di mercato Allegra Strategies, l’innovazione costituisce “un cambiamento estremamente significativo”, che riflette un’evoluzione nei gusti dei britannici, che riguarda l’intera paletta gastronomica. “Il palato dei britannici è diventato più sofisticato e si aspetta gusti e aromi più intensi e vibranti”. Va in questo senso, la decisione di introdurre nei menu il Flat White coffee, più piccolo e aromatico, come pure nuove specialità salate tipicamente britanniche, come il bacon butty. Va da sé che i clienti che amano i gusti meno intensi potranno continuare a chiedere al barista le specialità preparate secondo le vecchie ricette.

Supermercato batte bottega: in Italia lo sceglie l’82% delle famiglie

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sostenibilità supermercati
I supermercati registrano una crescita

MILANO – Per la bottega sotto casa non c’è più speranza. Se gli italiani infatti potessero fare il «gioco della torre», scegliendo chi buttar giù, cioè far sparire, fra piccoli negozi e supermercati non avrebbero il minimo dubbio: pollice verso per i primi, all’82%. C’è una vena di malinconia in Renato Mannheimer quando ci riferisce il dato, raccontando dell’indagine appena conclusa dalla sua Ispo su «Piccola e grande distribuzione a confronto». Indagine condotta su quattro regioni del Centro Nord (Piemonte, Lombardia, Emilia Romagna e Toscana) ma i cui risultati sono talmente «bulgari» da non lasciar dubbi su quello che potrebbe essere l’umore nell’intero paese.

Il supermercato, ormai, dilaga e stravince

Nelle preferenze d’acquisto, nella convenienza, nella comodità, ma anche, a sorpresa, nella percezione «culturale». Tanto che il 45% degli intervistati dice serenamente che iper e supermercati non possono mancare nemmeno nei centri storici delle città, anche a costo di stravolgerne l’assetto sociale, urbanistico e architettonico. Rapporto umano? Consigli? Chiacchiere con il bottegaio o con il cliente accanto?

«Agli italiani importa poco o nulla — dice sconsolato Mannheimer —. Guardano ai prezzi, all’assortimento, alla comodità, alla velocità. E qui hanno idee chiarissime: meglio il supermercato».

Del resto, aggiunge il sondaggista più amato dagli italiani, «una volta si andava nei bar a raccogliere gli umori della gente, mentre oggi nei bar si bevono solo cappuccini e caffè, mentre le opinioni si raccolgono nei blog».

Il sondaggio dell’Ispo ci dice per esempio che ormai il 69% dei connazionali compra esclusivamente al supermercato, contro un 23% che si serve da entrambi i canali e un misero 8% che va solo o quasi nel negozio sotto casa.

La motivazione principale è, manco a dirlo, la convenienza

Uno studio di Esselunga allegato all’indagine Ispo, condotto in sei grandi città del nord, quantifica così l’effetto prezzi. Si va da un differenziale del 76,15% per frutta e verdura al 51% della pasticceria e della macelleria, dal 31,51% delle pescheria, al 26,75% della drogheria e al 23,31% della panetteria; nel complesso la spesa, in un supermercato della catena lombarda, arriva a costare il 40,33% in meno rispetto una identica in bottega.

È solo questione di prezzi

Per il 60% dei consumatori conta l’assortimento («In un supermercato — dice Mannheimer — possiamo trovare fino a 14 diversi tipi di pomodori e decine di diverse varietà di insalate. Impossibile nel piccolo negozio»), per il 45% la freschezza e la qualità dei prodotti. Poi a scalare il parcheggio, la comodità degli orari, la velocità d’acquisto. La grande distribuzione stravince, insomma, ma, sottolinea il sondaggista, «non nello stesso modo in tutte le aree».

I fan più scatenati sono i toscani, che si servono al supermercato per il 78%, seguiti dagli emiliani al 71%

Mentre la regione più ricca e frenetica d’Italia, la Lombardia, è paradossalmente quella più «tiepida» (63%) e quella dove ancora la bottega ha un suo spazio per oltre un terzo dei consumatori. Bottega addio, dunque? «Non necessariamente — risponde Mannehimer —. Abbiamo verificato che in alcuni settori merceologici come panetteria, frutta e verdura, macelleria e pescheria soprattutto, c’è ancora una preferenza per la bottega, a condizione però che offra prodotti di altissima qualità, grande assortimento, marchi di nicchia o biologici». Fonte: quotidiano.net

Ivs di Seriate verso la Borsa, una svolta per un’eccellenza italiana del vending

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Ivs Group coffeecapp
Il logo Ivs group

MILANO – Raggiunto l’accordo tra Ivs Italia e la spac di Gamberale & c.: una nuova eccellenza italiana sta per approdare al listino di borsa. Diventa ufficiale l’accordo tra il leader italiano del settore vending, Ivs Italia, e la special purpose acquisiton company (spac) Italy 1 Investment. I rispettivi consigli di amministrazione hanno approvato il 2 marzo i termini della Business Combination che precede dapprima la fusione per incorporazione di Ivs Italia nella spac, in modo da mantenere lo status giuridico di società quotata sulla Borsa Italiana.

Ivs Group fattura circa 270 milioni, con un margine operativo lordo (ebitda) di quasi 60 milioni

Italy 1 Investment ha tra i fondatori Vito Gamberale, Carlo Mammola, Gianni Revoltella, Roland Berger, Florian Lahmstein e Gero Wendenburg. Costoro, a meno che non esercitino prima della fusione il diritto di recesso dall’investimento da 150 milioni effettuato nel veicolo a inizio 2011, riceveranno tutti insieme tra il 35% e il 45% della società risultante dalla fusione.

Gli azionisti storici di Ivs, circa una quarantina capeggiati dal presidente fondatore Cesare Cerea e da una squadra di soci-manager, manterranno a loro volta il controllo attraverso una holding comune ed è presumibile che accettino impegni di non vendere le proprie azioni per un determinato periodo.

Poiché l’incorporante è di diritto lussemburghese, a fusione avvenuta, la sede legale sarà trasferita in Italia e assumerà il nome dell’azienda operativa, Ivs. Il flottante in borsa sarà inizialmente rappresentato dalla quota nelle mani dei investitori di Italy 1 e dal quale, gradualmente, dovrebbe nascere un mercato secondario.

Quanto alle valutazioni, il settore del vending in cui opera Ivs è sicuramente uno dei più attraenti,

Come in genere tutta la somministrazione di alimenti outdoor e la logistica specializzata, che presentano margini attraenti e trend strutturali in crescita.

Per questo, i multipli attesi dagli analisti sono a livelli piuttosto elevati, almeno attorno a otto volte l’ebitda. Ivs ha seguito quasi sin dalla nascita una continua crescita per acquisizioni, e, grazie alla quotazione, è verosimile che questa strategia prosegua.

Quello del gruppo Ivs di Seriate, primo operatore in Italia e terzo in Europa, è un patrimonio importante e l’azienda si appresta a sbarcare a Piazza Affari per crescere ancora.

Il pensiero di Antonio Lubrano sulla definizione “cioccolato puro” apparso sul Corriere della Sera

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cioccolato dicitura puro cacao
Cacao, buono e fa bene

MILANO – A Pasqua manca poco più di un mese e già nelle vetrine sono apparse le uova di cioccolato. «Puro fondente», mi assicura a voce un pasticciere. Cioè realizzato con solo burro di cacao. Puro? Butto lì a caso. Ma non è la parola vietata dall’Europa? «Sì, ma vada un po’ in giro a leggere le tavolette di cioccolato e vedrà». Vado.

E compro in due diversi punti vendita quattro marche, tre notissime una meno, tutte con la parola proibita sull’involucro. Addirittura su una tavoletta appare in oro e vistosa, sulle altre invece è microscopica, mentre le percentuali giganteggiano: cioccolato al 57%, al 70%, all’ 85%.

Dal dicembre 2010 l’Ue considera ingannevole la dicitura «cioccolato puro» sull’etichetta. Questa formula indicherebbe «una qualità del prodotto non riconosciuta». Assurdo. In sostanza hanno vinto le lobby dei Paesi del Nord che producono il cioccolato con grassi vegetali alternativi.

Tre mesi fa poi, l’Ue ha messo in mora l’ Italia perché ancora non ha varato una legge che rispecchi le disposizioni di Bruxelles. Così nel frattempo le nostre aziende continuano a usare la parola proibita, puntando sulle percentuali.

Un’associazione di consumatori, l’Aduc, sostiene polemicamente che «l’Ue vuole formaggio senza latte, vino senza uva, aranciata senza arance e non vuole il vero cioccolato italiano».

Conclusione? L’uovo di Pasqua per ora va bene, non è impuro!

Antonio Lubrano

“Una buona tazza di tè” di Christopher Bush, bravo e prolifico

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"Una buona tazza di tè" di Christopher Bush
"Una buona tazza di tè" di Christopher Bush

MILANO – Con il numero 109 nella collana I Bassotti, è la volta del giallo “Una buona tazza di tè” (The Case of the Dead Shepherd, 1936) dello scrittore inglese Christopher Bush. Si tratta di uno degli autori più prolifici della Golden Age del giallo, ha scritto oltre sessanta romanzi, molti dei quali hanno come protagonista il detective Ludovic Travers, Ludo per gli amici. Questo personaggio appare per la prima volta nel romanzo Omicidio a Capodanno pubblicato sempre da Polillo nel 2009.

Bush, il romanzo

Giovane, ricco, un poco timido, metodico e riservato, si diletta a scrivere e a fare il detective. Nel presente romanzo Ludovic Travers si reca insieme all’amico George Wharton, sovraintendente di Scotland Yard, presso una scuola per investigare sulla morte per avvelenamento di un insegnante di storia.

Appare subito evidente che il professore è stato ucciso in quanto qualcuno ha versato nel suo tè del veleno che gli è stato fatale. Un appassionante mystery del 1934 che stranamente è rimasto inedito in Italia sino ad oggi.

L’autore: Christopher Bush

Christopher Bush (1885-1973), figlio illegittimo nato in Inghilterra da una famiglia di quaccheri, fu uno degli autori più prolifici della Golden Age del giallo. Insegnante di scuola, scrisse il suo primo mystery nel 1926 e continuò ininterrottamente per quarantadue anni arrivando a realizzare 62 opere.

Il suo personaggio per eccellenza, il detective Ludovic Travers, fece il suo esordio nel 1929 in The Perfect Murder Case. Timido e riservato, ma generoso e dotato di grande raziocinio, Travers collabora regolarmente con Scotland Yard e in particolare con il sovrintendente George Wharton, scorbutico e decisionista, dai caratteristici baffi spioventi.

La peculiarità dei romanzi di Bush è quella di dotare i personaggi sospetti di alibi apparentemente inattaccabili che poi, grazie a una paziente e minuziosa analisi, vengono smontati fino alla dimostrazione della loro evidente falsità.

Nonostante la produzione letteraria di Bush sia arrivata fino alla seconda metà degli anni Sessanta, le opere più significative sono quelle degli anni Trenta, tra le quali meritano una particolare menzione Dancing Death (1931, Omicidio a Capodanno), Cut Throat (1932) e The Case of the Dead Shepherd (1934, Una buona tazza di tè).

Quarta di copertina

La tragica morte per avvelenamento di Charles Tennant, un insegnante di storia apparentemente benvoluto da tutti, getta nello scompiglio la Woodgate Hill County School, una scuola secondaria nei sobborghi di Londra.

Quando il sovrintendente George Wharton di Scotland Yard giunge sul posto insieme all’amico detective Ludovic Travers, l’ipotesi del suicidio viene subito scartata: a uccidere Tennant è stato l’acido ossalico versato da mano ignota nella sua tazza di tè.

Ma la bevanda, si scoprirà, era stata preparata per Mr Twirt, il preside dell’istituto, un uomo i cui modi boriosi e autoritari gli sono valsi il più vivo e malcelato disprezzo da parte dell’intero corpo docente.

Se pure il veleno ha apparentemente colpito la persona sbagliata, il destino di Twirt è comunque segnato giacché poco dopo il suo cadavere, con il cranio sfondato, viene rinvenuto sotto un albero del giardino.

Due omicidi nello stesso pomeriggio non possono che essere collegati, ma chi poteva avere, oltre al movente, l’opportunità di commettere quei crimini?

E per quale motivo Tennant, a detta di un testimone, appena prima di morire aveva tentato di raggiungere il suo collega Castle con in mano un vecchio catalogo di apparecchiature scientifiche?

Christopher Bush, Una buona tazza di tè (The Case of the Dead Shepherd, 1936) Traduzione Dario Pratesi
Polillo Editore
collana I bassotti 109
pagg. 282
euro 14,90

Grand Cafè: a Parigi, dentro un bar, inizia la storia del cinema

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parigi mercati grand café cacao
La torre Eiffel, simbolo di Parigi

MILANO – I bar sono luoghi che hanno contribuito a scrivere la storia, diventando gli spazi in cui si sono svolti gli eventi che hanno segnato le diverse epoche. Persino il cinema ha avuto un assist da questi ambienti: il primo film effettivamente, è stato proiettato a Parigi, all’interno dell’iconico Grand Café.

Grand Café: caffè e film nella storia

Lo sapevate? Il primo film di tutti i tempi, quello realizzato dai Fratelli Lumiére fu proiettato in un bar. Accadde il 28 dicembre 1895: la prima proiezione pubblica a pagamento di dieci film, nel Salon Indien del Grand Café di Parigi (Boulevard des Capucines,14) per opera dei Fratelli Lumière. Iniziava così la grandiosa era del cinematografo.

L’orientamento emerso dall’Ascom di Arezzo Caffè: è caro tazzina

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caffè specialty pilota centesimi espresso
Una tazzina di caffè espresso

AREZZO – Scotta la tazzina di caffè e non è colpa del barista che lo l’ha preparata troppo calda. Il barista c’entra ma perché si prepara ad aumentare il prezzo, che dal 1 giugno salirà di dieci centesimi, con un prezzo di riferimento massimo che passa da un euro a un euro e dieci. Un’indicazione ovviamente, perché quello del nero bollente non è più un prezzo amministrato e ognuno pratica quello che vuole. Ma di solito i locali si adeguano ai suggerimenti delle loro associazioni di categoria.

Quella dell’Ascom non è ancora ufficiale, ma l’orientamento sembra lo stesso ben definito dopo l’assemblea dei titolari dei pubblici esercizi che si è svolta nei giorni scorsi.

Ritocco, come sempre capita in queste circostanze, anche per gli altri prodotti di caffetteria, ovvero cappuccino e pasta, che dovrebbero salire anch’essi di 10 centesimi, con soglia massima a un euro e 40 e un euro e 30.

L’adeguamento sarà probabilmente graduale

Secondo le stime dell’associazione commercianti non saranno più di una quindicina, i più prestigiosi, i caffè che inizialmente applicheranno le nuove tariffe, una parte di quelli che già adesso sono a quota un euro.

Probabile che progressivamente chi ora fa il prezzo di 90 centesimi passi a un euro. Si tratta del  terzo ritocco del prezzo della caffetteria dall’introduzione dell’euro nel 2002. Il primo, a dire il vero, aveva preceduto l’avvento della moneta unica: 85 centesimi.

Poi il passaggio a quota 90, seguito da quello a un euro. In dieci anni, dunque, la tazzina è aumentata di 35 centesimi.

Iti Caffè: l’ex torrefazione della famiglia mafiosa Graviano avrà una nuova sede a Palermo

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palermo Iti Caffè
La città di Palermo

PALERMO – L’Agenzia Nazionale dei Beni sequestrati e confiscati ha assegnato alla coop Conca d’Oro Caffè, che gestisce l’azienda confiscata alla famiglia Graviano. Si tratta di alcuni locali, nel quartiere Uditore di Palermo, facenti parte della confisca Sansone: 900 metri quadri circa che tra qualche mese diventeranno la nuova sede della nota azienda di caffè.

Burocrazia lenta

La consegna dell’immobile non sarà immediata. La Provincia di Palermo in una delle prossime giunte dovrà deliberare l’assegnazione al Consorzio Ulisse società cooperativa sociale Onlus che poi consegnerà i locali alla cooperativa Conca d’Oro Caffè.

«Crediamo che tutto l’iter possa concludersi nel giro di pochi mesi», dice ancora Moscato alle prese in questi giorni con uno sfratto esecutivo nei locali storici dell’azienda, nei pressi della stazione centrale. «L’assegnazione del bene è un’ottima notizia – dice Filippo Parrino, presidente di Legacoop Palermo -.

Da una parte in questo modo si dà un messaggio chiaro alla mafia e dall’altro si aiuta chi ha deciso di scommettere sulla legalità investendo il proprio lavoro e la propria fatica quotidiana. È l’antimafia che aiuta se stessa a crescere».

La storia

La vicenda della Coop Conca d’Oro Caffè ha inizio nell’ottobre del 2009, quando alcuni ex dipendenti della Iti Caffè, confiscata alla famiglia mafiosa di Brancaccio dei Graviano nel 2006, decide di rilanciare l’azienda, portandola sui binari della legalità.

Un percorso difficile fatto di intimidazioni (dalla colla nei lucchetti a vari danneggiamenti) ma anche di reazioni inaspettate come la marcia indietro di clienti storici che cessano di rifornirsi del caffè Iti.

Tra questi, i cinque hotel del gruppo Acqua Marcia, i bar dell’aeroporto, i supermercati GS e persino i ristoratori dell’Ars. Una strada in salita cui però i soci della coop riescono a fare fronte passo dopo passo, riprendendo lentamente quota e riuscendo a chiudere lo scorso anno con un attivo anche se di poche migliaia di euro.

«Ci auguriamo che il percorso dell’assegnazione si concretizzi nel più breve tempo possibile – dice Moscato – nei nostri piani ci sono investimenti per potenziare la produzione e rafforzare il mercato di riferimento».

Decisione clamorosa: la Nestlé dice basta a coloranti e conservanti in merendine e snack

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Nestlé coloranti e conservanti
La sede centrale della Nestlé in Svizzera

MILANO – Guerra agli ingredienti artificiali in casa Nestlé. La sezione britannica del colosso elvetico ha eliminato coloranti, aromi e conservanti artificiali da 79 prodotti dolciari, completando l’operazione con il restyling delle barrette Crunch. In totale, sono circa 80 le sostanze progressivamente sostituite nella composizione dei prodotti e l’intero processo è durato oltre 6 anni.

Ora c’è grande attesa su cosa farà la concorrenza a cominciare dal colosso italiano Ferrero

I coloranti artificiali all’interno di snack e merende, in particolare, sono stati rimpiazzati da concentrati di frutta, verdura e piante commestibili, come carote, ibisco, ravanello, cartamo e limone.

A spingere l’azienda verso una decisione del genere sono state, per ammissione della stessa Nestlé, le richieste dei consumatori: “Nestlé è orgogliosa di essere l’unica grande azienda dolciaria nel Regno Unito a poter dichiarare che la sua intera gamma di prodotti è al 100% priva di conservanti, aromi o coloranti artificiali – ha dichiarato David Rennie, amministratore delegato di Nestlé UK Confectionery – per raggiungere questo obiettivo, noi e i nostri fornitori abbiamo lavorato molto duramente per garantire la stessa qualità e il gusto di tutti i nostri marchi”.

Gli ingredienti non naturali sono stati eliminati anche dalle bevande, a cominciare dal Nesquik. L’intero processo di eliminazione degli additivi artificiali da biscotti, barrette e simili è iniziato nel 2005, con gli Smarties e il Milky Bar.

Nespresso: vendite a 3,5 ml di franchi, quasi 2,9 miliardi di euro (+20%)

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nespresso svizzera Nestlé
Uno dei siti produttivi Nespresso

MILANO – Nespresso ha chiuso il 2011 con fatturato oltre 3,5 miliardi di franchi svizzeri (2,91 miliardi di euro) in rialzo del 20% al netto degli effetti valutari. La controllata di Nestlé, a dispetto della crisi, ha dunque realizzato un esercizio in crescita e, per far fronte alla domanda vivace per i suoi prodotti, ha programmato investimenti per circa 500 milioni di franchi svizzeri. Saranno destinati all’apertura di circa 40 punti vendita per raggiungere quota 300. Forte di questi dati adesso Starbucks punta a replicare l’operazione porzionato di qualità.