MILANO – Il lancio della piattaforma IMprint si è svolto all’interno della cornice del Trieste Coffee Festival, promosso da Alberto Polojac, presidente SCA Italy, titolare di Imperator e tra gli ideatori dell’evento. E’ sempre lui che ne racconta obiettivi, genesi e sviluppo prima di entrare nel merito dell’innovazione tecnologica presentata in Fiera.
Polojac: “Trieste Coffee Festival nasce dieci anni fa: oggi siamo alla nona edizione, con la sospensione dei due anni pandemici. Dal 2014 siamo attivi con una manifestazione che serve a regalare al pubblico dei momenti in cui la filiera si apre alla popolazione locale e turistica. L’importante è comunicare quel che il caffè può trasmettere come valore a 360 gradi nelle sue sfaccettature.
La bevanda deve agganciarsi ad altri treni che corrono più veloci per farsi notare anche tra gli scaffali del supermercato. Abbiamo la possibilità di scegliere diversi prodotti partendo come sempre, fidandosi dell’etichetta e di ciò che vi si trova scritto. Normalmente chi descrive meglio, ha qualcosa in più da dire.
Giuseppe Coletti si inserisce, ceo e co founder di Authentico che si occupa di innovazione tecnologica e di aver sviluppato iMprint: “Assieme racconteremo uno strumento che va verso il consumatore e le aziende che se ne preoccupano. Si inserisce in vari canali, non solo nello storytelling, ma anche nel merito di cosa fa un’azienda sul piano della sostenibilità.”
Piattaforma iMprint
Polojac riprende la parola: “Descrivere l’intera filiera aiuta il consumatore finale a comprendere e tracciare la provenienza di un lotto, seguendo il percorso della pianta, del caffè, dal porto alla nave, sino al suo stoccaggio.
Ad oggi la tracciabilità del caffè è stata nella migliore delle ipotesi garantita da un QRcode che faceva riferimento ad una determinata zona. Altrimenti ci si deve appoggiare ai sacchi di juta che riportano dei codici ICO, con i dati dell’esportatore, l’origine, il lotto per la tracciabilità del verde.
Ma la realtà è molto più complessa. Vogliamo sapere di più nell’etichetta e per questo ci serve un sistema entrato ormai nelle nostre vite, la blockchain, di cui si è iniziato a parlare anni fa: oggi, applicata alla tracciabilità, è particolarmente efficace perché si può usare per fotografare ogni momento che resta unico.
Si immortala un istante che diventa un documento, un certificato di importazione, di origine, può essere anche quello indicato dalla normativa EUDR che garantisce che quella materia prima non abbia causato deforestazione negli ultimi dieci anni.
Oltre a ciò, abbiamo aggiunto un’altra tecnologia ormai matura, ovvero il visore per osservare le realtà immersive.
Per noi è stata una sfida, soprattutto rispetto all’EUDR. La tracciabilità sin qui era stata considerata senza particolare attenzione.
Abbiamo dovuto rispondere a questa normativa, andando persino oltre essa, includendola all’interno di un progetto più ampio che riguarda tracciabilità e esperienza immersiva. Che è interessante perchè aiuterà a completare il racconto con il caffè, nella parte che spesso non si riesce a vedere perché i Paesi produttori, le piante, sono coltivate lontano.
E’ un ambiente che solo gli operatori del settore riescono a toccare con mano, al contrario di quello che capita per altri prodotti come l’olio.
Questa tecnologia, presentata durante il Trieste Coffee Festival, si integra alla tracciabilità di filiera, dando la possibilità a chi vi accede di avere un‘esperienza in piantagione, negli impianti di lavorazione. Una certamente virtuale, ma che dà un assaggio reale di quello che si trova laggiù con una precisione nel dettaglio impressionante.
Giuseppe Coletti scende nel tecnico con una prima dimostrazione di iMprint
“Con Imperator abbiamo sviluppato un sistema per tracciare il caffè dalla pianta alla tazzina. Abbiamo coinvolto due realtà, la parte dell’importazione e quella della torrefazione. Questo già è stato sfidante: la filiera è complessa, contiene tantissimi attori, comprende la parte doganale.
Alla base di iMprint c’è la blockchain. La conosciamo principalmente legata alla cripto valuta, ma essenzialmente è un registro che somiglia a quello Mastro, in cui si scriveva soltanto e non si cancellava mai. Condiviso da migliaia di computer su una rete, su cui ognuno può inserire informazioni e dati, convalidati almeno dal 50% dei computer per renderla validata. Da quel momento in poi è tecnicamente impossibile modificarla, cancellarla, crackarla.
La cosa interessante è che la blockchain è composta da moduli che possono essere usati per collegare tra di loro una serie di dati. Viene usata nella tracciabilità alimentare perchè di fatto, come obbliga la legge per tutelare la salute dei consumatori, le aziende trasformatrici devono notificare i passaggi effettuati dal cibo a partire da chi l’ha coltivata sino ad arrivare al prodotto confezionato.
La blockchain è la tecnologia indicata per permettere questa tracciabilità, in quanto, mette insieme una serie di blocchi informativi senza poterli slegare, in una catena dove ognuno della filiera può inserire documenti e passa la palla al successivo.
Ogni volta che avviene un trasferimento della materia prima da un attore all’altro, diventa incancellabile. Alla fine di questo percorso, si hanno una serie di indizi con cui rintracciare la materia prima.
Ovviamente lo spunto è stato l’EUDR che obbliga la produzione di documenti e certificati da parte delle aziende che devono scambiarli attraverso sistemi digitali al fine di garantire che caffè e cacao non abbiano causato deforestazione.
I controlli sono molto forti e le sanzioni salate (4% del fatturato). Si sta discutendo in particolare delle ricette in cui il caffè diventa ingrediente di altri prodotti. Non è facile. Ma questo è stato il punto di partenza: sfruttare quella che sembra una minaccia e renderla un’opportunità per le aziende che hanno modo di raccontare il fatto di usare caffè certificati, in totale trasparenza. Il consumatore stesso potrà verificare.
La blockchain, che mappa i vari stadi della filiera, geolocalizza le piantagioni – così come prevede la normativa – ci fa sapere chi sono i farmers, insieme alle attestazioni che certificano l’assenza di deforestazione. C’è bisogno di un ente terzo locale che fornisca questi documenti che poi vengono raccolte e caricate dal farmers su iMprint. Tutto è tracciato sino all’ultima fase della torrefazione.
Sul pacchetto di caffè, ci sarà anche la possibilità di ripercorrere a ritroso il viaggio del chicco. Vogliamo tornare dalla tazzina alle piantagioni.
Il primo caffè tracciato in blockchain con un QRcode che mostra il lotto di produzione, la varietà, la geolocalizzazione, i dati dell’azienda, le certificazioni, il racconto dei processi di produzione, di raccolta, di trasformazione e torrefazione. Un modo quindi anche di fare cultura.
Sono state poi aggiunte le schede sensoriali, i profili di tostatura, consigli di estrazione, caratteristiche organolettiche. Quindi tracciabilità, sostenibilità ambientale, cultura della bevanda in totale trasparenza.”