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illycaffè vince la 7° edizione degli Altagamma digital awards nella sezione food & beverage

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Il trionfo di illycaffè all'Altagamma digital awards (immagine concessa)

TRIESTE – illycaffè, azienda globale del caffè conosciuta per la sua qualità sostenibile, ha vinto anche quest’anno il premio Altagamma digital awards nella sezione food & beverage per l’ampia presenza di e-commerce diretto – incluso Turchia, Corea, Hong Kong e Brasile – e via e-tailers – inclusi Jd e Tmall – e per la qualità della website experience, l’attenzione allo storytelling e alla sustainability, per la qualità del customer service.

illycaffè premiata agli Altagamma digital awards

Ogni anno Altagamma e Contactlab selezionano i luxury brand dei diversi settori commerciali (fashion, jewelry, design furniture, hospitality, food & beverage) che si contraddistinguono nelle performance digitali sia in merito all’offerta nel mondo che per la relazione con la clientela sui vari canali digitali.

“Siamo felici di questo riconoscimento, che è il coronamento dell’impegno e della passione che sta dietro ad ogni tazzina di caffè illy. L’attenzione al cliente e la cura nella relazione con i nostri consumatori sono sempre stati una nostra priorità” commenta Cristina Scocchia, amministratore delegato di illycaffè.

Il premio arriva proprio nel momento in cui illycaffè ha scelto di dare ulteriore impulso all’esperienza digitale, rinnovando il sito illy.com per renderlo maggiormente allineato all’attuale identità del brand. Rinnovati e arricchiti anche i contenuti editoriali e di prodotto, studiati per valorizzare la qualità sostenibile della filiera e del prodotto. L’ambiente digitale user friendly è stato implementato per migliorare l’esperienza di navigazione dell’utente che ricerca un percorso di acquisto facile e veloce, soprattutto sui dispositivi mobili, confermando la costante attenzione e l’impegno della illycaffè nel fornire soluzioni agevoli e innovative ai propri utenti. La nuova tecnologia permette di abilitare funzionalità avanzate che offrono una migliore esperienza di acquisto, creando un ambiente per lo shopping più coinvolgente personalizzato.

La scheda sintetica di illycaffè

illycaffè è un’azienda familiare italiana fondata a Trieste nel 1933, che da sempre si prefigge la missione di offrire il miglior caffè al mondo. Produce un unico blend 100% Arabica composto da 9 ingredienti diversi. L’azienda seleziona solo l’1% dei migliori chicchi di Arabica al mondo.

Ogni giorno vengono gustate 8 milioni di tazzine di caffè illy nei bar, ristoranti, alberghi, caffè monomarca, case e uffici di oltre 140 paesi, in cui l’azienda è presente attraverso filiali e distributori.

Fin dalla nascita illycaffè ha orientato le proprie strategie verso un modello di business sostenibile, impegno che ha rafforzato nel 2019 adottando lo status di Società Benefit e nel 2021 diventando la prima azienda italiana del caffè ad ottenere la certificazione internazionale B Corp. Dal 2013 illycaffè è inoltre una delle World Most Ethical Companies.

Tutto ciò che è ‘made in illy’ viene arricchito di bellezza e arte, a cominciare dal logo, disegnato da James Rosenquist, le illy Art Collection, le tazzine decorate da più di 125 artisti internazionali o le macchine da caffè disegnate da designer di fama internazionale.

Con l’obiettivo di diffonderne la cultura della qualità ai coltivatori, baristi e amanti del caffè, l’azienda ha sviluppato la sua Università del Caffè che ad oggi svolge corsi in 25 paesi del mondo. Nel 2021 Rhône Capital è entrato nel capitale di illycaffè con una quota di minoranza per accompagnare l’azienda nella crescita internazionale. Nel 2022 illycaffè ha impiegato 1230 persone e ha generato un fatturato consolidato pari a €567,7 milioni. La rete monomarca illy conta 190 punti vendita in 34 Paesi.

Icam Cioccolato: fatturato di 216,5 mln, +7% rispetto al 2022

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Adelio Crippa, direttore generale di Icam Cioccolato (immagine concessa)

ORSENIGO (Como) – Icam Cioccolato, azienda leader nella produzione e commercializzazione di cioccolato e semilavorati del cacao, annuncia la chiusura del 2023 con un fatturato di 216,5 milioni di euro, un incremento del 7% rispetto all’anno precedente.

I risultati di Icam nel 2023

L’azienda continua il proprio percorso di crescita fatto di investimenti industriali finalizzati a mantenere alto il livello di innovazione dei propri prodotti e di progetti importanti nei paesi di origine del cacao dove garantisce un’elevata qualità della materia prima attraverso un approccio sostenibile per l’ambiente e le persone.

In crescita +36% dal 2019 nel fatturato, Icam ha saputo gestire in maniera oculata le difficoltà che hanno caratterizzato il settore – gli aumenti del costo dell’energia prima e l’impennata del prezzo del cacao poi – e tornare alla situazione pre-pandemia nel 2023 con un Ebitda a doppia cifra. Una crescita organica ed equilibrata tra le tre differenti aree di business che contribuiscono alla composizione del fatturato dell’azienda: 47% per i prodotti a marchio proprio (sia per il canale professionale che per quello consumer), 38% per il private label e 15% dei prodotti destinati all’industria.

Icam oggi è infatti una delle poche aziende in Italia che segue l’intero processo di trasformazione del cacao: from bean to bar per la quasi totalità delle insegne del private label nazionale e internazionale e per il consumatore finale con i prodotti a marchio Vanini; passando per una grande produzione di semilavorati destinati all’industria e al mercato professionale con i marchi Icam Professional e Agostoni.

Una realtà che si è saputa fare spazio nel settore dolciario nazionale e internazionale grazie a una profonda conoscenza della materia prima e un fortissimo spirito innovativo che le permette di essere sempre in grado di interpretare le necessità di business dei clienti (soprattutto quelli industriali), creando di volta in volta un’offerta ad hoc sulla base delle differenti esigenze.

Questo approccio ha portato Icam a vedere crescere anno dopo anno il proprio business anche all’estero che oggi rappresenta il 56% del fatturato.

Una presenza all’estero che si è ampliata continuamente nel corso degli anni nei paesi più strategici, sia a livello commerciale e di filiera, con un totale di circa 500 collaboratori in giro per il mondo. Oltre alla sede italiana di Orsenigo (CO), l’azienda è oggi presente in Uganda con Icam Chocolate Uganda ltd., con degli uffici commerciali negli Stati Uniti (Agostoni Chocolate US), nel Regno Unito (ICAM Chocolate UK) e, le ultime due subsidiary nate, ICAM France e ICAM Chocolate Perù Sac.

Icam da quasi 80 anni porta avanti un approccio che l’ha vista, da una parte, impegnata a girare il mondo per identificare i paesi con le condizioni migliori (politico-amministrative e geologiche) per la coltivazione del cacao (oggi l’azienda acquista cacao da 70 diversi paesi), intessendo relazioni forti con le cooperative di coltivatori con l’obiettivo comune di creare le migliori condizioni – lavorative, ambientali e di benessere – per ottenere un cacao dalle elevate qualità; e dall’altra di offrire ai propri clienti tutta la propria expertise per garantire un’offerta innovativa, di qualità e sempre in linea con i trend del settore.

Icam per la sostenibilità

In particolare, l’impegno a salvaguardare l’ambiente e a preservare il benessere delle piantagioni di cacao nei paesi d’origine è, oggi più che mai, un elemento fondamentale e imprescindibile per Icam, non solo per le regolamentazioni europee sempre più stringenti su questi temi, ma soprattutto per garantire il benessere del pianeta, delle piantagioni e delle persone che da queste traggono il proprio sostentamento.

Un impegno che Icam porta avanti da sempre attraverso programmi di formazione dei coltivatori atti a preservare la biodiversità dei terreni e contrastare erosione e impoverimento del suolo. Proprio all’inizio del 2023 è partito in Uganda (presso il centro di raccolta di cacao, Icam Uganda ltd., fondato nel 2013) il programma che coinvolge 600 agricoltori nell’apprendimento di alcune tecniche di coltivazione finalizzate all’incremento della resilienza dei terreni ai cambiamenti climatici.

Avrà una durata di 3 anni e che verrà affiancato nel 2024 da altri importanti investimenti in progetti volti a incrementare la produttività delle piante di cacao, attraverso l’adozione di approcci sostenibili, e la tracciabilità in Africa centrale e anche in alcune piantagioni del Perù.

Un programma di investimenti aziendali che non si ferma ai paesi di origine del cacao, ma che a cascata si riversa anche sullo stabilimento produttivo di Orsenigo, cuore pulsante dell’innovazione tecnologica dell’azienda, che sarà protagonista di alcune implementazioni finalizzate all’ampliamento della capacità produttiva e all’innovazione di prodotto, oltre al potenziamento dell’Innovation Center dove già oggi oltre 400 ricette oggi prendono vita attraverso il dipartimento R&D.

“Oggi viviamo un contesto socio-economico particolarmente complesso in cui chi opera nella produzione di cioccolato si trova ad affrontare diverse e importanti sfide, ha dichiarato Adelio Crippa, Direttore Generale di Icam Cioccolato. Il costante aumento delle quotazioni del cacao, cominciato nel 2023, ha vissuto un’importante impennata nei primi mesi del 2024, passando dalle 3.400 sterline/ton a fine dicembre alle 5.500 sterline/ton di fine febbraio”.

Adelio Crippa aggiunge: “Un aumento vertiginoso e un altrettanto preoccupante calo della disponibilità della materia prima che sta creando non poche preoccupazioni al mercato. Il nostro approccio sostenibile alla filiera che da sempre portiamo avanti, in Italia come nei paesi di origine, purtroppo non ci sottrae oggi dal dovere affrontare le conseguenze della riduzione della disponibilità di materia prima e dell’impennata del suo costo. Con l’obiettivo di impattare il meno possibile sui nostri clienti, e a cascata sul consumatore finale, stiamo continuando, da una parte, a portare avanti relazioni dirette e di lungo periodo con le cooperative di coltivatori per tenere monitorato il problema della disponibilità, dall’altra siamo in costante comunicazione con i nostri clienti con aggiornamenti periodici sulla situazione e fissando degli aumenti di prezzi calmierati ma necessari per sostenere l’intera filiera attraverso modalità sostenibili, come abbiamo sempre fatto”.

La scheda sintetica di Icam Cioccolato

L’azienda Icam propone prodotti rivolti ad un consumatore che ricerca nel cioccolato un’eccellente qualità, ricette innovative e che sposa i valori della sostenibilità. Il cacao utilizzato proviene direttamente dai paesi di origine, da selezionate cooperative di coltivatori con cui l’azienda vanta rapporti di collaborazione di lunga durata.

Insieme a loro c’è l’impegno nel rispettare i cicli naturali di coltivazione, all’interno di una filiera integrata e sempre sostenibile verso le persone e l’ambiente, valori che l’azienda Icam fa propri da oltre 75 anni.

Chicco Pezzini, il pioniere del nitro coffee cold brew: “E’ un buon prodotto in cui investire”

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Emiliano Chicco Pezzini (foto concessa)
Emiliano Pezzini (foto concessa)

MILANO – Con Emiliano Pezzini, titolare di Chicco Pezzini, per discutere della gestione di un locale, della torrefazione e dell’approvvigionamento di specialty ma anche di cioccolato e infine, naturalmente, della prospettiva di un prodotto a lui da sempre molto caro: lo produceva e ci credeva già dal 2015, quando neppure se ne accennava. Stiamo parlando di nitro coffee cold brew.

Chicco Pezzini: torrefazione, shop e ristorante. Ci spiega come è possibile far convivere tutto in una sola impresa?

“Chicco Pezzini apre nel 1997 come birreria nello stesso locale in cui oggi ho la caffetteria e ristorante. È soltanto nel 2011 che timidamente partono i primi tentativi di tostatura al suo interno, che poi sono sfociati nel 2015 nell’apertura di un laboratorio vero e proprio di torrefazione. Attualmente ho due sedi separate: quella dedicata alla tostatura e una che fa da ristorante e coffee shop in cui svolgiamo la classica attività di servizio dalla colazione al pranzo.

Possedevo una macchina per espresso quando già avevo appena aperto la birreria, ad appena 21 anni: non conoscevo ancora il caffè, ma dopo qualche anno ho iniziato a capire che dovevo ampliare l’offerta del locale e sono passato a coprire anche la parte diurna.
Così mi sono appassionato al caffè e ho voluto imparare a valorizzarlo, studiandolo a fondo.

Il torrefattore da cui mi rifornivo non mi dava le informazioni che mi interessavano e così ho svolto da solo le mie prime ricerche, scoprendo le monorigini e le roastery che le producevano.

A quel punto ho scelto di parlare con il mio torrefattore di allora e gli ho proposto di acquistare tutte quelle attrezzature che mi aveva dato in comodato d’uso.

Nel 2011, dopo un po’ di tempo di autonomia, ho comprato una piccola tostatrice da inserire nella caffetteria per iniziare a tostare personalmente, selezionando i crudi single origin.

Allora non si parlava ancora molto di specialty, ma collaboravo con un importatore che mi permetteva di acquistare quantità ridotte di verde. Nel 2015, ho iniziato con volumi più grandi.

Già a quei tempi, vendevo nitro coffee fuori dal Salone del Libro in un food truck.”

Ha premiato la scelta di buttarsi nella torrefazione?

“Ha funzionato e sta funzionando alla grande. A Viareggio, nel quartiere di periferia in cui mi trovo che è piuttosto popolare, i clienti che arrivano sono tanti e ben contenti del fatto che possano trovare un caffè buono tostato da me. È un valore aggiunto al Chicco Pezzini.

L’espresso Chicco Pezzini (foto concessa)

Lo specialty, proposto anche in miscele e con Fine Robusta, vanno bene. Ho più macinini con cui durante la settimana preparo diverse monorigini. Il caffè più richiesto è chiaramente la miscela (80% Arabica specialty e 20% Fine Robusta), ma c’è sempre una domanda crescente di specialty monorigini in espresso e anche in filtro. Spesso vengono turisti che lo chiedono o si portano via una confezione in grani.

Da noi l’espresso va da 1.50 a 2.50, il single shot deve partire da lì. I filtri invece sono dai 3 ai 4.50, per invogliare le persone a provarli. Spieghiamo sempre il perché di questo prezzo, raccontiamo quello che è il nostro caffè e le persone lo accettano.

Grazie al blend con il Fine Robusta ho un risultato eccezionale: questo mi permette di abbassare un po’ i prezzi e va benissimo così, non sono un estremista.”

Nel vostro locale multifunzionale, è più facile spingere lo specialty, le estrazioni alternative e il double shot?

“La richiesta in generale di tutte queste opzioni sta sempre più aumentando. Così come altre estrazioni come le infusioni a freddo.

Da Chicco Pezzini circola un tipo di clientela che cerca qualcosa di buono, dal caffè al cacao che tosto io stesso, anche se richiede molto tempo per la preparazione: a questa materia prima mi ci dedico nei momenti di picco delle richieste come nelle vacanze natalizie, selezionando anche le fave di cacao in prima persona e realizzando delle tavolette. Ho adottato uno strumento primitivo per separare la parte buona della fava di cacao.

Il cacao viene tostato nel forno ventilato – ha bisogno di altre tempistiche e velocità di rotazione -, mentre per lo specialty ho due macchine, una da 15 e una da 2 chili.”

Una domanda a brucia pelo: meglio cold brew, cold drip o nitro cold brew?

Le lattine di nitro (foto concessa)

“A sentimento? Nitro tutta la vita. Trovo che l’estrazione a freddo dia un risultato migliore con l’aggiunta dell’azoto: quella texture non si ottiene con un classico cold brew. È una scelta soggettiva: il cold brew non mi dà le stesse emozioni di un nitro. Mi piace la cremina che si forma nel bicchiere. Punto tantissimo su questo prodotto, e l’investimento è grande, nonostante sia difficile da spingere: il mercato ancora non lo conosce.

Nel 2015, quando ho iniziato a occuparmi di questa estrazione, sono arrivato ad ottenere un risultato piacevole soltanto nel 2017. Con l’Ape a Carro Ponte, vendevo 250 litri di bevanda. Nessuno sapeva che cosa fosse il caffè alla spina, suscitava curiosità tra i non addetti ai lavori. Quando però poi ho cominciato a distribuirlo a Viareggio sui locali che rifornivo, investendo negli impianti alla spina, è stata una stagione piuttosto fiacca. Il ritorno non era stato molto positivo.

E oggi ancora non è cambiato tanto.

Certo dipende dalla scala produttiva: attualmente sono ancora piccolo. L’impianto che ho, ha richiesto tanta ricerca, perché si tratta di qualcosa di simile alla birra.

Al pubblico sul sito vendo una lattina da 20cl a 4 euro.

Non mollo, ho iniziato e continuiamo così. Ho comunque registrato un aumento di richieste che mi fa pensare che si tratta di un prodotto su cui investire. Certo molto cambia a seconda del contesto in cui si propone: in diverse fiere, con una grossa affluenza di stranieri, è stato acquistato tanto.

Ho venduto molto all’estero tramite anche l’e-shop, con una richiesta importante registrata dalla Germania. Ora con un sito nuovo, più performante, potrebbe rappresentare un canale ancora più forte per far conoscere il mio prodotto.”

Il problema della durata del nitro e la carica batterica, l’ha risolto?

“Grazie al know how che ho acquisito, ho trovato un metodo che funziona per la lattina: la pascalizzazione, uccide la carica batterica tramite la pressione bar e poi la pastorizzazione allunga i tempi di shelf life (in lattina si arriva ad un anno) e sto studiando per fare lo stesso con il fusto.”

Il nitro di Chicco Pezzini poi è collegato a un progetto con i giovani e il mondo del pugilato: ce ne parla?

“Provengo dal mondo delle arti marziali e mi son detto, perché non sponsorizziamo il nitro come un energy drink per il suo contenuto di caffeina utile agli sport? Oggi comprare Chicco Pezzini significa anche sostenere due ragazzi, uno che fa taekwondo e uno pugilato. Siamo gli sponsor di questo progetto interessante che spero possa crescere.”

Altro progetto in corso è quello alle origini, a sostegno delle donne: come funziona?

“Ho scelto con piacere di acquistare dei caffè che abbiano un impatto sociale sulla questione di genere alle origini: mi rifornisco da IWCA e dalle Cafè della mulieres, e compro il caffè feminino di Slow Food Coffee Coalition: sostengo queste iniziative per aiutare le donne lavoratrici in diverse piantagioni in giro per il mondo.”

Il coloratissimo team Chicco Pezzini (foto concessa)

Una curiosità: come mai avete scelto di continuare a usare tostatrici che lavorano con il metodo della fiamma diretta? Non è più difficile controllare la cottura e quindi rischiare di rovinare una materia prima pregiata come lo specialty?

“Ho seguito i corsi roasting SCA, ma sono un po’ lesso con la tecnologia e quindi mi trovo meglio con l’analogico. Ho una Petroncini e una Vittoria per ora e mi viene naturale continuare così. Abbiamo scelto anche una Faema E61 per il locale, quindi insomma, il retrò è un po’ la mia passione.”

Quando Emiliano Pezzini smette di fare il barista, diventa torrefattore: come fa a gestire questi due aspetti del suo lavoro – uno più a contatto con il pubblico e l’altro dietro le quinte – e come fa a sopportare il carico di lavoro?

“Serve sicuramente tanta energia e passione. Spesso e volentieri il fine settimana sto in torrefazione, chiuso al pubblico. Mi alzo presto la mattina per tostare un lotto di caffè per recuperare il tempo. Cerco di tostare di settimana in settimana: d’estate aumento le tostate e arrivo alle 3 volte a settimana, d’inverno si riduce a una volta sola.

Mi trovo in un momento in cui sto cercando di capire quali saranno i prossimi passi di Chicco Pezzini e sviluppare meglio il progetto specialty, creando anche dei momenti di formazione e di degustazione.

In futuro potrei considerare la collaborazione con qualcuno che mi assista nella torrefazione in Pietrasanta. Per il 2024, l’obiettivo è quello di strutturare meglio queste attività.”

voglioCioccolato, Giuliana ed Emanuele: “In Italia la questione del prezzo è un freno al cacao aromatico”

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Giuliana ed Emanuela voglioCioccolato
Giuliana ed Emanuela voglioCioccolato (foto concessa)

MILANO – Giuliana ed Emanuele formano una coppia nella vita che ha deciso di aprire un’attività a Verona nel mondo del cioccolato, voglioCioccolato, partendo dalla passione comune diventata poi una professione. Non produttori, ma distributori di prodotti degli artigiani che lo preparano da tutto il mondo.

Fanno subito una precisazione: “Il bean to bar ormai è una definizione sinonimo di qualità che però viene usata anche da realtà più grandi meno attente alla materia prima. Per questo noi parliamo di cioccolato da degustazione, ovvero quello prodotto da chi è molto attento nel selezionare i cacao aromatici.”

Cosa sono i cacao aromatici? C’è una classificazione da seguire?

“Questo è un mondo che non ha regolamenti stringenti. Il cacao aromatico innanzitutto si riconosce alla vista e poi dal gusto: un buon cioccolato oltre all’aroma di cacao presenta altre caratteristiche, dei sentori floreali, fruttati, speziati e molti altri senza aromi aggiunti.”

Ma perché avete scelto di fare proprio i Chocolate Taster?

“Abbiamo scelto di essere rivenditori e Chocolate Taster perché non abbiamo le abilità tecniche per produrre il cioccolato a partire dalla fava di cacao e ci sarebbe stato bisogno di un investimento importante per le attrezzature.

Ci piace il sistema che abbiamo creato, perché ci dà la possibilità di entrare in contatto con molte varietà di cioccolato diverse, che magari un trasformatore non conosce perché è abituato ad avere a che fare con determinate materie prime.”

Quali sono brevemente le varietà del cacao?

“La pianta di cacao è stata suddivisa in tre varietà conosciute oggi: il trinitario, il criollo e il forastero. Il criollo è quello più raro e anche più suscettibile alle malattie, difficile da ottenere (meno dello 0,01% della produzione mondiale) il primo ad essere scoperto dai conquistatori spagnoli, che lo hanno definito appunto come il cacao locale (ovvero, criollo).

Poi esiste il forastero, che è molto più resistente alle malattie e meno fine aromaticamente, esportato soprattutto in Africa. Dall’incrocio tra questi due è nato il trinitario per ottenere un prodotto ibrido che avesse le qualità dell’uno e dell’altro. Un’altra varietà è stata trovata dai conquistatori l’Arriba Nacional dell’Equador, che ora sta scomparendo per via della formazione di altri concorrenti.

Si deve però considerare che questa classificazione ora non è più valida: le piante di cacao oggi hanno il frutto e lo stesso seme che contiene più genetiche e questo è dovuto all’ibridazione della pianta e per il fatto che queste nuove forme sono state trasferite in Africa e in Asia, creando un misto di varietà.

Conoscere la varietà vera e propria quindi, non è così fondamentale: le peculiarità che ci sono nel forastero e nel criollo possono certo essere riconoscibili, ma molto dipende da altre variabili (come viene coltivato, il luogo d’origine).

Conta molto di più l’origine e il gusto finale: un cacao alta percentuale criollo e trinitario, lavorato o fermentato male, non ha un risultato ottimale. Dipende che cosa si vuole  ottenere nel prodotto finale: chi lo vuole più equilibrato, potrebbe prediligere delle varietà pregiate del Venezuela ad alte percentuali di criollo con note floreali, di nocciola, delicati.

Chi invece vuole sapori più peculiari può provare il cacao del Madagascar, con note importanti di agrumi e frutti rossi. In Tanzania ci sono più note acidule. Il Perù è
molto fruttato.”

Una volta visto questo, proviamo insieme a leggere un’etichetta così che il consumatore quando deve acquistare, lo fa in maniera più consapevole?

“Partendo dagli ingredienti, la lista corta può essere già un buon segnale. Consigliamo di scartare le etichette in cui si trova il cacao in polvere, perché è la parte meno pregiata della fava di cacao. Altra spia da considerare, l’aggiunta dell’aroma o dello sciroppo di vaniglia che maschera il vero sapore del cioccolato.

Il secondo step sarebbe capire che informazioni dà il produttore al consumatore: quando viene indicata l’origine è già un plus e più si entra nello specifico, meglio è (non basta dire che è del Perù, è come dire che proviene dall’Italia).

Non guardate le percentuali: 80% di fondente non significa che sia di maggiore qualità. Si può avere un cioccolato a 60% che deriva da un lavoro tracciato, dalla cura della materia prima e può avere un livello superiore. La percentuale dice quanto zucchero c’è: occhio quindi nell’etichetta il contenuto dello zucchero.

Nel caso del fondente, al primo posto deve esserci la massa di cacao e non lo zucchero. Il burro di cacao è facoltativo così come l’emulsionante e la lecitina.”

Ma esiste un palato italiano per il cioccolato?

“Non si può parlare di gusto italiano, ma di uno internazionale: ci siamo abituati a qualcosa di amaro che lascia un’astringenza magari con un retrogusto di vaniglia. Poi c’è da aggiungere che il movimento bean to bar da degustazione si sta facendo strada sicuramente più in fretta all’estero, fuori dall’Italia dove la questione del prezzo è un forte ostacolo: spesso riceviamo commenti sui nostri contenuti in cui si critica molto questo aspetto.

Inizialmente abbiamo cercato di contrastare questa tendenza spiegando la lavorazione, la ricerca, il costo della materia prima e dello sfruttamento di chi è alle origini, dietro a quel costo. Ad un certo punto però abbiamo capito che alcuni proprio non vogliono comprendere. E va bene così. Si selezionano anche i consumatori finali, non soltanto la materia prima.”

Ma con i produttori è un problema lo stesso?

“Noi chiaramente siamo in contatto già con produttori consapevoli che acquistano materia prima di qualità. Le realtà piccole che scelgono cacao di qualità inferiore lo fanno soltanto per non perdere la clientela. C’è da dire che comunque chi sceglie di lavorare il cacao per  fare il cioccolato, è ancora una nicchia: noi stessi distinguiamo tra chi fa il cioccolato e chi lo sa lavorare.

Chi trasforma il cioccolato in dessert da pasticceria ha un altro tipo di abilità rispetto a chi prepara il cioccolato a partire dal cacao. Il cioccolatiere scioglie la massa di cacao per produrre la tavoletta con il proprio marchio, e il chocolate maker è un vero e proprio
ingegnere: tosta, macina il cacao.”

Ma cos’è il cacao bio?

“Come qualsiasi altro prodotto agricolo deve rispettare dei disciplinari che stabiliscono alcuni parametri come l’utilizzo di sostanze non chimiche e dei protocolli: nel cacao però, la denominazione bio non è per forza sinonimo di qualità. I produttori infatti hanno difficoltà ad ottenere questa certificazione a causa del costo necessario per ottenerla. Alcuni dicono che coltivano nel rispetto dell’ambiente ma non riescono a definirsi bio.”

Ma il cioccolato senza lattosio come funziona esattamente?

“Le normative sia italiane che europee sono vecchie e i tre prodotti che non si potrebbero chiamare cioccolato sono il bianco senza latte, il cioccolato al latte senza latte e il 100% fondente perché almeno un minimo di zucchero deve contenerlo. Per fare arrivare il messaggio al consumatore noi utilizziamo comunque la definizione cioccolato. Sono aspetti burocratici molto anacronistici. “

Ed è buono?

“Parlando dei nostri prodotti, i bianchi sono i più interessanti. Solitamente si usa il burro di cacao deodorizzato insapore così il risultato è formato dall’unione di latte e zucchero. Alcuni nel bean to bar, usano il burro di cacao naturale perché mantiene gli aromi del cacao di origine: se la materia prima è di qualità, si riflette poi nel burro. Con questi si creano bianchi vegani, senza latte, ma con farina di mandorla o d’avena ed il risultato è davvero buono.”

Voi avete anche studiato l’abbinamento tè-cioccolato: ce ne parlate?

“Abbiamo organizzato dei corsi con questa idea: si mangia con il tè il cioccolato, che si fonde alla temperatura corporea aiutato dal liquore nella scioglievolezza. Uno degli abbinamenti più riusciti: il tè bianco White Moonlight che ha note un po’ lattiche, con un Tanzania 78% con note di frutta secca e cremoso. Si bilanciavano bene. E poi un altro Wild Lapsang Souchong tè nero con note fruttate abbinato a un cioccolato particolarmente fruttato del Perù, un 70% con note di passion fruit.”

E con il rum?

“Proponiamo questo accostamento in negozio, con dei rum da gustare insieme al cioccolato. Parliamo di un abbinamento che funziona ed ha una sua storia: sicuramente ci sono dei fondenti che si adattano al rum, come quelli del Centro America (Jamaica, Repubblica Dominicana) dai sapori molto persistenti, con note di caffè, di frutta matura.

Un esempio: il cioccolato del Nicaragua, della zona di Waslala al 70%, con dei rum agricoli come un Bally ambrato giovane con note di legno. Il limite si può dire che è un po’ la fantasia e la voglia di sperimentare. Dispiace andando in qualche locale e ordinare il rum portando il cioccolato classico di pasticceria con note inesistenti.”

Il settore così artigianale quindi, lo vedete crescere?

“La conoscenza inizia ad esserci, anche se molto limitata. Servirebbe una spinta maggiore da parte delle Fiere specializzate: nel periodo da ottobre sino ad aprile, ci sono tante manifestazioni itineranti dove si punta però più alla quantità.

Però ci sono anche realtà in cui si inizia a fare un discorso diverso, come Eurochocolate e Chocolove. Ci sono anche nuovi clienti che pian piano abbiamo accolto. È un processo
lento, ma esiste la nuova generazione che è molto più curiosa. Nelle nostre masterclass di degustazione notiamo molto l’interesse dei giovani nel cogliere gli aromi e le sfumature. Una cosa è certa: una volta assaggiato questo tipo di cioccolato non si torna indietro.”

Futures dei robusta a nuovi massimi storici, sempre più caro il caffè in Vietnam, mentre incombe l’Eudr

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robusta Brasile
Una pianta di coffea canephora (credits - Wouter Hagens - Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=1890101)

MILANO – I futures dei robusta bucano la resistenza dei 3.400 dollari alla borsa di Londra e volano a un nuovo massimo storico, per il contratto, di 3.417 dollari (scadenza maggio): 57 dollari in più rispetto a venerdì. Rimane invece inviolato il record intraday di 3.460 dollari, stabilito il 7 marzo. Più modesti i rialzi degli arabica, con il contratto per scadenza maggio di New York che chiude a 185,65 centesimi guadagnando appena 80 punti sulla seduta precedente.

Tornando ai robusta, il mercato rimane in una situazione di forte sofferenza, con una domanda mondiale sempre sostenuta, a fronte di un’offerta in forte calo, specialmente da parte dei produttori asiatici.

La produzione di quest’anno del Vietnam è infatti ai minimi degli ultimi quattro anni e l’andamento climatico attuale non appare incoraggiante per la prossima stagione, anche se qualsiasi previsione è al momento prematura.

In Indonesia, la produzione di robusta crollerà del 20% fermandosi a 8,4 milioni, stando alle stime del dipartimento Usa dell’agricoltura

Non se la passa particolarmente bene nemmeno il terzo produttore asiatico – l’India – che potrebbe vedere ridursi il proprio raccolto di robusta di un buon 25-30%, principalmente a causa delle scarse piogge cadute nel periodo della fioritura.

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Dalla Corte: concluso il viaggio educativo DC Campus in Costa Rica

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dalla corte campus
Il viaggio DC Campus Costa Rica (immagine concessa)

BARANZATE (Milano) – Dalla Corte, innovatore leader nel settore delle macchine per caffè espresso, annuncia la conclusione trionfale del DC Campus Costa Rica, uno straordinario viaggio educativo che ha scavato nel cuore della cultura del caffè in Costa Rica. Dal 18 febbraio, stimati distributori e partner Dalla Corte provenienti da tutto il mondo hanno intrapreso un’esplorazione trasformativa di una settimana, scoprendo gli intricati strati della catena di approvvigionamento del caffè.

DC Campus è più di una semplice esperienza educativa: è un viaggio profondo che avvicina le persone al caffè, consentendo loro di esplorare e apprezzare l’intero percorso che sta dietro alla tazzina di espresso che tutti amiamo.

Invitando i propri partner a unirsi a loro in Costa Rica, Dalla Corte ha voluto creare sinergie e connessioni a un livello più profondo, mostrando al contempo l’impegno incrollabile di DC nei confronti del caffè come materia prima e il rispetto per le pratiche etiche e sostenibili.

La spedizione è iniziata con un’affascinante visita a Coopro Naranjo, nella zona di produzione del caffè della West Valley.

Guidati dall’ingegnere Mario Arroyo Uder, direttore generale di Coopro Naranjo, i partecipanti hanno acquisito preziose informazioni sulle attività della cooperativa e sulla sua dedizione alla sostenibilità e alla tracciabilità.

La giornata è proseguita con una visita alla Finca Banyai, dove il team padre-figlio di Sándor Tóth e Márk Tóth ha condiviso la propria esperienza nella coltivazione del caffè.

Nella provincia di Cartago, i partecipanti hanno ammirato le collezioni botaniche di caffè di CATIE, a testimonianza dell’impegno decennale dell’istituzione nella ricerca e nell’innovazione sul caffè.

Il viaggio è proseguito con una visita a CoopeTarrazú, la più grande cooperativa di caffè del Costa Rica, dove i partecipanti hanno potuto constatare di persona gli sforzi della cooperativa per migliorare le pratiche di sostenibilità e il benessere sociale.

Il quarto giorno ha portato il gruppo a Las Margaritas, dove ha sperimentato la tradizione senza tempo della raccolta del caffè sotto la guida di Emmanuel Solis. L’osservazione del meticoloso processo di raccolta e lavorazione delle ciliegie di caffè ha suscitato un profondo apprezzamento per l’abilità artigianale insita nella coltivazione di questa pianta.

A Santa Maria de Dota, i partecipanti hanno esplorato Coopedota, una delle principali cooperative della Costa Rica, e hanno acquisito informazioni sulle certificazioni e sulle pratiche sostenibili, tra cui la produzione di caffè a emissioni zero. Il viaggio è proseguito con le visite alle fattorie La Pira e Don Cayito, dove i viaggiatori hanno assaggiato caffè squisiti e imparato a conoscere metodi di lavorazione innovativi.

Presso l’Hacienda San Isidro Labrador, il gruppo ha avuto modo di conoscere il prestigioso concorso Cup of Excellence e di accendere la propria creatività con un’emozionante gara di latte art. Un momento culminante della spedizione che ha lasciato tutti a bocca aperta!

La spedizione si è conclusa con una visita a Coricafe.s.a, dove i partecipanti hanno avuto modo di conoscere in prima persona il processo di esportazione del caffè, e con un piacevole tour a piedi per le vivaci strade di San Jose, immergendosi nel ricco arazzo della storia del caffè e della cultura locale delle selezioni di grado specialty.

Ogni tazzina è stata una finestra sul patrimonio del caffè della Costa Rica, una testimonianza della passione e della maestria che contraddistinguono questa amata bevanda. DC Campus Costa Rica non è stato solo un viaggio educativo, ma anche una celebrazione della cultura del caffè e una testimonianza della passione che unisce gli appassionati di caffè di tutto il mondo.

Mentre si attende con ansia il prossimo DC Campus, ecco alcune delle testimonianze dei partner DC e degli altri partecipanti a questo DC Campus – Costa Rica:

Matthias Adriaens, Belgio – “Vorrei ringraziare tutti voi per questa fantastica settimana, abbiamo imparato molto, conosciuto persone fantastiche e ci siamo divertiti un mondo! Un ringraziamento speciale a Dalla Corte e Viaje con Cafe per l’organizzazione.”

Federica Trombetta, Italia – “Solo ora, dopo essere nata nel mondo del caffè, posso capire la complessità di questa materia prima. Una materia nobile, piena di sfumature e di persone, di mani che la lavorano e la amano- Fino ad arrivare a Torino, nella nostra torrefazione, per poi essere lavorata e spedita in tutto il mondo. Quante variabili possono esserci per arrivare a quella tazzina che beviamo svogliati, solo ora riesco a percepirle davvero! Ho una nuova visione verso il mondo del caffè e non vedo l’ora di conviderla con tutti! Grazie Dalla Corte per aiutare i baristi di tutto il mondo nel processare il chicco più prezioso che esista. Torno con il cuore pieno di nozioni, persone, sorrisi e risate”.

J. Marie Carlan, Stati Uniti – “Dopo aver visto quanto sia difficile coltivare, raccogliere, lavorare ed esportare il caffè dai Paesi produttori, non riesco più a guardare la mia tazza di caffè allo stesso modo. Vedere il duro lavoro delle persone dietro ogni chicco è stata un’esperienza che mi ha aperto gli occhi. Ho scherzato con i miei compagni di viaggio su come avrei risposto la prossima volta che qualcuno mi avesse detto che il caffè è troppo caro: “Se pensate che sia economico e facile, provate a coltivarlo voi stessi”. Sono felice di vedere l’industria del caffè specialty in Costa Rica in crescita e spero di fare la mia parte per contribuire a garantirne il futuro.”

Alexandros Sanozidis, Grecia – “Esperienza magica, unica e soprattutto istruttiva in relazione a ciò che amiamo e facciamo per lavorare con il caffè! Vorrei ringraziarvi uno ad uno personalmente perché abbiamo avuto una bellissima collaborazione senza alcun problema, così come tutto lo staff di Dalla Corte i loro partner e soprattutto i meravigliosi organizzatori – le guide, autisti, fotografi e tutti i partecipanti a questo viaggio unico! Da non dimenticare anche l’ospitalità dei coltivatori, degli esperti e delle persone che ci hanno abbracciato e ospitato nella loro casa.”

George Pairamoglou, Grecia – “Cari compagni di viaggio del ‘DC Campus, il viaggio di approfondimento e le ricche esperienze fornite da Dalla Corte rimarranno per me indelebili. Esprimo la mia più sincera gratitudine a Dalla Corte e a tutti voi per ciò che abbiamo condiviso in questo viaggio unico. Spero che ci incontreremo di nuovo presto per condividere esperienze simili. Pura vida.”

Il caffè alleato contro il cancro all’intestino: ecco i risultati della ricerca

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Secondo una nuova ricerca medica condotta da Ellen Kampman, docente dell’Università di Wageningen, Paesi Bassi, e da Marc Gunter, titolare della cattedra di epidemiologia e prevenzione dei tumori presso la scuola di salute pubblica dell’Imperial College di Londra, le persone affette da cancro all’intestino che bevono dalle due alle quattro tazze di caffè al giorno hanno molte meno probabilità di veder tornare la malattia. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Torresette.

I benefici del caffè contro il cancro all’intestino

MILANO – Che il caffè fosse un alleato contro alcune malattie non è una novità. Diverse ricerche precedenti, infatti, hanno già suggerito come il caffè, che contiene centinaia di composti biologicamente attivi che hanno proprietà antiossidanti, possa avere alcuni benefici contro alcune malattie anche neurodegenerative, riducendo così i sintomi delle patologie.

Ora, in questa nuova ricerca medica condotta da Ellen Kampman, docente dell’Università di Wageningen, Paesi Bassi, e da Marc Gunter, titolare della cattedra di epidemiologia e prevenzione dei tumori presso la scuola di salute pubblica dell’Imperial College di Londra, le persone affette da cancro all’intestino che bevono dalle due alle quattro tazze di caffè al giorno hanno molte meno probabilità di veder tornare la malattia.

La notizia è stata successivamente riportata dal Guardian. Gli esperti hanno dichiarato che i risultati sono promettenti e hanno ipotizzato che, se altri studi mostreranno lo stesso effetto, i 43.000 britannici a cui è stato diagnosticato il tumore all’intestino potrebbero essere incoraggiati a sorseggiare questa bevanda, amatissima in molti paesi del mondo, tra cui, naturalmente, l’Italia.

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Mokador sigla un accordo con Gemos per la fornitura di caffè

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Il logo Mokador

Mokador, torrefazione manfreda, e Gemos, cooperativa faentina specializzata nel settore della ristorazione, hanno avviato una collaborazione. Mokador non si limiterà a fornire il caffè alla cooperativa faentina ma anche una gamma completa di prodotti e servizi che abbraccia la formazione del personale dedicato alla caffetteria, grazie ai corsi e alla consulenza della Mokador Experience Academy. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale Il Piccolo.

La collaborazione tra Mokador e Gemos

FAENZA – Faenza è una città di eccellenze nell’arte, nella tecnologia, nel food e nel beverage. È qui che Mokador, storica torrefazione manfreda, e Gemos, cooperativa faentina specializzata nel settore della ristorazione, hanno deciso di avviare una partnership all’insegna del gusto. La grande attenzione alla qualità e al servizio è un tratto comune delle due realtà che ha portato entrambe a crescere ed affermarsi ben oltre ai confini cittadini.

“La nostra missione – sottolinea Matteo Castellari, presidente della torrefazione – è quella di creare un caffè di alta qualità per ogni momento della giornata ed occasione di consumo. Nell’ambito della partnership siglata grazie alla stima del dottor Marco Placci, direttore generale di Gemos, che ringraziamo per aver creduto da subito in questa collaborazione, Mokador non si limiterà a fornire il caffè, ma una gamma completa di prodotti e servizi che abbraccia anche la formazione del personale dedicato alla caffetteria, grazie ai corsi e alla consulenza della Mokador Experience Academy”.

“Cooperare con una realtà come Mokador è la direzione da intraprendere per offrire prodotti e servizi di qualità a tutti i clienti che ogni giorno si affidano a noi. Da questa partnership ci aspettiamo una reciproca crescita, con l’obiettivo di aggiungere valore all’esperienza di consumo delle persone”, aggiunge Mirella Paglierani, presidente Gemos.

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Starbucks annuncia l’apertura a Rimini: partita la ricerca del personale

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Il logo di Starbucks

RIMINI – La sirenetta di Starbucks continua la sua espansione nel Bel Paese e arriva finalmente a Rimini. Già da tempo il brand statunitense aveva progettato una caffetteria nella suggestiva cornice della Riviera con le trattative realizzate per il primo Starbucks a Rimini al posto del noto Caffè delle Rose.

L’apertura di Starbucks a Rimini

L’accordo è infine saltato ma i vertici della catena non si sono arresi e hanno individuato finalmente il luogo adatto per far sorgere il nuovo store: il centro commerciale Le Befane.

Per il momento non c’è ancora una data ufficiale per l’apertura del locale. Prima di poter iniziare i lavori bisogna infatti completare l’iter e avere tutte le autorizzazioni.

Tuttavia il gruppo Percassi, licenziatario unico della catena, ha già avviato la ricerca di personale per Rimini, in particolare baristi e store manager.

Conclusa la Corsa dei caffè a Parigi, la gara fra 300 camerieri con vassoio in mano

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La torre Eiffel di Parigi (immagine: Pixabay)

Nel quartiere di Parigi del Marais si è tenuta dopo 13 anni di pausa La Course des Cafés – Corsa dei caffè il 24 marzo. L’obiettivo era percorrere due chilometri di corsa con un vassoio in mano. Il vincitore della categoria maschile Samy Lamrous ha concluso la competizione in 13 minuti e 30 secondi, senza far cadere il caffè, l’acqua e il croissant che trasportava. Pauline Van Wymeersch è stata la migliore cameriera con 14 minuti e 12 secondi. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Lara Loreti per La Repubblica.

La Corsa dei caffè a Parigi

PARIGI – Due chilometri di corsa con un vassoio in mano nelle strade dello storico e affascinante quartiere parigino del Marais (dove si trova la mitica Place des Vosges, amatissima dagli italiani, con il leggendario ristorante Ma Bourgogne).

Protagonisti assoluti de La Course des Cafés – Corsa dei caffè – competizione che attira l’attenzione di gourmet e curiosi, sono loro, i camerieri: una professione in crisi, dal post Covid diventata oggetto famigerato delle cronache per la scarsità di personale.

Ma domenica 24 marzo a Parigi tutti gli occhi sono stati catalizzati da questo esercito di garcons, in un evento che rappresenta uno degli appuntamenti più storici del settore. Basti pensare che è stato ideato oltre cento anni fa, nel 1914, alla vigilia della Prima guerra mondiale.

All’epoca ai partecipanti, tutti uomini, era chiesto di portare un vassoio con una bottiglia e tre bicchieri per 8 chilometri. Un tributo ai caffè e ai bistrot parigini, simbolo e parte integrante dell’arredo e della bellezza della città della Tour Eiffel e del Café de la Paix, tanto per citare uno dei più noti. cantato anche da Battiato.

Organizzata dalla Città di Parigi e da Eau de Paris (che ha stanziato 100mila euro per divise, cibo e vassoi), in collaborazione con l’Union des Métiers et des Industries de l’Hôtellerie Paris Île-de-France (Umih) e il Groupement des Hôtelleries & Restaurations de France Paris Île-de-France (Ghr), quest’anno la gara è tornata a dominare le strade del Marais dopo 13 anni di pausa.

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