CIMBALI M2
venerdì 29 Novembre 2024
  • CIMBALI M2
Home Blog Pagina 196

Luciano Sbraga, Fipe: “Il settore è in ripresa ma su 100 aziende che aprono la metà chiude dopo 5 anni: necessaria più formazione”

0
centro studi fipe sbraga
Luciano Sbraga, vice direttore della Fipe e responsabile del Centro Studi dell'associazione

MILANO – Il settore della ristorazione ha avuto ben più di una difficolta negli ultimi anni considerando il periodo del Covid e il caro-vita che affligge oggi il comparto dal piccolo al grande imprenditore. Come è possibile perciò muoversi e fare impresa nell’horeca? Luciano Sbraga, direttore del Centro Studi di Fipe Confcommercio e vice direttore della stessa associazione, cerca di dare una risposta alla domanda evidenziando i maggiori problemi che la ristorazione sta riscontrando in questo momento grazie all’intervista di Maria Lucia Panucci pubblicata per Business 24.

Il settore della ristorazione secondo Fipe Confcommercio

Secondo Luciano Sbraga, il 2023 è stato un anno positivo che ha visto una reale ripresa dopo la pandemia. Anche nel 2022 si è registrato un recupero sulle perdite ma è solo nel 2023 che la salita nella ristorazione si è risollevata nonostante si è ancora, per poco, sotto i livelli del 2019. Tuttavia a prezzi correnti si è abbondantemente sopra.

Luciano Sbraga rivela a Business 24: “Questo non perché il settore abbia avuto un’inflazione eccessivamente alta, anzi siamo stati virtuosi, attestandoci nella media nazionale del 5,8% e mantenendoci a livelli piuttosto moderati anche quando il costo della vita ha raggiunto picchi a due cifre per le materie prime e l’energia. La ristorazione ha cercato il più possibile di non scaricare sui listini, e quindi sui consumatori, l’aumento delle varie voci di costo”.

La stessa dinamica di prezzo si nota anche in questi primi mesi del 2024. A febbraio l’inflazione nei servizi di ristorazione scende al +3,5% dal +3,7% di gennaio.

Luciano Sbraga si sofferma poi sull’andamento della ristorazione a livello operativo. Sbraga rivela sempre a Business 24 che a fine 2023 Fipe ha contato circa 332mila imprese. Il tasso di sopravvivenza non è esattamente alto e molti locali hanno chiuso. Tuttavia, dopo la pandemia, si è registrato un numero minore di aperture.

E ovviamente non è impossibile ignorare il problema che attanaglia il 50% delle imprese: la difficoltà a reperire personale qualificato. E da qui, Luciano Sbraga riflette sull’importanza della formazione: “Il fatto che su 100 aziende che aprono circa la metà dopo cinque anni chiuda dimostra non solo che siamo in un settore super-competitivo ma anche che molti si improvvisano a fare gli imprenditori” afferma a Business 24.

Secondo il direttore è cruciale avviare un’attività di consapevolezza per tutto ciò che riguarda una buona gestione imprenditoriale di un’attività.

Sbraga prosegue elencando ciò che Fipe ha chiesto al Governo per rendere la vita più semplice agli imprenditori: la conferma del taglio del cuneo fiscale per alzare le buste paga dei lavoratori, una maggiore accessibilità agli incentivi fiscali e, infine, un maggiore supporto alle famiglie per permettere loro di avere maggiore disponibilità da investire nei consumi.

Sbraga fa il punto della situazione sull’imprenditoria femminile nella ristorazione

Business 24 riporta: “Ad oggi il settore conta oltre 600 mila donne attive e 96 mila imprese a conduzione femminile, pari all’8% delle imprese femminili complessive (oltre 1,2 milioni) in Italia.  In pratica nel nostro settore quasi un’impresa su tre è gestita da donne. Sdoganiamo dunque il luogo comune che si tratti di un settore prettamente maschile perché non è così, anzi il peso dell’imprenditoria femminile è in continua crescita”. C’è di più: a livello di lavoro dipendente più del 50% degli occupati è composto da donne. Ciò dimostra che il settore della ristorazione si fa ogni anno sempre più rosa.

E, infine, Sbraga regala una piccola analisi di ciò che Fipe si è aspettata per le imprese nel periodo di Pasqua. La Federazione ha previsto 6,4 milioni gli ospiti che consumeranno il pranzo di Pasqua nei ristoranti del Bel Paese. La spesa complessiva è di 450 milioni di euro, in crescita rispetto al 2023. Per il lunedì di Pasquetta, riporta sempre Business 24, si prevede una leggera flessione rispetto al 2023, con il 78,1% delle attività che accoglieranno 4,9 milioni di clienti, tra residenti e turisti.

Per leggere l’intervista completa basta cliccare qui

Bruno Vanzan: “Essere barman non è un ripiego, lo stipendio arriva a 3mila euro”

0
vanzan
Bruno Vanzan

Bruno Vanzan, bartender campione del mondo di flair competition Bacardi e Martini nel 2008 e primo posto nel 2016 al Campionato mondiale IBA, si rivela in una lunga intervista condotta da Maurizio Bonassina per Il Corriere della Sera. Personalità eclettica, l’imprenditore Vanzan ha aperto un’accademia a Sesto San Giovanni per formare 300 giovani ogni anno ed è un fermo sostenitore della professione del bartender. Leggiamo di seguito la prima parte dell’intervista.

Bruno Vanzan, il re della mixology

MILANO – Uno shaker nelle sue mani diventa subito un trofeo. Da dietro il bancone, infatti, Bruno Vanzan ha collezionato più di cento coppe. Un palmarès di tutto rispetto per il fuoriclasse del mixology, classe 1986, romano di nascita ma milanese di adozione. Due volte campione del mondo, a Torino nel 2008 come miglior flair (la creazione di un cocktail, ndr) e a Tokio nel 2016 per il miglior cocktail.

“Mi sento milanese anche se amo la mia città di origine — racconta Vanzan —. La separazione dei miei genitori ha steso però una nebbia sui ricordi di infanzia. Milano, adesso, è la mia città”.

Il re dei bartender ora è approdato a Sesto San Giovanni che diventa il suo palco: “Era il mio sogno — racconta Vanzan parlando della sua Bruno Vanzan Academy, dove si impara a fare un caffè d’eccellenza e un cocktail d’autore —. Ho fatto la scuola aeronautica per far piacere al papà, intanto lavoravo nel bar sotto casa. Due soldi facevano comodo. Erano i tempi degli american bar. Tra una tazzina e uno “spruzzato” ho capito che dietro il banco c’erano dei sogni da realizzare”.

Quanto si guadagna dietro il bancone?

“Un giovane bartender ha uno stipendio base intorno a 1.800 euro al mese. Ma, se fa carriera, con attribuzioni di maggior responsabilità, se diventa bar manager, allora la busta paga può sfiorare i 3.000 euro”. A Milano i drink costano cari. “Non è così — risponde —. Per un drink si possono spendere due soldi oppure anche 150 euro. A parte i costi fissi che variano in base al locale, è la qualità del servizio e degli ingredienti a fare la differenza. Un gin tonic, per esempio, si può fare con pochi euro ma ci sono bottiglie con cifre a tre zeri. È il cliente che sceglie. La qualità, l’eccellenza, come in ogni campo, hanno un prezzo”.

Per leggere l’intervista completa basta cliccare qui

Nespresso investe 18,5 milioni per rivitalizzare lo specialty coffee nella Repubblica Democratica del Congo

0
nespresso Eric Favre capsule
Logo Nespresso

VEVEY (Svizzera) – Nespresso sta investendo 18,5 milioni di euro nella Repubblica Democratica del Congo per rivitalizzare lo specialty coffee entro il 2026. Questo particolare investimento coprirà gli acquisti di caffè, i premi di prezzo, l’assistenza tecnica, i progetti comunitari e il supporto per aiutare i coltivatori ad accedere ai mercati globali.

L’investimento di Nespresso

L’ambizione di Nespresso non si ferma qui e mira altresì a raccogliere ulteriori 18,5 milioni di euro per sostenere le comunità coltivatrici di caffè nella regione di Kivu situata nella Repubblica Democratica del Congo.

Questa iniziativa fa parte del programma Nespresso Reviving Origins, creato 10 anni fa, che mira a ripristinare la produzione di caffè nelle regioni dove è minacciata.

Guillaume Le Cunff, ceo di Nespresso, ha dichiarato: “Il Kivu ha il potenziale per essere una delle grandi regioni del caffè del mondo, ma ha affrontato condizioni estremamente difficili negli ultimi anni. Attraverso il nostro programma Reviving Origins lavoriamo a stretto contatto con i coltivatori congolesi. Ci siamo uniti a diversi partner, tra cui l’Eastern Congo Initiative (ECI)/ASILI, TechnoServe, l’Agenzia degli Stati Uniti per lo sviluppo internazionale (Usaid), The Global Environment Facility (GEF), Clarmondial, l’Unione internazionale per la conservazione della natura (IUCN) e Virunga Coffee, per ripristinare e rivitalizzare il Kivu come principale fonte di caffè Arabica di alta qualità.”

Nel 1980, il caffè era la seconda esportazione più importante per la Repubblica Democratica del Congo e il chicco di questo paese era tra i migliori al mondo.

Tuttavia, l’offerta è diminuita nei primi anni 2000 a causa di anni di instabilità che hanno avuto un impatto devastante sull’industria. Il lancio nel 2020 del programma Nespresso Reviving Origins nel Paese ha contribuito a rivitalizzare la produzione di caffè nella regione del Lago Kivu.

Il ceo di TechnoServe, William Warshauer, ha dichiarato: “Il profondo impegno di Nespresso verso il Kivu sta creando cambiamenti duraturi nelle comunità di tutta la regione. Nel nostro lavoro insieme per dotare i coltivatori delle conoscenze e dei collegamenti di mercato di cui hanno bisogno per prosperare, abbiamo visto l’impatto trasformativo che il caffè può avere nel Kivu. Crediamo che questa iniziativa contribuirà a ispirare altre aziende a investire lì.”

Abraham Leno, direttore esecutivo dell’Eastern Congo Initiative, ha detto: “Da quando abbiamo iniziato a lavorare insieme, abbiamo costruito un grande centro sanitario e un intero sistema idrico nella comunità agricola di Minova. Oggi, il nostro team medico assiste i parti in modo sicuro e prepara centinaia di bambini per la scuola. Oltre 22000 persone della comunità locale hanno accesso all’acqua pulita, e mentre il numero di sfollati aumenta, siamo una fonte primaria di acqua per migliaia di famiglie che fuggono dalla violenza. Con il continuo supporto da parte di Nespresso, miriamo a continuare questo lavoro, espandendo un accesso dignitoso e sostenibile all’acqua pulita e alle cure mediche.”

Il programma di approvvigionamento sostenibile del caffè dell’azienda, il programma Nespresso AAA Sustainable QualityTM, fornisce la base per il lavoro di Reviving Origins. Per 20 anni, il programma AAA ha costruito rapporti solidi con i coltivatori di caffè in tutto il mondo per proteggere la natura e la vita nei paesaggi in cui viene coltivato il caffè e per rafforzare la resilienza delle comunità.

Nespresso implementerà ulteriormente il programma AAA nella Repubblica Democratica del Congo e supporterà i coltivatori nell’implementare pratiche rigenerative, come la diversificazione delle colture, il sradicamento, il miglioramento della salute del suolo e l’agroforesteria.

Attraverso il programma AAA, Nespresso implementerà anche uno strumento di monitoraggio della biodiversità utilizzando la ricca avifauna unica della Repubblica Democratica del Congo.

Svizzera: esportate 62mila tonnellate di cioccolato nell’Unione europea nel 2023

0
cioccolato parmigiano reggiano finlandia slovenia stampante 3d studio ritter comaschi cioccolatini colesterolo chocolate said svizzera cacao ecuador menopausa moda rizzi
La produzione di cioccolato (Pixabay License)

BERNA – Nel 2023 la Svizzera ha esportato 62000 tonnellate di cioccolato nell’Unione Europea. La Confederazione risulta, come riportato dal Corriere del Ticino, il maggiore fornitore di cioccolato tra i Paesi terzi alla comunità continentale. Il 36% del cioccolato importato nell’Unione Europea dello scorso anno proviene dalla Svizzera. Il Regno Unito giunge al secondo posto con 61000 tonnellate.

L’esportazione di cioccolato della Svizzera

Medaglia di bronzo per l’Ucraina con 22000 tonnellate, seguita da Turchia, 7000, e Norvegia con 3000 tonnellate di cioccolato.

Nel 2023 gli stati appartenenti all’Unione Europea hanno esportato un totale di 867mila tonnellate di cioccolato.

Secondo un comunicato di Eurostat, un terzo era destinato agli UK. La Svizzera, che ha importato 24000 tonnellate, non figura invece tra i cinque maggiori acquirenti di cioccolato dell’Ue.

Kruve lancia Create, il bricco per schiumatura del latte a tre beccucci

0
Kruve Create
Create in azione (immagine presa dal sito di Kruve)

VAUGHAN (Canada) – Kruve, azienda canadese specializzata nella produzione di bicchieri e accessori per il caffè, ha presentato il suo ultimo prodotto: un nuovo bricco per la schiumatura del latte a tre beccucci chiamato Create. Insieme al bricco, sono stati lanciati i primi due pezzi di una nuova linea di bicchieri in porcellana.

Quest’ultimi saranno disponibili in anteprima per i sostenitori della quarta campagna di Kruve su Kickstarter, che si concentra principalmente sul Create e ha già raccolto più di 65.000 dollari.

Create presenta tre beccucci che forniscono un flusso di latte stretto, extra largo o di dimensioni medie, al fine di consentire ai baristi di creare diversi disegni di latte art con maggiore flessibilità e controllo.

Il bricco Kruve è dotato di uno strato di isolamento in silicone infuso con mica per un aspetto più accattivante e una base arrotondata sia all’interno che all’esterno per favorire un’azione simile a un vortice durante la preparazione del latte.

Per sviluppare il Create, Kruve ha consultato esperti del settore, tra cui Asa Baiz, noto torrefattore di caffè e YouTuber, Ben Put, plurivincitore del campionato canadese di barista e co-fondatore di Monogram Coffee, e Venice Vallega, campionessa canadese di Latte Art del 2022.

Create nella latte art (immagine presa dal sito Kruve)

Oltre al bricco, la nuova linea di porcellana di Kruve include una versione aggiornata della tazza da latte Imagine e un nuovo design di tazza da espresso chiamato Cascade.

Quest’ultimo è simile alla tazza da espresso Propel di Kruve, con la stessa costruzione a doppia o singola parete e un ampio spazio vuoto per apprezzare gli aromi.

create kruve
La forma a tre beccucci di Create (immagine presa dal sito Kruve)

Dopo la consegna ai sostenitori di Kickstarter quest’estate, il prezzo al dettaglio del bollitore per il latte Create sarà di $69.99, mentre il set di due tazze Imagine o Cascade avrà un prezzo di $29.99.

Kruve prevede di rendere disponibili volumi all’ingrosso e commerciali delle tazze più avanti nel corso del 2024.

Per saperne di più basta cliccare qui

Gran premio della caffetteria italiana: annunciate le date e le tappe con le gare di selezione il 10/06

0
gran premio della caffetteria italiana
Il ritorno del Gran premio della caffetteria italiana (immagine concessa)

MILANO – Sono finalmente state rivelate le date delle tappe della tanto attesa 9° edizione del Gran premio della caffetteria italiana, il più prestigioso evento nel mondo del caffè nel Bel Paese. Gli aspiranti baristi e gli appassionati del caffè potranno mettere alla prova le proprie abilità e competenze in una serie di gare di alto livello che si svolgeranno in diverse città italiane.

La nona edizione del Gran premio della caffetteria italiana

L’avventura inizia con la fase di selezione che aprirà le sue porte il 10 giugno 2024, offrendo a tutti gli interessati l’opportunità di iscriversi e dimostrare il proprio talento. Le tappe di selezione si svolgeranno in quattro città emblema del gusto italiano, con una finale epica che si terrà ad ottobre 2025.

Ecco le tappe da segnare in agenda:

  • 11 ottobre 2024 – Alba (CN) (in collaborazione con il Maestro Valter Griffone): la patria della prelibatezza del caffè italiano, Alba, accoglierà la prima tappa, offrendo agli aspiranti baristi l’occasione di iniziare il loro viaggio verso la gloria del caffè sotto la guida esperta del Maestro Valter Griffone.
  • 12 febbraio 2025 – Napoli (in collaborazione con Saka Caffè): il cuore pulsante della cultura del caffè italiano, Napoli, sarà la seconda tappa del Gran Premio, promettendo emozioni forti e gusti intensi grazie alla collaborazione con Saka Caffè.
  • 09 maggio 2025 – Modena (presso Casa Toschi Vignola): Modena, città rinomata per la sua raffinatezza e il suo gusto esclusivo, ospiterà la terza tappa, dove la competizione raggiungerà nuove vette di eccellenza presso la sede di Casa Toschi Vignola.
  • 18 giugno 2025 – Milano (presso ANFIM Hemro Italia): la città della moda e del design, Milano, sarà lo scenario della tappa finale prima della grande sfida ad ottobre 2025. Qui, i finalisti affronteranno una competizione mozzafiato per conquistare il titolo di campione del Gran premio della caffetteria italiana.

Non perdete l’opportunità di essere parte di questo incredibile viaggio nel mondo del caffè italiano. Preparatevi a vivere momenti indimenticabili di passione, gusto e competizione, mentre il Gran Premio della Caffetteria Italiana vi porta verso l’eccellenza del caffè!

Per coloro che desiderano partecipare, le iscrizioni saranno aperte qui.  

Mario Pascucci parla della certificazione bio: “Di per sé non costa troppo, ma servono tante risorse finanziare per i farmer nel fare la conversione”

0
Mario Pascucci in laboratorio (foto concessa)
Mario Pascucci in laboratorio (foto concessa)

MILANO – Mario Pascucci, amministratore dell’azienda marchigiana Caffè Pascucci, rappresenta l’esempio di un’imprenditoria di successo, attenta alla qualità del prodotto servito che passa non soltanto dal livello elevato della materia prima, ma anche dalla costruzione di una filiera, tracciabile, equa.

E qui scatta il tema delle certificazioni bio: sono delle garanzie, trovate di marketing, aiutano davvero il coltivatore oppure sono per loro irraggiungibili?

La risposta arriva da Mario Pascucci, che è esperto su questa questione importante

“Innanzitutto mi sta a cuore la filosofia che è alla base del biologico. La certificazione chiude un cerchio di iniziative partite in passato per costruire un sistema agricolo che possa garantire il non utilizzo di prodotti di sintesi come fertilizzanti o antiparassitari. Questo documento dà una garanzia rispetto a tutto ciò che viene fatto o meno da chi coltiva.

Ma al di là di questo, quello che davvero conta è il voler sposare un sistema di questo genere, che per alcuni può apparire addirittura un passo indietro sulle pratiche agro-tecniche, ma che in realtà è forte di una fiducia verso la natura, che possiede già autonomamente gli elementi per migliorare la produttività e proteggersi.

Ci sono tecniche contadine che consentono di ottenere gli stessi risultati non usando i prodotti di sintesi di chi invece li applica.

L’industria chimica ha condizionato tantissimo l’agricoltura sin qui. Basta pensare alla nostra del grano o delle sementi italiane: un produttore che ha iniziato ad utilizzare i fertilizzanti chimici dagli anni ’70 e volesse smettere oggi, perderebbe certamente l’80% delle produzioni del suo terreno. Il farmer che ha sposato l’utilizzo della fertilizzazione chimica ne sconta oggi una totale dipendenza.

Le aree rurali dove non sono stati utilizzati, mi riferisco soprattutto a quelle dei piccoli agricoltori nel sud del mondo che spesso non possono permettersi di acquistare fertilizzanti o antiparassitari di sintesi oggi potrebbero convertirsi facilmente, queste aree di fatto sono già bio.

Noi siamo entrati a far parte di questo percorso innanzitutto perché proveniamo dalle Marche, un’area geografica in cui l’agricoltura naturale è più evoluta, in questa regione nascono i pionieri del biologico, i padri fondatori come Gino Girolomoni.

Sono loro che ci hanno contaminato e lasciato in eredità la visione, la filosofia. Gino alla fine degli anni 60 aveva già capito che l’uso indiscriminato della chimica avrebbe causato danni incalcolabili ed iniziò la sua battaglia per contrastarla – all’inizio è stato preso per un Don Chisciotte ma oggi nelle Marche più del 27% dei terreni sono certificati biologico, in un trend di crescita tra l’altro positivo, mentre la media europea è di gran lunga inferiore al 10%-.

Oggi Gino non è più con noi ma posso dire che questa è una delle sue più grandi vittorie.

Circa 18 anni fa assieme a lui abbiamo preso contatto con diversi agricoltori in alcune parti del mondo nella volontà di esportare un sano modello di cooperativa, una unione alla marchigiana, mettere insieme famiglie di agricoltori per riuscire a certificarli acquistando da loro in modo diretto. Abbiamo anche collaborato con farmer già avviati in questo processo, che all’epoca erano davvero pochi.”

Pascucci, se dovesse fare un confronto tra allora e oggi, cosa è cambiato nel biologico?

“E’ un mercato che si è evoluto tanto rispetto a 15 anni fa, perché ormai anche alcuni grandi torrefattori internazionali stanno sollecitando a effettuare questo cambio di rotta. La richiesta da parte dei consumatori poi, favorisce un’ulteriore crescita.

Tra noi trasformatori, prima eravamo tre-quattro, mentre ora cominciamo ad essere di più. Chi acquista ha cambiato la sua sensibilità, così come chi trasforma e produce. Che sia per filosofia o per business piuttosto che per marketing resta comunque un bene che ci si muova in questa direzione. Più saremo meglio sarà. “

Ma qual è il costo di una certificazione biologica?

“La certificazione in sé per sé non costa troppo, ma servono tante risorse finanziare per fare la conversione: gli agricoltori per esempio del Brasile, il Paese che ha fertilizzato di più negli anni, se smettessero ora, potrebbero perdere tutto il loro raccolto ed entrare in povertà. Proprio qui ci sarebbe bisogno di supporto per convertire le produzioni, da parte delle autorità e dei Governi locali.

Parliamo però sempre di un passaggio che dura decenni. Non si può pensare, come dice l’Europa, di fare tutto da un giorno all’altro, ma l’importante è iniziare. Se i ministeri agricoli di questi Paesi iniziassero a contribuire maggiormente nel sostenere chi fa il cambio, allora più persone vorrebbero partecipare.

Non solo per il caffè, ma anche per l’agricoltura europea sé dipendesse da me sosterrei tanto di più chi transita verso il biologico e in modo minore o nullo chi produce utilizzando i prodotti di sintesi.

Saranno necessari anni perché i terreni possano tornare in vita, perché ora sono più che morti. E per far capire quanto lo sono, faccio un esempio pratico: la nostra capsula vegetale, su cui abbiamo svolto test e ha ottenuto certificati da diversi enti dedicati, una volta esausta rimane in parte come materiale organico nella fibra del contenitore e in parte come fondo di caffè; bene, quando viene gettata in un terreno di quelli fertilizzati – che io appunto definisco morti -, in 6 mesi ancora non degrada.

In un orto bioattivo invece, dove si riproduce perfettamente ciò che in natura avviene in un bosco immacolato, la nostra capsula sparisce in meno di un mese. Questa è la dimostrazione che il terreno fertilizzato chimicamente e quello naturale, sono totalmente differenti. Il primo lo definisco morto e l’altro ricco di vita“.

Quindi questo sistema non ha ombre, o svantaggi per il coltivatore?

“Se si fa per filosofia, ogni iniziativa è dotata di anima e si migliora insieme: non è soltanto l’aspetto della tutela dell’ambiente in gioco, ma anche il riportare in equilibrio il modo in cui esistiamo nell’universo. Invece scegliere il biologico per business ha comunque ripercussioni positive sulla purezza e sanità del prodotto, ma è tutta un’altra cosa.

Il coltivatore singolo che produce pochi sacchi di caffè non può certificare la sua piantagione perché non avrebbe i numeri necessari per poter sostenere i costi di certificazione e di analisi.

C’è anche un altro problema: abbiamo conosciuto degli agricoltori che non erano in grado di firmare, perché analfabeti. Gli ostacoli sono diversi e per questo la nostra strategia è stata quella di rivolgerci alle cooperative o di spingere i farmer ad unirsi: essere in tanti, può consentire di sostenere questi costi. Insieme possono anche esportare in modo diretto il loro prodotto.

Noi nel concreto abbiamo fatto un passo in più: in un centro di raccolta del Burundi, il Paese più povero del mondo, gli agricoltori non comprano i fertilizzanti, ma usano ciò che hanno a disposizione in natura e mettono in vendita delle produzioni più che buone.

Sappiamo, avendo svolto le analisi, che non ci sono anomalie e tracce di residui chimici, e che quindi si tratta di caffè biologico seppur non certificato. Come Pascucci riconosciamo l’eticità di quell’azienda e per questo la sosteniamo, il nostro obiettivo è riuscire a portarli ad ottenere la certificazione.

Sono 700 famiglie e tra qualche anno, con un’agronoma sul posto, potremmo mapparli completamente, coinvolgerle in cooperativa e ottenere la certificazione.

Crediamo in questa filosofia, affinché si diffonda e quindi acquistiamo quel caffè anche se non certificato a un prezzo più alto.”

Quanto è in media il costo di un biologico e il consumatore davvero è disposto a pagare la differenza?

“Per i fruitori il biologico ha mediamente un 30% di valore in più rispetto al convenzionale e questa percentuale sarebbe quella massima. Se si supera c’è qualcosa che non va, meglio interrogarsi. In questo momento con la borsa alta un 13-14% in più è destinato agli agricoltori. Ciò che ovviamente condiziona molto oggi è la logistica.

Sicuramente il biologico è ancora una nicchia e come tale soffre nei volumi, nello scambio e nei trasporti.

Ma la riflessione che va fatta è più ampia, tocca anche ciò che sta succedendo con gli scioperi degli agricoltori in tutta Europa: se gli agricoltori smettessero di fertilizzare chimicamente tutto in un momento, vedrebbero crollare le loro produzioni. Quindi, l’iniziativa dell’Europa e dei ministeri agricoli è giusta, ma va raggiunta in un percorso di più anni.

Personalmente ritengo che nell’agroalimentare l’Italia dovrebbe essere un esempio di produzione biologica perché produce ed esporta qualità.

In futuro il biologico dovrebbe essere un contenuto scontato delle produzioni qualitative. Il Bio è garanzia di certezza nella materia prima, solo dopo questo viene la capacità di trasformazione delle imprese. Mantenendo una filiera aperta e mostrando al cliente questa trasparenza assoluta con un prodotto finale eccellente, cambieranno le cose, il prodotto italiano sarà inattaccabile sotto tutto i punti di vista. L’industria alimentare italiana però al momento fatica a guardare avanti, raccoglie in abbondanza i frutti delle sue tradizioni ma oggi dovrebbe fare un passo indietro e gestire meglio la sua filiera e i suoi volumi produttivi. Questo per tutti gli alimenti e soprattutto nell’industria delle carni.

Essere vocati al biologico per filosofia o per business cambia anche nella volontà di sostenere chi è rimasto fuori dal sistema della certificazione: lì sta il vero impegno da parte dell’impresa. Non è solo nei documenti e nella burocrazia la verità.

Se è vero che la materia prima è biologica ma non ha la certificazione, si lavora insieme tra produttore e trasformatore per raggiungerla. Siamo sempre di più: anni fa eravamo pochissimi attenti a questo tema. In Italia eravamo due-tre a parlarne e oggi trovo tanta sensibilità anche nella grande industria.

E questo è positivo: siamo certi che quel pacchetto di caffè se analizzato non avrà ad esempio il glifosato. È importante che si continui a promuovere questa vocazione, che non ci siano timori a condividerla e che ci si creda in tanti in modo assoluto.

Tra 15 anni come la vede?

“Il biologico deve essere una parte di quella confezione che non si guarda neppure più perché ormai è dato per scontato. Dietro, il trasformatore ha scelto la materia prima più giusta sotto tutti gli aspetti, dal suo trattamento alla sua provenienza. Un domani questo è il sogno.

Probabilmente dovremmo anche sprecare meno e pensare che non è giusto buttare via il cibo. Ed ecco che la differenza di prezzo viene recuperata. E scusi se insisto, l’Italia deve esserne paladina della diffusione del bio, tutti dobbiamo farcene promotori. Perché ci sono gli strumenti giusti, perché siamo in anticipo sul resto del mondo e perché possiamo condizionarne il futuro”

Tchibo, obiettivo: dal 2027 tutti i caffè proverranno da degli acquisti responsabili

0
tchibo
Il team Tchibo (immagine concessa)

AMBURGO (Germania) – Il nuovo obiettivo di Tchibo, torrefazione di Amburgo che ha una propaggine italiana a Modena con Caffè Molinari? Proporre solo caffè acquistato in modo responsabile a partire dal 2027. Una scelta dettata da diversi motivi: innanzitutto poter sostenere i coltivatori che in tutto il mondo soffrono a causa degli effetti del cambiamento climatico e di una retribuzione troppo bassa. Entrambi questi fattori rendono necessario ripensare le dinamiche dello stesso commercio.

Tchibo, leader del mercato del caffè tostato in Germania, Austria, Repubblica Ceca e Ungheria, è all’altezza della sfida. Non importa se sotto il marchio Feine Milde, Eduscho, Qbo, Cafissimo o Barista: dal 2027 tutti i caffè Tchibo dovrebbero provenire da degli acquisti responsabili.

Prezzo del caffè e cambiamenti climatici

L’influenza dei cambiamenti climatici sulla coltivazione del caffè sono già preoccupanti, infatti entro il 2050, la superficie coltivata a caffè potrebbe essere dimezzata*, sotto la spinta della siccità che compromette la buona riuscita di interi raccolti.

Inoltre, il 70% dei 12,5 milioni di coltivatori di caffè in tutto il mondo gestisce piccole aziende agricole di meno di un ettaro. I bassi redditi percepiti possono spingere il verificarsi di altri fenomeni come il lavoro minorile e la deforestazione illegale.

Pablo von Wanderfels, direttore della responsabilità aziendale, afferma: “La sostenibilità nel caffè non è un contesto statico, ma un percorso. La domanda più urgente a cui rispondere è: come possono i coltivatori avanzare economicamente e allo stesso tempo posizionarsi meglio contro il cambiamento climatico e altre crisi?”.

Il 20% di tutti i caffè Tchibo sono certificati

La necessità di agire è quindi enorme. Attualmente, il 20% di tutti i caffè Tchibo sono certificati da Fairtrade, Rainforest Alliance o dal sigillo biologico o provengono da progetti Tchibo Joint Forces!(R).

Questi progetti sostengono da oltre 20 anni i farmer nello sviluppo di metodi di coltivazione più sostenibili e nella produzione di caffè di qualità superiore. Tchibo ha ottenuto molto con queste iniziative.

Tuttavia, le certificazioni da sole non sono la soluzione. Gli agricoltori hanno bisogno di maggiore sostegno nel loro percorso verso un’agricoltura più sostenibile.

Spesso i prezzi più alti che si possono ottenere per i prodotti certificati non coprono comunque i costi di produzione. Inoltre, sul mercato raramente esistono garanzie di acquisto per i caffè certificati.

Programma di caffè sostenibile oltre la nicchia premium

Circa 75.000 piccoli coltivatori (tra cui quelli provenienti da Guatemala, Honduras, Vietnam e Brasile) producono tutto il caffè Tchibo. L’80% del caffè prodotto non è certificato.

Ma sono proprio questi caffè che dovrebbero essere coltivati ​​nel modo più rispettoso dell’ambiente e socialmente responsabile, così da migliorare significativamente il sostentamento dei coltivatori.

Pablo von Wanderfels aggiunge:

“A nostro avviso, l’industria del caffè deve cambiare in modo significativo affinché la nostra bevanda preferita abbia un futuro. Ecco perché Tchibo lancia il suo nuovo programma di sostenibilità, in quanto come azienda dobbiamo assumerci delle responsabilità in modo più coerente. Per ognuno dei nostri caffè dobbiamo sapere da dove viene e in quali condizioni viene prodotto”.

Tchibo aiuterà gli agricoltori a costruire una base economicamente stabile per renderli più resilienti alle fluttuazioni dei prezzi.

Ciò include misure come l’agroforestazione, il rimboschimento, la coltivazione di alberi da frutto e altre colture e la semina di nuove varietà di caffè che sono meglio protette dalle condizioni meteorologiche estreme. L’implementazione avviene in stretta collaborazione con formatori e agronomi.

Le misure specifiche sono coordinate a livello regionale per ottenere il massimo impatto possibile. In Brasile, ad esempio, l’attenzione è rivolta alla protezione della biodiversità, del clima e dell’acqua, mentre in Honduras l’attenzione è rivolta alla lotta alla povertà. Ciò significa che ogni Paese ottiene il proprio programma su misura.

Il Vietnam sta sperimentando la produzione di biochar. Gli agricoltori smaltiscono i loro rifiuti organici nel forno di pirolisi e ricevono indietro del biochar dopo la combustione. Questo funge da vettore per fertilizzanti o compost e aiuta a migliorare la qualità del terreno nei campi di caffè.

Un altro esempio è quello di rimboschimento dal Brasile: il team pianta deliberatamente specie arboree originali sotto forma di zone protette. Queste sono le aree della piantagione di caffè in cui si presuppone una fonte d’acqua.

E il prezzo?

La torrefazione di Amburgo vuole rendere sostenibili tutte le filiere, indipendentemente da quanto sia costoso il caffè sullo scaffale.

Tuttavia, in un ambiente molto competitivo non è possibile abbandonare completamente i prezzi stabiliti.

Per questo motivo Tchibo punta su un mix intelligente: il programma alle origini, l’acquisto delle qualità più elevate possibili (con le quali i coltivatori ottengono anche prezzi più alti) e il graduale ampliamento della quota di caffè proveniente dalle regioni del programma. Ciò porta più vendite e stabilità per gli agricoltori.

Partner Enveritas

Per ottenere la massima trasparenza possibile sui campi d’azione, Tchibo collabora con l’organizzazione no-profit indipendente Enveritas.

Entro l’inizio del 2024, Enveritas presenterà rapporti e analisi nazionali per tutti i paesi del caffè (inclusi Brasile e Vietnam) dove Tchibo acquista regolarmente.

Sulla base di questi dati, Tchibo collabora con le popolazioni locali delle regioni per sviluppare soluzioni su misura senza imporre loro un programma. Enveritas verifica anche se i programmi vengono implementati e hanno un impatto.

Forti insieme

A seconda del Paese e delle catene di fornitura, Tchibo lavora in collaborazione con partner locali e ONG, nonché con altre aziende e organizzazioni come la World Coffee Research e la German Coffee Association.

È importante trovare insieme soluzioni per rafforzare il settore del caffè. E per creare insieme un cambiamento verso una maggiore sostenibilità.

Ultimo ma non meno importante: cosa significa realmente “acquisto responsabile”?
Sono necessari tre passaggi affinché le aziende di caffè come Tchibo ricevano la prova dell’acquisto responsabile da Enveritas: in primo luogo, condurre una valutazione annuale indipendente della loro catena di approvvigionamento per questioni di sostenibilità; in secondo luogo, lavorare su questi problemi in proporzione ai propri acquisti di caffè.

Infine, le aziende produttrici di caffè devono far valutare in modo indipendente i loro sforzi per ottenere un cambiamento positivo.

*Studio CIAT 2021: Coltivare caffè di fronte al cambiamento climatico (coffeeandclimate.org)

La scheda sintetica di Tchibo

Tchibo rappresenta un modello di business unico: gestisce circa 900 negozi, oltre 24.200 depositi al dettaglio e negozi online nazionali in otto Paesi. Attraverso questo sistema di vendita multicanale, l’azienda offre caffè e sistemi monodose Cafissimo e Qbo, oltre a gamme e servizi non alimentari che cambiano settimanalmente come la comunicazione mobile.

Tchibo ha realizzato un fatturato di 3,25 miliardi di euro nel 2022 con 11.318 dipendenti a livello internazionale. Tchibo è leader nel mercato del caffè tostato in Germania, Austria, Repubblica Ceca e Ungheria ed è una delle principali società di e-commerce in Europa.

L’azienda a conduzione familiare, fondata ad Amburgo nel 1949, ha ricevuto numerosi riconoscimenti per la sua politica aziendale sostenibile: nel 2012 con il Premio per l’etica aziendale e il Premio ambientale per la logistica e nel 2013 con i Premi CSR del governo federale e dell’UE. Nel 2016 Tchibo è stata nominata la grande azienda più sostenibile della Germania.

Robusta vietnamita ai massimi nonostante l’export da record

0
mercati del caffè robusta futures Eudr arabica esportazioni
Il logo dell'Ice

MILANO – Volano ancora più alto i prezzi del robusta vietnamita, nel giorno in cui la borsa londinese si concede invece un momento di tregua arretrando dai massimi storici di metà settimana. Il contratto per scadenza maggio dell’Ice Robusta ha chiuso ieri, giovedì 28 marzo, in ribasso del 2,25% (-80 dollari), a 3.479 dollari.

Il rivalutarsi del dollaro sul real ha spinto al ribasso anche l’Ice Arabica.

La scadenza principale ha ceduto 180 punti chiudendo la giornata a 188,85 centesimi.

Andamenti opposti invece per i due mercati del cacao. New York (maggio) perde 77 dollari e chiude a 9.766 dollari per tonnellata. Londra guadagna 68 dollari e conclude a 8.276 sterline.

Contenuto riservato agli abbonati.

Gentile utente, il contenuto completo di questo articolo è riservato ai nostri abbonati.
Per le modalità di sottoscrizione e i vantaggi riservati agli abbonati consulta la pagina abbonamenti.

Youth Academy Italia 2024: le ambizioni degli alunni del contest del costruttore di macchine professionali marchigiano

0
simonelli youth academy simonelli
Gli alunni di Youth Academy Italia 2024 (immagine concessa)

BERLFORTE DEL CHIENTI (Macerata) – Si è appena conclusa la prima sessione dei corsi Youth Academy Italia 2024, il contest di Simonelli Group che offre a 6 giovani una borsa di studio per seguire il percorso formativo certificato Coffee Skills Program di Sca. Un’opportunità importante per formare giovani tra i 18 e i 30 anni e farli entrare nell’industria del caffè da professionisti.

La conclusione di Youth Academy Italia 2024 di Simonelli Group

Durante la scorsa settimana i ragazzi sono stati impegnati con i trainer Francesca Bieker, Dario Ciarlantini e Marco Cremonese per gli esami dei corsi Sensory Foundation e per frequentare e quindi superare il primo livello dei corsi Green e Roasting.

Ma quali sono i sogni e le ambizioni della classe Youth Academy Italia 2024?
Mara Fazio ha origini calabresi, ma vive e lavora a Firenze. Il suo sogno è “portare la cultura specialty nel sud Italia e lavorare nel mondo del caffè verde e della torrefazione”. Tra gli studenti Youth Academy c’è anche Andrea Bianchini, sommelier in un ristorante stellato nelle Marche. Andrea vuole “portare cultura caffè nel mondo della ristorazione stellata e guidare i clienti nella scelta del caffè”.

“Il mio sogno è quello di fare divulgazione su tutto ciò che riguarda la materia prima ricercata e di qualità – racconta Azzurra Pollini di Reggio Emilia. “In futuro vorrei aprire uno spazio dove ci sia bottega con prodotti di qualità e ricercati, bakery con annessa caffetteria specialty.”

L’obiettivo di Erald Gjikola (da Brescia) è quello di “aprire locali capaci di diventare punti nevralgici inclusivi, sfondo ideale per scambi sociali quotidiani e di tostare personalmente il caffè”. Ari Asioli sogna, invece, di portare avanti la roastery di famiglia con tutte le sue idee innovative e grazie al percorso formativo offerto da Simonelli Group. Diego Busterwante studia al Pollenzo vicino Torino nella famosa facoltà di scienze gastronomiche e sogna di lavorare nel mondo del caffè.

Andrea, Ari, Azzurra, Diego, Erald e Mara hanno appena iniziato un emozionante viaggio di scoperta, innovazione ed eccellenza. Simonelli Group continua a investire per preparare un futuro in cui le giovani menti siano in prima linea nella crescita dell’industria del caffè.