Nespresso e Banco Alimentare dell’Emilia Romagna portano il progetto sostenibile Da chicco a chicco nella regione in occasione della Giornata mondiale per l’ambiente il 5 giugno. L’iniziativa prevede l’impegno per il recupero e il riciclo delle capsule di caffè in alluminio esauste e trasformarle in una nuova risorsa. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale adnkronos.
Nespresso e Banco Alimentare insieme per l’iniziativa Da chicco a chicco
BOLOGNA – Da un chicco di caffè a un chicco di riso per chi ne ha più bisogno, grazie al recupero delle materie prime che compongono le capsule. In occasione della Giornata mondiale per l’ambiente 2024 (5 giugno) Nespresso e Banco Alimentare dell’Emilia Romagna portano insieme il progetto ‘Da Chicco a Chicco’ nella regione, la quinta dopo Lombardia, Lazio, Piemonte e Puglia, proseguendo nell’impegno per il recupero e riciclo delle capsule di caffè in alluminio esauste che si trasformano in una nuova risorsa per il territorio e le comunità locali.
Una collaborazione che permetterà di raggiungere 200 organizzazioni benefiche che assistono circa 22mila persone in difficoltà in tutta la regione attraverso un gesto semplice, come riciclare le capsule usate.
Da chicco a chicco nasce nel 2011 da un accordo siglato con Cial (Consorzio Nazionale Imballaggi Alluminio), Utilitalia e Cic (Consorzio Italiano Compostatori) ed è il progetto di economia circolare con cui Nespresso dona una seconda vita alle capsule esauste attraverso il riciclo dell’alluminio e del caffè.
Il progetto permette ai clienti, parte attiva dell’iniziativa, di riconsegnare le loro capsule esauste in alluminio nell’apposita area recycling presente all’interno delle Boutique Nespresso e in isole ecologiche partner dell’iniziativa in tutta Italia.
In particolare, in Emilia-Romagna i cittadini di tutte le province hanno a disposizione oggi un totale di 37 punti di raccolta (tra Boutique e isole ecologiche) ove poter riportare le capsule dopo l’uso. Un dato cresciuto del 76% da gennaio 2023 nella regione e che consente sempre una maggior semplicità e capillarità di smaltimento, per un totale di oltre 200 punti di raccolta distribuiti in più di 100 città su tutto il territorio italiano.
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Nella stazione centrale ferroviaria di Friburgo, in Germania, è possibile trovare un distributore automatico rifornito di pacchi non ritirati dagli armadietti di consegna. Non ci sono indicazioni sui prodotti e ciò rende i clienti completamenti ignari sulla natura del loro acquisto. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Morgana Sgariglia per Leggo.
Il distributore automatico in Germania che fornisce pacchi non ritirati
Un misterioso distributore automatico è apparso nella stazione centrale ferroviaria di Friburgo, in Germania, in una Twenty47 Marktplatz. Si tratta di una struttura aperta h24, piena interamente di distributori, che vendono di tutto. Un utente di X, Michael (@bovineflu), ha rivelato con una foto che la macchina è rifornita di pacchi non ritirati dagli armadietti di consegna. Questi sembrano sigillati senza alcuna indicazione, lasciando i clienti all’oscuro del loro acquisto.
Le persone hanno risposto subito al post: “Oh cavolo, è fantastico. Andrei in bancarotta per questa cosa in un batter d’occhio”. Un altro ha detto: “Questa è al 100% il mio tipo di slot machine”. Un terzo commentatore curioso ha chiesto: “Quanto?”, ma Michael ha ammesso di non aver controllato il prezzo.
Quando il post è arrivato su Reddit, gli utenti hanno espresso dubbi sulla segretezza dei pacchetti, suggerendo che il personale avrebbe potuto sbirciare all’interno. Facendo eco a questo sentimento, un utente ha detto: “Ognuno di quei pacchi è stato riregistrato. Non è possibile che qualche dipendente a caso inserisca delle cose lì dentro senza prima controllare se c’è roba buona”.
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CATANIA – Con l’arrivo del caldo, il gelato diventa ancor di più una coccola alla quale è impossibile rinunciare. Ma affinché possa essere davvero un piacere, è importante che sia buono e preparato utilizzando solo le migliori materie prime. Insomma, un vero artigianale di alto livello.
Riconoscere un vero artigianale da uno finto, fatto con polverine e aromi, non è semplice, l’occhio può ingannare, ma la differenza nel gusto è sostanziale. Per evitare cocenti delusioni, Peppe Flamingo, gestore e proprietario delle storiche gelaterie artigianali siciliane Don Peppinu, ha stilato un breve manuale in 5 punti per smascherare i finti artigianali.
“Non basta scriverlo sull’insegna”, spiega Peppe Flamingo “Un vero gelato artigianale per essere definito tale deve rispettare determinate caratteristiche. Ad esempio, nei nostri laboratori non sono mai entrati (e mai entreranno) polverine, coloranti, aromi artificiali o semilavorati industriali. Da noi il gelato è cremoso perché usiamo meno latte e più panna, gustoso perché gli ingredienti principali vengono dosati al doppio. Dai pistacchi alle fragoline dell’Etna fino ad arrivare agli agrumi biologici di Siracusa passando al cioccolato di Modica, alla mandorla di Avola e chiudendo con la ricotta agrigentina e i cannoli palermitani. E la differenza si sente”.
I cinque consigli di Peppe Flamingo per smascherare il finto gelato artigianale
1. Chiedi un gusto personalizzato a tua scelta
Flamingo: “Hai mai ordinato un mobile su misura? Ecco, è la stessa cosa. Se vado dal falegname artigiano e chiedo un comodino di noce grande 1 metro per 2 metri, magari gli sembrerà una richiesta strana ma mi accontenterà.
Se provi a chiedere un gusto molto particolare ai finti artigiani li metti in difficoltà. Li fai uscire dalla loro zona di comfort, chiedendo qualcosa che non hanno mai fatto e che non è facile trovare in giro.
Chiedigli, ad esempio, di farti un sorbetto di fragola e pomodoro, o un gelato con della frutta che hai raccolto nel tuo giardino oppure, meglio ancora, di farti un gelato alcolico.
Vedrai già molta titubanza (mista a terrore) nei loro occhi e inizieranno a piovere scuse per non accontentarti. La verità? Non saprebbero da dove cominciare”.
2. Prova a dire che sei intollerante ad un ingrediente comune (come, ad esempio, i grassi vegetali).
“Ti sembra un trucchetto strano. Pensaci. Se quelli che hai di fronte sono finti artigiani non avranno nessuna padronanza degli ingredienti. La tua richiesta scatenerà il panico.
Infatti, costoro spesso non sanno quello che c’è dentro il loro gelato. Se farai una richiesta tecnica andranno nel pallone e dovranno correre a leggere la busta della polverina per cercare di capire cosa contiene”.
3. Richiedi un gelato specifico ma senza zucchero saccarosio
“Ovvero un gelato senza zuccheri aggiunti di un gusto particolare. Anche qui si tratta di una modifica tecnica, che richiede competenza e che può essere effettuata solo da chi sa come maneggiare gli ingredienti”.
4. Controlla se usano aromi
“Molte volte gli aromi vengono usati dalle industrie per sopperire alla mancanza di materia prima di alta qualità.
Il motivo è innanzitutto di ordine economico, visto che un grammo di aroma fragola costa 1 centesimo e ha la stessa forza di 500gr di fragole che costano 200 volte di più. Inoltre, il secondo motivo è che nelle polverine è meglio mettere l’aroma che far comprare al finto artigiano le fragole fresche da inserire nel gelato, perché probabilmente andrebbe in confusione e non saprebbe cosa fare”.
5 Utilizza ingredienti del territorio?
“Questo punto è decisamente chiaro. Un vero artigiano non si accontenta di usare semplici fragole o limoni, ma va a selezionare e valorizzare il meglio che il territorio gli mette a disposizione.
In questo modo, anche lo stesso gusto assume sfumature uniche. Ovviamente, se si tratta di un finto artigiano, non ha alcun controllo sulla materia prima e non ha idea di come combinare gli ingredienti”.
MILANO – Pizza e caffè: forse non è la prima volta che è state leggendo queste due parole nella stessa frase (dagli esperimenti di 180grammi a Roma agli abbinamenti di Crosta a Milano, giusto per citarne alcuni) e ora si ripete il binomio a Torino, in una maniera del tutto innovativa. Nel locale di Domenico Volgare, è in atto una piccola rivoluzione di due capisaldi della tradizione italiana, grande esempio di economia circolare. Ed ecco che gli scarti di caffè, diventano fibra e poi farina: tutto il resto lo si gusta a tavola.
Volgare, ma come le è venuto in mente di usare il caffè?
La risposta inizia nel migliore dei modi: “Amo il caffè, soprattutto senza zucchero. Da qui l’idea di questo nostro progetto, che poi non è altro che una scelta per sensibilizzare anche un po’ i colleghi.
Ricordo che l’anno scorso, la polemica attorno all’uso delle farine alternative – come quella dei grilli – era diventata virale: purtroppo arriveremo al punto in cui dovremmo usare questi prodotti, perché ogni anno dopo già i primi 4 mesi, abbiamo finito le scorte in laboratorio, ma coinvolgendo il caffè nel processo abbiamo voluto dimostrare che esistono delle soluzioni meno estreme.
Parliamo di un’innovazione che è anche benefica : il caffè infatti ha una serie di vantaggi dal punto di vista dei valori nutrizionali, che rimangono invariati all’interno della fibra e si ritrovano poi nella farina.
Facendo un paragone: se dovessimo calcolare i valori di una farina integrale, il caffè ne avrebbe il doppio (anche se noi non ne utilizziamo il 100%, sui dolci si arriva anche al 15%). Ovviamente non c’è caffeina e quindi non è un problema.
Per continuare a spiegare le ragioni che mi hanno portato a sperimentare, ho sempre cercato di essere un pioniere. Capire il funzionamento di determinati processi per poi poterli innovare è il mio modus operandi – ad esempio la mia pizza arriva da 100 ore di lievitazione dell’impasto, per renderla più digeribile -.
Oggigiorno tutti sono attenti alla materia prima, molti producono pizza gourmet per cui non resta che giocare con l’impasto per poter fare innovazione. Il mio obiettivo è quello di crearne uno che non dia problemi allo stomaco.
Dieci anni fa ho creato la mia pizza focalizzandomi proprio su questo aspetto, prendendo in mano singolarmente i vari ingredienti per migliorarli e ora produco io stesso la mia farina dalla masseria di famiglia in Puglia. Così sono riuscito a fare qualità ed ottenere un prodotto al massimo livello. “
Volgare: la tradizione che continua a modernizzarsi
“Così tre anni fa è partito il progetto con il caffè: pensavo ai vari piatti iconici italiani e a come la pizza potesse funzionare bene con altri prodotti. Gli abbinamenti ormai sono i più impensabili – io stesso propongo la pizza-sake come cucina fusion – e allora mi sono chiesto come due prodotti simbolo del made in Italy potessero coesistere.
Studiando ho notato che l’idea più diffusa era quella di inserire il macinato nell’impasto per conferire un determinato gusto, che però trovavo un po’ limitante in quanto il sapore finale non funzionerebbe con qualsiasi ingrediente.
Nelle varie ricerche mi sono imbattuto prima nella start up americana che aveva provato a realizzare una farina con lo scarto ottenuto dalle bacche di caffè.
Sono stati loro a darmi l’input per recuperare i fondi del caffè, che produciamo in grandi quantità: prendendo questa particolare fibra – ottenuta dagli scarti da cui abbiamo tolto la parte degli oli essenziali – si può inserire nei prodotti da forno così come si fa spesso già in cucina con altri sottoprodotti – ad esempio ottenuti dal bambù -. L’unico limite nel suo utilizzo è la tostatura, perché non volevo un piatto che sapesse di caffè… in effetti, la nostra pizza sa proprio di pizza.
Si intuisce che al suo interno potrebbe esserci del caffè per via del colore, ma spesso le persone non sapendolo la scambiano per un classico impasto integrale, qualcosa di rustico.
Avendo eliminato l’olio essenziale, si è persa la parte aromatica del caffè e quindi chi ha assaggiato questa pizza, è rimasto positivamente stupito: in bocca resta soltanto una parte finale cioccolatosa che ricorda, per i palati più attenti, il caffè.”
Da chi viene effettuata la lavorazione, con chi collaborate?
“Ce ne occupiamo direttamente noi e la procedura è facilmente replicabile: si prende il fondo del caffè, si fa asciugare, si estraggono i residui di olio essenziale – che in realtà viene molto usato nel mercato dei cosmetici e quindi potrebbe trovare nuova vita – con un processo meccanico di pressatura e poi la fibra degrassata che sia di Arabica o di Robusta, viene rimacinata. Fondamentale è il passaggio in cui si riporta la grana del caffè allo stesso micron della farina: non vogliamo che si percepisca la granulosità del caffè, il tutto deve mantenersi omogeneo.
Abbiamo notato anche un paio di cose durante i nostri test: i caffè che sono stati estratti a filtro, sono anche quelli più indicati per ricavare gli oli essenziali e realizzare le preparazioni salate. Questo perché sono meno invasivi di un caffè tostato classico all’italiana, che si presta invece più ai dolci che vanno a mascherare il forte sapore della cottura.
L’intero processo per ricavare la farina è svolto in modo artigianale e ancora siamo in una fase embrionale.
Sicuramente però si può categorizzare la fibra nei caffè a tostatura chiara e scura: entrambe utilizzabili in tutti i prodotti da forno, ma consiglierei a prima tipologia per la pizza.
In ogni caso ho capito che anche quando ho una tostatura più scura a disposizione, è sufficiente limitare la percentuale per un buon prodotto salato.
Si scende al 6/7% di fibra – sulla pizza, il 10% è il massimo che utilizzo con tostatura più chiara -. In base alle preparazioni si studia una percentuale diversa. Si può usare anche nel pane come malto tostato (di solito si mette 1/2% di malto tostato).
Già ora collaboro con degli amici che applicano queste tostature e inoltre qualcosa la prendo dal mio stesso locale. La mia idea però è che si possa creare una start up con cui davvero ci si potrà rivolgere al bar di zona, raccogliendo gli scarti, lavorandoli in laboratorio e infine riportarli indietro come prodotto finito con la fibra.”
Quanto tempo ci vuole per trasformare i fondi di caffè in farina?
“E’ un procedimento molto veloce. Se si asciugano con l’essiccatore i fondi e poi si passano nella pressa e nel macinino, si parla di qualche ora in tutto: nell’arco della giornata il prodotto è finito.
Comunque molto dipende dal caffè: se usiamo la miscela classica in espresso, che sotto pressione si è già liberata della maggioranza degli oli essenziali, lo scarto sarà minimo. In generale partiamo da un chilo di fondi di caffè asciutti per ricavarne 700 grammi.”
Ma il caffè ha un ruolo anche come bevanda nel vostro locale? Quale usate e quanto ne fate?
“Nel nostro locale serviamo una miscela 100% Arabica di illy che utilizziamo in espresso al prezzo di 2.50, cifra normale considerato che siamo in un ristorante e dobbiamo ammortizzare i costi. – Volgare fa una confessione – sono però io il primo a non prendere il caffè al ristorante, perché spesso non è buonissimo e per me che amo questa bevanda, è preferibile addirittura prenderlo al bar – ormai conosco quelli che ne fanno di buoni -.
Poi c’è un altro caffè che amo per le mie preparazioni, ed è quello vietnamita, una Robusta che ho trovato al palato piacevolissimo.
Già dall’odore sembra cioccolato fondente. Lo uso soprattutto nei dolci, come il tiramisù fatto sul momento partendo dal caffè estratto, con la pasta di meliga e la crema di mascarpone con gocce di cioccolato. Facciamo un’infusione con il phin, la caffettiera vietnamita.”
Quali sono i riscontri fin qui rispetto a questa vostra soluzione? I clienti se ne accorgono, fanno delle domande, sono scettici?
“Abbiamo organizzato un evento con 700 persone e non mi aspettavo una reazione così entusiasta: qualcuno è tornato in ristorante per fare il bis e mangiarne una intera. Da adesso la metteremo fissa nel nostro menù – allo stesso prezzo di una classica margherita – e inizieremo a promuovere degli altri eventi dedicati.
Un giorno, oltre che realizzare i nostri prodotti, potremo vendere la nostra fibra ad altri professionisti e uscire dal giro ristretto torinese per andare su scala nazionale.
In ristorante proporremo solo la margherita al caffè, proprio perché vogliamo che le persone si rendano conto di quanto sia unica.”
MILANO – Molte ancora le incognite che accompagnano l’entrata in applicazione del nuovo Regolamento Europeo sulla Deforestazione (Eudr), che sarà implementato nell’Unione Europea a partire dalla fine di dicembre 2024. A suonare l’ennesimo campanello d’allarme è stata, la settimana trascorsa, la direttrice esecutiva dell’Organizzazione internazionale del caffè, Vanúsia Nogueira.
Parlando a margine del Seminario internazionale sul caffè di Santos, la numero uno dell’Ico ha posto l’accento, ancora una volta, sui punti non chiari della nuova normativa e sulle difficoltà che i produttori di caffè, specie quelli dei paesi più poveri e meno organizzati, si troveranno a breve a dover affrontare.
Intanto – osserva Nogueira – i commercianti dell’Ue stanno intensificando le importazioni per premunirsi a fronte dei problemi che potrebbero insorgere di qui alla fine dell’anno.
Tale trend è testimoniato dalla cifre sui traffici commerciali e si rispecchia nel calo delle scorte dei paesi produttori, sostiene Nogueira.
“Gli importatori stanno accelerando il ritmo delle consegne, perché ci sono degli interrogativi, relativi alle nuove norme, ai quali non è stata data ancora risposta” ha dichiarato Nogueira aggiungendo sibillinamente: “Chissà se ci saranno delle sorprese?”.
Molti ritengono che l’UE potrebbe concedere delle proroghe per dare il tempo ai paesi produttori e ai commercianti crudisti di mettersi in regola.
Ma “non possiamo darlo per certo” ha detto ancora Nogueira osservando che i paesi “come il Brasile, la Colombia o la Costa Rica” sono maggiormente preparati a gestire gli adempimenti previsti dall’Eudr, mentre i produttori dei paesi africani dovranno far fronte a maggiori difficoltà.
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Gianluigi Goi è un lettore nonché giornalista specialista di agricoltura affezionato a queste pagine che con la sua lunghissima esperienza e il suo punto di vista ha contribuito diverse volte proponendo contenuti sempre interessanti. Questa volta Goi parla del dimenticato fagiolo di montagna vestito di caffè in Val di Susa, il Baracafé. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.
Il fagiolo di montagna vestito di caffè
di Gianluigi Goi
MILANO – Di primo acchito accostare un fagiolo al caffè non è facile e intuitivo. Poi a pensarci un poco si fa strada la possibilità di abbinare il fagiolo (inteso come seme) al chicco (propriamente inteso) del caffè.
Una riprova? E’ ancora oggi riscontrabile – vanta una tradizione secolare – in un piccolo borgo di montagna, Mattie, in Val di Susa, provincia di Torino. Borgo ameno e ricco di tradizioni che si nutrono anche dell’appartenenza ad un dialetto francoprovenzale, offre paesaggi naturali significativi e, storicamente, avvenimenti importanti a cavallo fra Francia e Italia purtroppo connotati anche dalla guerra di religione fra cattolici e valdesi.
Oggi conta 700 abitanti. A Mattie (da san Matteo), come in gran parte dell’arco alpino, la coltivazione, anche domestica, dei fagioli ha, con le castagne, per secoli rappresentato per le popolazioni di montagna una fonte di sostentamento alimentare fondamentale: ricchi di proteine erano “la carne dei poveri”. A Mattie questo fagiolo, di sicura qualità, in italiano è denominato – anche ufficialmente – “Baracafé”.
Una denominazione di certo insolita e di non facile comprensione per chi non sia del luogo e, va pur detto, un poco sgradevole ad ascoltarsi tenuto conto del chiaro richiamo funebre. L’etimologia consente una chiave di lettura che va comunque inserita nel particolare contesto linguistico di una terra di confine e di una storia complicata.
Riguardo l’appellativo “Bàracafè” ci aiuta la competenza di Silvio Tonda – per discendenza famigliare “certificato originario” del luogo dal 1585, appassionato cultore di storia e tradizioni locali e fondatore dell’associazione culturale Ametegis: “l’etimologia è semplice e diretta come nella tradizione montanara. “Bàracafè” è il segmento (bàra nel dialetto francoprovenzale “Moda d’Matieus”: rimando a lingua gallo-romanza parlata a cavallo del confine franco-italo-svizzero n.d.r.) “del colore del caffè” ben apprezzabile sulla superficie dei semi. In italiano viene reso come “barra color caffè”; in realtà sui semi di questa particolare varietà le linee, spesso anche porzioni di archi, sono in numero anche di 2 o 3” e tali da conferire al seme un’eleganza piuttosto distintiva.
La schedina tecnica riportata nella presentazione del progetto “Rete per le Biodiversità Transfrontaliere – alla voce “Seme” del Baracafè specifica: “Tegumento (pellicina esterna n.d.r.) di colore variabile dal crema al marrone chiaro con screziature più o meno diffuse su tutto il tegumento e di colorazione marrone da cui il nome di Baracafè”.
Altre fonti evidenziano che “si tratta di un rampicante molto simile al fagiolo Borlotto, con la differenza che sia le striature più scure sia la parte più chiara del seme sono tendenti al marroncino – colore del caffè, appunto – invece che al rosso”. E, ancora, “per l’inconfondibile colore caffelatte dei suoi semi” questo fagiolo è molto apprezzato per il sapore caratteristico e la buccia molto sottile.
A questo proposito ancora oggi, come da tradizione, qualche raffinato si concede il lusso di consumare i teneri baccelli con i semi non ancora formati (intorno al 20 luglio quando la raccolta è ai primi di settembre) per sfiziose insalate crude.
Alcune brevi annotazioni, dal grato sapore antico, evidenziano lo stretto rapporto che intercorreva fra la coltivazione di questo fagiolo – per inciso, una pianta molto alta, a volte anche più di tre metri – e i mattiesi, ripresa nel 2012 grazie alla tenacia conservatrice di una anziana signora e del Comune che distribuì una cinquantina di buste con altrettanti semi che hanno dato frutto: oggi il Baracafè sembra sul punto di poter essere considerato salvato anche perché i turisti-sciatori lo apprezzano.
E come si dice in questi casi: il detto “se mi mangi, mi salvi” è quanto mai vero. Cade quindi proprio “a fagiolo” la piccola annotazione che segue. In una ricetta della tradizionalissima “Menetra de Faeseul” (minestra di fagioli secchi), il soffritto è definito “povero” in quanto veniva utilizzata una sola foglia d’alloro (raro in montagna, e allora faceva freddo sul serio), ma in compenso prevedeva insieme burro fuso e lardo (o ventresca, la pancetta suina) e, per pasta, gli spaghetti rotti a pezzetti.
La “Feta di Feseul” (la Festa dei fagioli) con relative scorpacciate di questa prelibatezza color del caffè o del caffelatte cade nella terza domenica di settembre, al contempo festa patronale di Mattiè in onore dei santi Cornelio e Cipriano, ma, si legge fra le righe delle cronache, per il popolo era soprattutto l’occasione per festeggiare con il loro fagiolo con cui avevano dimestichezza.
La spontanea e inesauribile fantasia popolare ha quindi accostato i fagioli al caffè, riconoscendo al chicco di caffè il valore di prodotto prelibato da potersi sorbire solo in occasioni speciali, i Baracaffé, che tutti conoscevano e per così dire frequentavano quotidianamente”.
MILANO – È online il nuovo sito di pulyCAFF, che si presenta con una grafica nuova, fresca, con colori pop e accesi che riprendono la brand identity aziendale; soprattutto è altamente user friendly e accessibile da ogni device, desktop e mobile. L’impatto del nuovo design è immediato, con uno sfondo azzurro che accompagna la linea dei prodotti tradizionali, a cominciare dal capostipite pulyCAFF Plus, e lo sfondo verde dei prodotti della “Linea Verde” realizzata con ingredienti da fonti rinnovabili.
Il nuovo sito di pulyCAFF
I suoi nuovi contenuti offrono un percorso a 360 gradi nel mondo della pulizia della macchina espresso, del macinacaffè e di numerose altre apparecchiature e attrezzature per la trasformazione e il servizio del caffè, da realizzare in modo semplice con informazioni immediate e complete, per orientare con rapidità il barista, l’operatore del mondo horeca e l’appassionato, alla ricerca dei prodotti che rispondano alle sue particolari esigenze.
“Siamo convinti che il nuovo sito possa rappresentare un ottimo biglietto da visita e un’occasione per scoprire che davvero la manutenzione fa più buono l’espresso e i passi per effettuarla al meglio, con le giuste cadenze” affermano Gianfranco e Marco Carubelli, amministratori di Asachimici-pulyCAFF.
C’è di più: “È inoltre un’occasione per scoprire le nostre origini, i nostri valori, la filosofia produttiva e l’impegno verso l’ambiente, che riteniamo sia fondamentale per qualsiasi impresa che voglia non solo guardare all’oggi, ma soprattutto al domani. La nostra lunga esperienza nel settore e il nostro ruolo di Exclusive Cleaning Products Sponsor 2024 delle sette finali mondiali WCC a Chicago, Busan e Copenhagen ci rendono ancora più un riferimento a livello internazionale di cui siamo fieri e a cui rispondiamo con il nostro entusiasmo, con un sito che sarà sempre più internazionale, e con i nostri esperti del pulito che offrono in Italia e nel mondo un’azione costante di sostegno e formazione attraverso i Puly Day, corsi gratuiti rivolti ai baristi, ai torrefattori e alle scuole alberghiere”.
La ricerca dei prodotti prende il via dalla scelta di una categoria di apparecchiature, per individuare il detergente desiderato, scoprirne le caratteristiche, i formati, l’azione, l’utilizzo step by step, gli accessori che ne facilitano l’utilizzo per proseguire con la rassegna degli altri prodotti realizzati da pulyCAFF per la pulizia dell’apparecchiatura identificata.
Il menu di navigazione permette inoltre di spaziare dalla storia e la realtà aziendale, all’ecosostenibilità, le certificazioni, la formazione e dà spazio alle news, con appuntamenti e approfondimenti da non perdere.
La compagnia aerea Emirates è presente ormai da più di trent’anni in Italia. Nel tempo, l’azienda ha stretto collaborazioni con aziende italiane per ampliare la propria offerta con prodotti made in Italy di prim’ordine. Degna di nota è la partnership iniziata nel 2020 tra Emirates e Lavazza che ha proposto una miscela di caffè premium.
In tutto, lo scorso anno, sono state utilizzate oltre 560.000 confezioni da 70 gr di caffè del brand Lavazza e sono state servite a bordo poco più di 3,7 milioni di cialde. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato su askanews.
La partnership tra Lavazza e Emirates
MILANO – Il made in Italy vola su Emirates. La compagnia aerea è da oltre trent’anni in Italia, dove opera i collegamenti tra i quattro gateway di Roma, Milano, Bologna e Venezia e Dubai:solo lo scorso anno ha trasportato oltre 1,4 milioni di passeggeri su più di 1.400 voli di andata e ritorno da e per il nostro Paese. Questa offerta rappresenta un volano per i prodotti simbolo del made in Italy, dai vini al caffè passando per i prodotti per la cura personale.
In questo ambito Emirates dal 2009 collabora con Bulgari: solo lo scorso anno sono stati 3,2 milioni gli amenity kit della casa di moda distribuiti a bordo dei suoi voli. Un totale di oltre 20 milioni di kit dall’inizio della partnership con pochette, create in diverse versioni (circa 16 dall’inizio della collaborazione).
Ma l’italianità è valorizzata anche a tavola. Nel 2023 la compagnia ha offerto ai suoi passeggeri una selezione di 11 vini italiani. Accanto ai vini, simbolo del Belpaese è il caffè: nel 2020, è partita una partnership tra Emirates e Lavazza che ha proposto una miscela di caffè premium.
Ogni anno sono più di 17 le tonnellate di caffè servite a bordo. In tutto, lo scorso anno, sono state utilizzate oltre 560.000 confezioni da 70 gr di caffè Lavazza e sono state servite a bordo poco più di 3,7 milioni di cialde (tra caffè espresso e decaffeinato). In un giorno medio, vengono utilizzate circa 1.550 confezioni di caffè e oltre 10.000 cialde.
Il personale di bordo riceve una formazione specializzata nella preparazione e nel servizio del caffè, comprese la conoscenza delle diverse miscele e le modalità di preparazione della tazzina.
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VICO EQUENSE (Napoli) – Il cavaliere Massimo Renda, presidente e fondatore di Caffè Borbone, ha ricevuto il Premio scientifico internazionale Capo d’Orlando per la categoria Scienza e industria (ne abbiamo parlato qui). Per l’occasione, Renda ha raccontato la storia dietro le origini di Caffè Borbone, divenuto tra i leader mondiali del caffè monodose a partire una piccola torrefazione di famiglia, di come nasce l’idea della cialda compostabile, delle scelte di politica industriale rispettose dell’ambiente e dei progetti italiani e internazionali a favore del sociale.
Leggiamo di seguito la trascrizione dell’intervista riportata sul canale YouTube di Claudia Esposito.
Massimo Renda sull’importanza della sostenibilità per Caffè Borbone
Massimo Renda: “Sono stato definito un enfant terrible quando lavoravo nell’azienda di famiglia e cercavo di spingerla nel mondo delle macchinette del caffè da ufficio. All’epoca avevo uno zio che continuava a remarmi contro. In seguito ho deciso di mettermi in proprio e provare fare questo lancio. Da lì l’azienda ha preso piede e oggi Caffè Borbone è uno dei principali produttori mondiali di caffè monodose”.
Caffè Borbone produce ogni anno 2 miliardi e 600 milioni di unità tra cialde e capsule sempre con un occhio all’ambiente. L’azienda ha avuto l’idea della cialda compostabile riciclabile nell’organico che in seguito ha liberalizzato a livello di brevetto.
Renda: “Come presidente dell’azienda cerco di curare e tenere motivata la ricerca allo sviluppo e la messa a punto dei prodotti. Il brand ha sempre sentito l’esigenza di diminuire al massimo l’impatto ambientale del consumo del caffè. Oltre al consumo sempre più alto del caffè monodose, si registra un utilizzo sempre più grande dell’imballaggio che accompagna inevitabilmente il prodotto.
Abbiamo ragionato su come trovare una soluzione a questa problematica. Per prima cosa abbiamo messo a punto la carta filtro che avvolge la pasticca di caffè che precedentemente non era compostabile. L’abbiamo resa tale attraverso una ricerca e sviluppo molto lunga intrapresa con il nostro fornitore. Una volta ultimato il prodotto abbiam deciso di liberalizzarlo perché rappresentava un grande vantaggio per il pianeta e non solo commerciale”.
Renda aggiunge: “In seguito ci siamo concentrati su come confezionare il caffè, uno degli alimenti più difficile da conservare. La nostra idea era rinunciare alla plastica e utilizzare la carta per il confezionamento della miscela: un progetto ambizioso che alla fine siamo riusciti ad ottenere. Di quei oltre 2 miliardi di cialde prodotte ogni anno, la maggior parte ha un impatto ambientale bassissimo poiché la cialda compostabile va nell’umido e la bustina esterna va nella carta riciclabile. La materia prima perciò si recupera e non si deve produrla da zero. Inoltre siamo molto attenti ai termini ambientali”.
Noi sentiamo il dovere di preservare, per quanto possibile, il nostro pianeta. Ognuno di noi deve contribuire nel donare alle future generazioni un futuro. Grazie alle nostre fonte di energia rinnovabili, come i pannelli fotovoltaici, contribuiamo alla sostenibilità. Questo costa un po’ di più ma abbiamo il dovere di farlo. Non si tratta di una leva commerciale ma di un dovere morale”
Ma Caffè Borbone non si limita all’aspetto sostenibile ma anche a quello sociale: “Ci sono Paesi avanzati dove i contadini sono evoluti con sistemi di ultima generazione, il Brasile in primis. Tuttavia, ci sono anche Paesi che, pur producendo ottimo caffè, sono molto indietro. Caffè Borbone è andata in Uganda e, insieme al nostro partner, il trader grazie al quale prendiamo caffè da questo Paese, abbiamo organizzato un progetto di acculturamento e istruzione sul lavoro. Questo meccanismo messo in atto sta dando i sui frutti e abbiamo notato grandi miglioramenti. Abbiamo anche una grande sensibilità per i nostri territori cercando di stimolare lo studio in zone in cui il percorso scolastico è più difficile”.
Renda conclude: “In questo riguardo sono particolarmente fiero dell’iniziativa il Caffè del birbantello. Siamo andati in una scuola elementare e media di un quartiere di Napoli. Abbiamo portato alcune scatole del nostro caffè con solo il marchio presente e abbiamo chiesto ai ragazzi di fare un disegno. Le tre proposte più belle sarebbero diventate delle scatole per davvero. Sono arrivate delle proposte meravigliose. I ragazzi che hanno vinto la competizione hanno ricevuto borse di studio subordinate al fatto che portassero a termine gli studi. Il progetto ha funzionato e il progetto ha cominciato ad essere declinato in tutta l’Italia. Ogni anno selezioniamo cinque città, perciò cinque istituti scolastici, in cui riproponiamo l’iniziativa”.
LUSSEMBURGO – Il Gruppo Ferrero ha annunciato, con la pubblicazione del 15° rapporto di sostenibilità, gli ultimi progressi compiuti in ambito ecologico. Guidato dall’impegno di lungo periodo del Gruppo Ferrero, rivolto a generare un impatto positivo lungo tutta la catena del valore, il Rapporto mostra i significativi passi in avanti compiuti nell’ambito dei quattro pilastri fondamentali: protezione dell’ambiente, approvvigionamento responsabile delle materie prime, promozione del consumo responsabile e valorizzazione delle persone.
Il nuovo rapporto di sostenibilità di Ferrero
Giovanni Ferrero, executive chairman del Gruppo, ha dichiarato: “Il Gruppo Ferrero riconosce il ruolo cruciale che l’azienda svolge nella protezione dell’ambiente per le generazioni future. Abbiamo riconfermato con impegni concreti che la sostenibilità è parte integrante della strategia di lungo termine di Ferrero. Tutti i quattro pilastri del nostro framework di sostenibilità guidano ogni decisione strategica che prendiamo. Mentre il Gruppo cresce e diversifica il suo portafoglio, continuiamo a valorizzare le nostre partnership di lungo periodo, in particolare quelle dedicate alle comunità in cui operiamo e dove ci approvvigioniamo di materie prime. Crediamo nell’importanza di queste partnership per compiere i progressi, far avanzare l’agenda sociale e ambientale del settore e creare valore per la società”.
L’ultimo Rapporto di Sostenibilità, relativo all’esercizio 2022/23, mette in evidenza il continuo focus di Ferrero sulla promozione di una maggiore trasparenza lungo la catena di fornitura dei propri ingredienti chiave, in linea con l’approccio di approvvigionamento responsabile del Gruppo. Nella filiera delle nocciole, Ferrero ha raggiunto il 90% di tracciabilità, con un notevole incremento dal 79% dell’esercizio 2021/22, grazie alla continua collaborazione con agricoltori, fornitori, istituzioni, università e centri di ricerca per promuovere pratiche agricole sostenibili.
In collaborazione con i partner presenti sul territorio, Ferrero ha inoltre contribuito ad affrontare sfide complesse presenti lungo la catena del valore, quali deforestazione, nelle aree in cui il Gruppo si rifornisce dei propri ingredienti. Ad esempio, adottando mappature satellitari per aiutare ad aumentare la tracciabilità del cacao a livello di azienda agricola, che ha raggiunto il 93% nel 2022/23. Oltre ad operare a tutto campo con tecnologie all’avanguardia, Ferrero è membro di lunga data della World Cocoa Foundation (WCF) e della International Cocoa Initiative (ICI).
La collaborazione gioca un ruolo di fondamentale importanza per accelerare i progressi volti al contrasto delle cause del lavoro minorile e del lavoro forzato.
Ferrero continua a collaborare con Save the Children, che opera in 65 comunità nella regione Haut-Sassandra della Costa d’Avorio, uno dei principali paesi di approvvigionamento del cacao, raggiungendo oltre 18.000 persone. Ferrero lavora anche con la Earthworm Foundation e l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO), rispettivamente lungo le catene di fornitura dell’olio di palma e delle nocciole, per contribuire a supportare pratiche di lavoro responsabili.
Altri progressi rilevanti contenuti all’interno del Rapporto di Sostenibilità del Gruppo Ferrero sono:
– Il 90,7% degli imballaggi di Ferrero è ora progettato per essere riciclabile, riutilizzabile o compostabile, in aumento dall’88,5% rispetto al 2021/22.
– I consumi idrici degli stabilimenti Ferrero sono stati ridotti del 20%, grazie a iniziative di riduzione e riutilizzo, rispetto all’anno di riferimento 2017/18 e del -9,6% rispetto al 2021/2022.
– Il progetto Kinder Joy of moving ha coinvolto oltre 60 milioni di bambini dal suo lancio nel 2005, di cui 3,4 milioni nel solo 2022/23.
Il 15° Rapporto di Sostenibilità di Gruppo è interamente consultabile sul sito dell’azienda, sezione People & Planet.
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